L'ultimo
mattatoio scatenato da Israele a Gaza ha alzato l'asticella delle
vittime: quasi 1900, più dell'operazione Piombo Fuso che aveva segnato
la “soglia” precedente di una asimmetria del dolore e della brutalità
militare in una Palestina da 66 anni alle prese con l'occupazione
coloniale israeliana.
Adesso sembra che dopo l'orgia di bombe, droni, cannonate, missili e
quant'altro si sia raggiunta la tregua. Molti si augurano che regga,
troppo pochi si augurano che la fine delle ostilità non rappresenti
altro che il ripristino della intollerabile situazione pre-esistente a
Gaza: una prigione a cielo aperto dalla quale non si può fuggire neanche
sotto i bombardamenti. Che prima o poi torneranno a fare strage di
innocenti.
Quanto avvenuto a Gaza e in Palestina in questi decenni svela una
parte significativa delle contraddizioni inaccettabili delle attuali
relazioni internazionali, ma abbiamo l'impressione che l'ultimo
mattatoio a Gaza riveli anche qualcosa di più ed estremamente
preoccupante.
In questi anni la realtà dei “due pesi e due misure” ha agito
sistematicamente nella trattazione della vicenda dei rapporti tra Stato
di Israele e palestinesi. Al primo è stato consentito tutto quello che
non è stato consentito ad altri Stati. “Perchè il mondo permette ad
Israele di fare quello che fa?” si interrogava sei anni fa Ilan Pappe.
Per molto meno di quello che le autorità e le forze armate israeliane
hanno fatto nel 2009, nel 2012 ed ora a Gaza, altri stati sono
sottoposti a embarghi, sanzioni e addirittura ad interventi militari
punitivi. Proprio in queste settimane USA e UE continuano l'escalation
delle sanzioni contro la Russia adducendo responsabilità di Mosca in
Ucraina (alcune vere, altre presunte) enormemente inferiori rispetto a
quelle di Israele nei confronti dei palestinesi. Leader di governo sono
stati uccisi o sono finiti davanti alla Corte Penale Internazionale
dell’Aia per responsabilità enormemente inferiori rispetto a quelle di
Netanyahu, dei suoi ministri, dei suoi generali e finanche di alcuni
parlamentari israeliani.
Ma il doppio standard che agisce ancora nelle relazioni
internazionali, seppure odioso e intollerabile, non è ancora il fondo
del vaso di Pandora che si va schiudendo.
La realtà ci mette simultaneamente davanti alla storia recente e al
futuro. Si è accettato infatti come soglia del dolore invalicabile solo
quella generata dal nazismo con lo sterminio dei cittadini di origine
ebraica in Europa. Dunque tutto il dolore e l'orrore generati al di
sotto di quella soglia sono diventati in qualche modo accettabili,
giustificabili, silenziabili, tranne evocarli in modo strumentale quando
si tratta di legittimare qualche ‘guerra umanitaria’ contro l'ostacolo
di turno sulla strada dell’affermazione dei propri interessi.
Eppure non sfugge che la disperata resistenza della popolazione
palestinese di Gaza contro le truppe israeliane sia quanto di più simile
alla rivolta del Ghetto di Varsavia contro l'occupazione nazista.
Meglio morire combattendo una guerra del tutto impossibile sul piano
delle forze in campo, che morire lentamente, strangolati da un assedio
sempre più micidiale che ti chiude in una gabbia e ti uccide senza
clamore. Ma il grido di Gaza è stato ritenuto dalle potenze decisive
della comunità internazionale al di sotto di una soglia del dolore e
dell'orrore tale da spingere ad atti concreti per fermare il massacro.
Paradossalmente oggi vengono attuate sanzioni crescenti contro la
Russia per l'Ucraina (in un contesto in cui sono stati Washington e
Bruxelles a far deflagrare la crisi) mentre nulla venne fatto contro la
Russia di Eltsin e del primo Putin che radevano al suolo la città di
Grozny per debellare i secessionisti ceceni alla fine degli anni
Novanta. Il fatto che la Russia di quindici anni fa fosse considerata
ormai “parte” integrante dell'occidente permise allora una netta
crescita della soglia dell'orrore e del dolore accettabili. Al contrario
oggi, per molto, molto meno, scatta un meccanismo punitivo e aggressivo
– pericoloso oltre ogni razionalità – platealmente funzionale agli
interessi strategici statunitensi al quale si prestano volonterosamente
anche i governi dell'Unione Europea.
La Libia, l'Iraq, la Siria, la Serbia, l'Iran e poi lo Zimbabwe e il
Sudan sono stati sanzionati, bombardati, aggrediti, destabilizzati fino a
diventare in alcuni casi “terre di nessuno” in mano a milizie armate e
bande tribali, ma nessuna punizione è stata mai presa in considerazione
nel caso di Israele. Ci stanno pensando, fortunatamente, i segmenti di
società civile che attuano la campagna di boicottaggio, disinvestimento e
sanzioni verso Israele a praticare quello che dovrebbero fare – e non
fanno – i governi e le stesse istituzioni internazionali. Anzi, questi
ultimi, come nel caso italiano, continuano a vendergli armi, tecnologie
ed a commercializzarne i prodotti.
Ma, come dice giustamente l'appello “Noi accusiamo” lanciato dallo
storico Angelo D'Orsi, “non basta la pur importante e lodevole campagna
BDS... riteniamo che si debba portare lo Stato di Israele davanti a un
Tribunale speciale internazionale per la distruzione della Palestina”.
L'appello propone la pertinenza di una sorta di processo di Norimberga
nei confronti dello Stato di Israele e delle sue responsabilità
collettive. Potrebbe essere il primo passo per rompere il monopolio
dell'orrore e del dolore e sotterrare un inaccettabile doppio standard
che è durato fin troppo.
E' importante farlo ora, perchè il nuovo corso delle relazioni
internazionali sta facendo girare a ritroso la ruota della storia e per
farlo non può che alzare le soglie del dolore e dell'orrore “civilmente
accettabili”, perchè ad esse e intorno ad esse puntano per costruire il
consenso nei paesi occidentali in una crisi che può diventare guerra e
orrore diffuso in tempi non più remoti.
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