Non
ho fatto in tempo a scrivere della miseria intellettuale e politica in
cui nascono le controversie sul dopo porcellum, dei concetti ormai
arretrati sui quali procede il dibattito politologico, dello scontro fra
un maggioritario usato per imporre una sorta di oligarchia e il
proporzionale temuto per il colpo che darebbe agli apparati e alle
concrezioni di potere ( qui
), che viene meno la speranza di essermi sbagliato. Sulla Repubblica di
Renzi compare un’ intervista al politologo D’Alimonte, ispiratore del
sindaco di Firenze, il quale dice che ci vuole assolutamente il
maggioritario e per mettere un pezzo da novanta su questo pensierino
anni ’80, ci dice che se ci fosse stato il maggioritario nella Germania
di Weimar, Hitler non avrebbe mai vinto. E che dunque senza
maggioritario finiremmo nelle stesse condizioni.
Sono sinceramente ammirato dall’intervistatrice che nemmeno si è
fatta venire un dubbio, che forse non ne sa nulla e ha scambiato Weimar
per un wafer ma che in ogni caso crede, obbedisce e scrive attendendo
che Sorgenia il sol dell’avvenire, perché vedete se nella Germania fine
anni ’20 ci fosse stato il maggioritario, Hitler avrebbe vinto con un
anno di anticipo e anzi quasi certamente già nel 1930 quando il partito
nazista divenne il secondo del Paese. La repubblica fu protetta proprio
dal sistema proporzionale che impedì la confluenza nelle file
hitleriane dei tanti piccoli movimenti nazionalisti che nel complesso
arrivavano a rappresentare il 15% dell’elettorato. Ma questo accade
quando si pensa ancora che i sistemi elettorali siano solo questione di
numeri e distribuzioni e che attraverso di essi si possa domare la
realtà. O si fa finta di crederci per non perdere il posto alla tavola
di servizio del potere.
Tuttavia l’esempio della repubblica di Weimar viene a puntino perché è
sorprendentemente simile alla nostra di oggi: una drammatica crisi
economica innescata dalla decisione Usa di richiedere i danni di guerra
sospesi dopo l’ iper inflazione del ’23 (sostituiamolo con il fiscal
compact e l’equazione funziona), moltiplicata poi dalla caduta di Wall
Street che costrinse lo stato a una gigantesca riduzione di spesa con la
caduta del mercato interno, un’alleanza di fatto tra socialdemocratici e
cattolici di centro, un cancelliere economista e di scuola liberista
ante litteram come Brüning teso solo alla riduzione dei deficit, un
altro di parte conservatrice e cattolica come il mediocrissimo von
Papen, incapace di tutto, un presidente della Repubblica ultraottantenne
al secondo mandato, convinto di essere un surrogato del Kaiser a dare
il colpo di grazia. Tutte cose che non potevano certo essere raddrizzate
con un sistema elettorale, ma rimane il fatto che il proporzionale
senza premi di maggioranza o sbarramenti rimandò il disastro di almeno
tre anni, permettendo appunto il frazionamento delle tante destre post
belliche (a sinistra c’era solo il compatto partito comunista). Anzi a
dirla tutta la Repubblica di Weimar nemmeno ci sarebbe stata senza il
proporzionale.
Del resto bisogna fare questi paragoni per nascondere che quello
proporzionale è proprio il sistema elettorale del Paese che guarda caso
detta legge in Europa e già questo dovrebbe dirci molte cose, ma
disgraziatamente da noi non è più funzionale alla macchina dei partiti e
delle classi dirigenti che con la scusa della governabilità, di una
governabilità qualunque e non certo del buon governo, vogliono a tutti i
costi un succedaneo del maggioritario. E l’intervista al politologo
renziano non è che il riflesso della fretta che ha preso il sistema
politico, tanto che Letta sta pensando a mettere in piedi una nuova
legge elettorale prima che escano le motivazioni della sentenza con cui
la Corte Costituzionale ha bocciato il porcellum, proprio per non dover
sottostare alle osservazioni sull’incostituzionalità dei macroscopici
premi di maggioranza e magari arrivare a qualche marchingegno con cui
aggirare o sterilizzare in qualche modo l’elezione diretta dei
parlamentari: senza nominati i governicchi di palazzo non durerebbero
un giorno.
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