Fascismo s. m. [der. di fascio]. – Movimento politico italiano che trasse origine e nome dai Fasci di combattimento fondati nel 1919 da B. Mussolini e che, costituitosi in partito nel 1921, conquistò il potere nel 1922 con la marcia su Roma. [...] Il termine è stato poi esteso, più o meno fondatamente, a indicare altri movimenti: il f. spagnolo; il f. dei colonnelli in Grecia.
Quando si parla di fascismo, oggi, tendenzialmente ci si riferisce
innanzitutto alla sua violenza squadristica, alla conquista violenta del
potere. Un regime che ha prima ha esaltato la guerra e poi il
colonialismo più criminale come sublime forma di realizzazione
dell’uomo.
Quando si parla di fascismo, tendenzialmente, ci si ferma
alla sua estetica. E purtroppo, specularmente, anche l’antifascismo è
stato più estetico che sostanziale. Ed è proprio l’estetica
dell’antifascismo che nel passato ha causato da un lato scelte
disastrose in chi ha forse creduto di poter difendere chissà cosa a
sprangate, e dall’altro ha generato un antifascismo superficiale, fermo
al timore del ripetersi della storia.
Il fascismo è stato molto più importante della sua estetica. Il
fascismo è stato prima di tutto una teoria politica. Una teoria che
disprezzava l’uguaglianza e la fraternità (oltre ovviamente alla
libertà) della rivoluzione francese, e che avrebbe voluto risolvere
conflitti sociali in corso dividendo la società in corporazioni di
medievale memoria, pacificate le une con le altre perché solo al loro
interno ci si sarebbe potuti affermare in una spietata competizione
individuale.
Il fascismo è stata una teoria politica fortemente basata
sull’identità nazionale, sul rifiuto dell’altro da sé, sulla forza
dell’Italia in quanto nazione costruita da uno Stato forte non perché
capace di dare regole di convivenza e leggi, ma perché fortemente
ideologico. Uno Stato che riconosceva la centralità
dell’individuo-competitore, dell’individuo espressione di forza bruta,
dell’individuo che sopravvive attraverso l’eliminazione del nemico. Per
lo Stato fascista, l’interesse generale si otteneva attraverso il
successo di chi, sconfiggendo i competitors, i nemici, riusciva ad
emergere in quanto migliore degli altri, più “adatto” in una
(sbagliata) applicazione delle teorie di Darwin alla specie umana. Non a
caso, il mito dell’uomo forte al comando.
Se la nostra società fosse davvero antifascista, avrebbe riconosciuto
molti degli aspetti della subcultura politica che ha dominato gli
ultimi 20 anni.
Anche oggi si tenta di sedare il conflitto sociale
attraverso la riorganizzazione di corporazioni chiuse entro le quali si
compete. Non a caso quella italiana è la società occidentale dove il
cosiddetto ascensore sociale è praticamente immobile. Anche oggi è in
auge la competizione tra individui (finta competizione, ché si parte da
posizioni più o meno privilegiate) come se fossero diversi l’interesse
generale degli umani e quello di ciascun singolo appartenente alla
specie o – peggio – come se l’interesse fosse quello di fare emergere
il più forte e non quello di far sopravvivere al meglio tutti. Non a
caso in Italia ci si affida a dei capi piuttosto che a delle
organizzazioni sociali (che siano partiti o altro) per governare il Paese.
Non a caso si chiama crisi quella che è ingiustizia
e a una ingiustizia ci si ribella. Non è un caso che il lavorio
culturale degli ultimi 30 anni ci abbia privato in modo devastante degli
strumenti minimi indispensabili per leggere quel che ci circonda,
capirlo e se non va magari cambiarlo.
Sarebbe bene che qualcuno smettesse di prendere lucciole per
lanterne, e cominciasse a dare parole e risposte sensate alle terribili
difficoltà che stanno colpendo le persone, che non riusciranno certo a
risolvere i loro problemi a forconate o prendendosela con dei miti
astratti (oggi sono le banche e le sedi di Equitalia, ieri erano le
banche e gli ebrei).
Il problema più drammatico oggi è che non siamo più nemmeno capaci di
riconoscere che il nemico non sono mitologiche caste o finanze o equitalie.
Ma sono concretissime scelte politiche che hanno permesso il
proliferare dell’illegalità, che han permesso all’evasione fiscale di
arrivare a 130-150 miliardi, hanno permesso alle rendite da capitale di
essere meno tassate delle rendite da lavoro. E sono anche persone in
carne e ossa: i mafiosi (che non sono quelli con la lupara, ma sono
quelli che gestiscono affari miliardari), gli evasori fiscali (chi
detiene ricchezze costruite attraverso la frode e l’elusione), chi
preferisce investire in borsa piuttosto che sull’innovazione delle
aziende, sulla ricerca, sulla qualità del lavoro, chi specula sulla
salute dei cittadini, chi svende beni comuni e chi rivende beni comuni a
prezzi folli. Questo è il nemico. Questi sono i nemici: quelli che
all’interesse di tutti antepongono il proprio a costo di ridurci alla
disperazione e alla fame. Perché ricordiamocelo, la Costituzione
italiana dice: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può
svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno
alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”” E non pare proprio
che le cose vadano così.
O ci si prende la responsabilità di dare un nome e un volto alle
cose, e quindi a governarle se si sta al governo o altrimenti a
opporvisi, oppure quando domani ci sveglieremo del tutto fascisti (e le
rivolte dei forconi accelerano questo processo perché alimentano miti)
non potremo che maledirci. Perché, oggi, il problema non è chi sta
dietro alla rivolta dei forconi, ma chi non c’è davanti.
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