Qualche giorno fa, Marco Panara scriveva su la Repubblica che dal primo marzo scorso, quando è entrata in vigore, al 31 dicembre del 2013, la Tobin-tax avrebbe dovuto portare nelle casse dello Stato un miliardo e 88 milioni di euro, mentre ne arriveranno, forse, 200. Panara derivava questa previsione dall’ultimo dato disponibile, quello dell’ottobre scorso, quando nelle casse del Tesoro di milioni ne erano entrati solo 159, circa 20 al mese per ciascuno degli otto mesi di vita dell’ imposta. Se, come altamente probabile, la media si mantenesse, tra novembre e dicembre – osservava Panara – ne dovrebbero arrivare altri 40, per un totale, appunto, di 200. Quasi 900 in meno delle previsioni del governo e quindi 900 milioni di buco nel bilancio dello Stato.
Il flop era non soltanto prevedibile, ma probabilmente premeditato, come avevano subito segnalato gli operatori più accorti (e meno asserviti ai potentati finanziari e alle banche) che lo avevano segnalato, inascoltati, a governo e Parlamento. “La ragione per la quale nella formulazione varata dal governo Monti la Tobin non ha neanche lontanamente raggiunto i suoi obiettivi di gettito – spiegava ancora Panara – è che di fatto esenta il 98 per cento dei 12 mila miliardi di transazioni finanziarie che ogni anno avvengono in Italia o hanno per oggetto titoli emessi da soggetti italiani.
Non la pagano infatti day trader (che ormai rappresentano quasi il 40% degli scambi a Piazza Affari) e market makers, speculatori in cambi (il volume delle operazioni in questo settore è pari a 6 volte quello della bilancia commerciale, il che vuol dire che si tratta in gran parte di operazioni speculative), venditori e acquirenti di obbligazioni, speculatori sui tassi, sui credit default swap e via elencando”. Dunque, per andare al sodo, è rimasto nella rete solo chi ha acquistato azioni per tenerle in portafoglio per un periodo medio lungo, ovvero la parte, diciamo così, più sana del mercato, quella che concorre al finanziamento dell’economia reale e non persegue obiettivi puramente speculativi. Chi ha messo all’incasso il risultato da questa pessima formulazione della legge – proseguiva Panara – “sono state soprattutto le banche, alcuni intermediari e la Borsa stessa, che hanno ottenuto di sottrarre alla tassazione i clienti che fanno guadagnare loro le maggiori commissioni”.
A fronte del buco nelle entrate, nell’ambito della legge di Stabilità era stato presentato un emendamento (primo firmatario Biobba, Pd, con l’ adesione di parlamentari di Scelta Civica, Nuovo Centro Destra, Sel e Lega) che prevedeva una sostanziale revisione dell’ imposta, ridotta a un decimo di quella attuale (dallo 0,1 allo 0,01%) ma estesa a tutte le transazioni, escluse quelle sui titoli di Stato. “Applicando lo 0,01% al venditore e all’acquirente in ogni transazione sul volume totale annuo di circa 12 mila miliardi di controvalore – concludeva Panara – si avrebbe un gettito di 2,4 miliardi; esentando i titoli di stato si supera comunque il miliardo, ottenendo così il gettito che con la Tobin si intendeva raggiungere.
L’emendamento avrebbe dovuto essere discusso ieri sera per entrare nella legge di stabilità. Peccato che il Pd l’abbia abbandonato, dandola vinta alle lobby interessate a lasciare le cose così come stanno. Mentre ogni sorta di balzello viene architettato per drenare quattrini dalle tasche dei lavoratori e dei cittadini onesti, i Democratici spengono anche la tenue speranza di vedere leggermente, molto leggermente, limato il grasso che si accumula nei forzieri della grande speculazione. L’argomento è stato formalmente congelato, con la classica formula farisaica del rinvio, affidando alla commissione Bilancio, nel prossimo mese di gennaio, il compito di “affrontare il tema in modo più vasto e organico durante il semestre italiano di Presidenza del Consiglio Europeo”.
Il flop era non soltanto prevedibile, ma probabilmente premeditato, come avevano subito segnalato gli operatori più accorti (e meno asserviti ai potentati finanziari e alle banche) che lo avevano segnalato, inascoltati, a governo e Parlamento. “La ragione per la quale nella formulazione varata dal governo Monti la Tobin non ha neanche lontanamente raggiunto i suoi obiettivi di gettito – spiegava ancora Panara – è che di fatto esenta il 98 per cento dei 12 mila miliardi di transazioni finanziarie che ogni anno avvengono in Italia o hanno per oggetto titoli emessi da soggetti italiani.
Non la pagano infatti day trader (che ormai rappresentano quasi il 40% degli scambi a Piazza Affari) e market makers, speculatori in cambi (il volume delle operazioni in questo settore è pari a 6 volte quello della bilancia commerciale, il che vuol dire che si tratta in gran parte di operazioni speculative), venditori e acquirenti di obbligazioni, speculatori sui tassi, sui credit default swap e via elencando”. Dunque, per andare al sodo, è rimasto nella rete solo chi ha acquistato azioni per tenerle in portafoglio per un periodo medio lungo, ovvero la parte, diciamo così, più sana del mercato, quella che concorre al finanziamento dell’economia reale e non persegue obiettivi puramente speculativi. Chi ha messo all’incasso il risultato da questa pessima formulazione della legge – proseguiva Panara – “sono state soprattutto le banche, alcuni intermediari e la Borsa stessa, che hanno ottenuto di sottrarre alla tassazione i clienti che fanno guadagnare loro le maggiori commissioni”.
A fronte del buco nelle entrate, nell’ambito della legge di Stabilità era stato presentato un emendamento (primo firmatario Biobba, Pd, con l’ adesione di parlamentari di Scelta Civica, Nuovo Centro Destra, Sel e Lega) che prevedeva una sostanziale revisione dell’ imposta, ridotta a un decimo di quella attuale (dallo 0,1 allo 0,01%) ma estesa a tutte le transazioni, escluse quelle sui titoli di Stato. “Applicando lo 0,01% al venditore e all’acquirente in ogni transazione sul volume totale annuo di circa 12 mila miliardi di controvalore – concludeva Panara – si avrebbe un gettito di 2,4 miliardi; esentando i titoli di stato si supera comunque il miliardo, ottenendo così il gettito che con la Tobin si intendeva raggiungere.
L’emendamento avrebbe dovuto essere discusso ieri sera per entrare nella legge di stabilità. Peccato che il Pd l’abbia abbandonato, dandola vinta alle lobby interessate a lasciare le cose così come stanno. Mentre ogni sorta di balzello viene architettato per drenare quattrini dalle tasche dei lavoratori e dei cittadini onesti, i Democratici spengono anche la tenue speranza di vedere leggermente, molto leggermente, limato il grasso che si accumula nei forzieri della grande speculazione. L’argomento è stato formalmente congelato, con la classica formula farisaica del rinvio, affidando alla commissione Bilancio, nel prossimo mese di gennaio, il compito di “affrontare il tema in modo più vasto e organico durante il semestre italiano di Presidenza del Consiglio Europeo”.
Nessun commento:
Posta un commento
Di la tua