sabato 21 dicembre 2013

Disoccupazione: una questione di classe di Paolo Ferrero

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Image La disoccupazione è il principale problema dell’Italia. Milioni di disoccupati, di precari e sottoccupati, di persone che hanno smesso di cercare lavoro. Poco meno di dieci milioni di persone non riescono ad avere un lavoro, non dico soddisfacente, ma semplicemente che gli permetta di vivere decentemente. Il governo dice che per uscire da questa situazione occorre abbassare le tasse sul lavoro, in modo da rendere più competitive le imprese e quindi aumentare l’occupazione. La cosa che non dice il governo è che la bilancia dei pagamenti è in attivo e cioè che l’Italia esporta più merci di quante ne importi. Questo significa che l’industria italiana riesce a stare decentemente sul mercato mondiale e che il problema non viene principalmente da lì.
Da dove viene il problema? Viene da un crollo verticale dei consumi interni, del mercato interno. In pochi anni i consumi si sono ridotti drasticamente e siamo tornati al livello dei consumi di venti o trenta anni fa. Come mai si sono ridotti i consumi interni? Perché è crollato il potere d’acquisto degli strati popolari: negli ultimi trent’anni abbiamo assistito ad una redistribuzione della ricchezza italiana dai poveri ai ricchi di dimensioni enormi, con 10 punti di Pil (pari a circa 150 miliardi di euro all’anno) sono passati dai redditi da lavoro e da pensione ai profitti e alle rendite. È il più gigantesco trasferimento di risorse che si sia visto in Occidente, maggiore di quello che è riuscito a fare la signora Thatcher ai danni dei lavoratori inglesi. In Italia tutto questo è accaduto con il sostanziale consenso del Pds/Ds/Pd e di larga parte del sindacato confederale.
In questa situazione il tema della giustizia sociale, cioè della redistribuzione del reddito dall’alto verso il basso, è tutt’uno con il rilancio dei consumi interni e questa è la condizione necessaria al fine di aumentare l’occupazione. Anche perché una eventuale ripresa economica trainata dalle esportazioni, se non supera l’1%, non può dare alcun risultato positivo in termini occupazionali. L’aumento della produttività delle imprese esportatrici è infatti mediamente dell’1% all’anno. Per questo è semplicemente impossibile avere una qualche soluzione del problema dell’occupazione in assenza di un deciso intervento dello Stato in economia. Per questo Rifondazione comunista ha avanzato la proposta di dar vita ad un piano del lavoro e della riconversione ambientale dell’economia. Questo piano si basa su due pilastri. In primo luogo il reperimento delle risorse necessarie per finanziare il piano: patrimoniale sulle grandi ricchezze, tetto di stipendi e pensioni al di sopra dei 5000 euro al mese, fermo delle grandi opere inutili e dannose (come Tav e acquisto degli F35), lotta alla grande evasione fiscale, equiparazione della tassazione dei redditi da capitale con la tassazione dei redditi da lavoro ecc. Da queste diverse fonti si possono recuperare poco meno di 100 miliardi di euro all’anno. Con questi soldi è possibile dar vita a posti di lavoro attraverso più azioni. In primo luogo abolendo la riforma Fornero sulle pensioni e ristabilendo l’età per andare in pensione a 60 anni. In secondo luogo dando vita ad un piano di riassetto idrogeologico del territorio, ad un piano per mettere a norma acquedotti e fognature, ad un piano per mettere a norma e rendere autonomi energeticamente tutti gli edifici pubblici a partire dalle scuole, ad un piano per la piena valorizzazione del patrimonio archeologico e museale, la piena copertura delle piante organiche nella sanità, nell’istruzione e nella pubblica amministrazione in generale. Com’è evidente, un intervento di tal fatta metterebbe in moto lavoro pubblico e lavoro privato, in settori ad alta utilità sociale e darebbe vita ad un milione e mezzo di posti di lavoro nell’arco di tre anni. Ovviamente il tutto determinerebbe un significativo aumento dei consumi interni e anche un significativo aumento delle entrate dello Stato, cioè un volano per uscire dalla crisi che a sua volta darebbe luogo ad altri posti di lavoro.
Perché il governo non lo fa, visto che questa proposta non richiede la modifica dei parametri e dei vincoli europei? Perché il governo italiano, il suo presidente del Consiglio e il suo azionista di riferimento – il Pd – sono integralmente liberisti e difendono gli interessi delle classi sociali che vedrebbero ridursi i loro privilegi dall’applicazione di un simile piano finalizzato al benessere sociale.
(pubblicato su Confronti di gennaio 2014)

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