In principio era un sito Internet intitolato “La filosofia e i suoi eroi”.
Nei primi anni Duemila, chi cercasse in rete informazioni su Platone o
Aristotele poteva facilmente imbattersi in queste pagine redatte da uno
studente torinese di nome Diego Fusaro. Il sito era una galleria di
santini animata da una visione schematica della storia del pensiero,
ricalcata dai manuali, ma trasudava di un entusiasmo impressionante. Una
decina di anni più tardi, nel 2013, il loro autore veniva annoverato da Maurizio Ferraris su La Repubblica tra i più promettenti giovani filosofi d’Europa.
Ho
assistito alla folgorante ascesa mediatica di Diego Fusaro con un misto
d’invidia e di stupefazione. Invidia perché, essendo suo coetaneo e
avendo fatto gli stessi studi, ammetto che non mi dispiacerebbe affatto
pubblicare libri con i più prestigiosi editori, dirigere una collana di
testi filosofici, andare in televisione a tuonare contro il capitalismo
e l’ideologia gender, partecipare a convegni col fior fiore degli intellettuali infrequentabili, condurre un programma su Radio Padania, rilasciare alla stampa russa interviste a sostegno di Vladimir Putin, fare dei selfie con Marione Adinolfi e infine essere definito “filosofo dagli occhi azzurri che conquista le donne con le citazioni”.
Stupefazione,
tuttavia, perché a leggere e ascoltare certe esternazioni di Fusaro si
può avere l’impressione di avere a che fare con un idiot savant che
ripete meccanicamente degli slogan. Stupefazione, anche, per come
Fusaro sia riuscito a non far pesare la sua progressiva radicalizzazione
politica sul credito che gli prestano editori come Il Mulino, Bompiani e
Feltrinelli. Così, come se nulla fosse, uno storico editore della
sinistra italiana ha potuto affidare una monografia su Antonio Gramsci al promotore di un Fronte Nazionale Italiano.
Nessuno sembra voler fare caso al fatto che il Gramsci di Fusaro,
anti-scientifico e nazionalista, sia una filiazione diretta del gramscismo di destra teorizzato negli anni Settanta da Alain De Benoist. Un Gramscifascista se teniamo fede alla definizione che De Benoist fornisce del fascismo come, appunto, “variante del socialismo avversa al materialismo e all’internazionalismo”.
Com’è potuta accadere questa cosa che
chiamiamo Diego Fusaro? Alle fondamenta dell’edificio c’è una rapida
carriera accademica, sostenuta dall’impressionante socievolezza del
giovane Fusaro con alcuni grandi vecchi della filosofia italiana, a
cominciare da Giovanni Reale e Gianni Vattimo. E poi l’incontro col
pensiero di Costanzo Preve, studioso di Marx che teorizzò il superamento
della dicotomia destra-sinistra, caldeggiando la nascita di un fronte
comune — “rossobruno” come dicono alcuni, o “eurasiatico” come dicono
altri — contro il capitalismo. Per questo motivo, alla fine della sua
vita Preve si trovò a pubblicare i suoi libri per editori di estrema
destra (Edizioni all’insegna del Veltro, Settimo Sigillo…) accanto a Julius Evola, Corneliu Codreanu e Robert Faurisson.
È
da Preve che Fusaro prende le sue idee principali, ma è soltanto
traducendole in un sistema di frasi a effetto che il giovane filosofo
trova la ricetta adatta per bucare lo schermo. La sua strategia
“nazionale-popolare”, programmaticamente gramsciana, si pone come
obiettivo di “creare un nuovo senso comune” tenendo conto dei “semplici”
(bontà sua) al fine di creare un “fronte trasversale” contro il
“capitalismo trionfante”. Tutto questo, tuttavia, senza mai definire
chiaramente le caratteristiche del suo progetto politico radicale.
Sicuramente
Fusaro non è fascista, poiché autocertifica di non ammirare Hitler o
Mussolini; sicuramente non è leghista, avendo preso duramente le
distanze da Salvini; ma per sua stessa ammissione si considera più
vicino al programma di CasaPound che a quello di Tsipras. Marxista,
Fusaro? Questo proprio no, a meno di considerare marxista chiunque abbia
il vezzo di citare Marx, e ultimamente sono tanti e insospettabili, da Alain De Benoist a Marine le Pen:
Fusaro stesso si definisce “allievo indipendente di Marx e Hegel”, come
già Preve prima di lui, ma il suo immaginario politico assomiglia
quello del socialismo controrivoluzionario otto-novecentesco che culmina
nel circolo Proudhon.
Pare di avere a che fare con un caso particolarmente acuto di “marxismo
immaginario”, per citare Raymond Aron… Forse è vero che destra e
sinistra non esistono più, e allora dovremo trovare nuove parole. Non
tanto per capire meglio le trasformazioni del piano ideologico — roba
vecchia, del secolo scorso! come direbbe il giovane filosofo — quanto
per taggare con maggiore precisione i nostri tweet: allora diciamo che Fusaro è indubbiamente un #sovranista e approssimativamente un #lepenista.
Malgrado
la giovane età, Diego Fusaro è già fatto maestro nell’arte in cui
eccellono i più celebrati filosofi contemporanei: quella di riuscire a
trattare qualsiasi problematica dicendo sempre le stesse quattro cose,
assumendo inoltre un linguaggio e un’espressività che il pubblico
riconoscerà come professorale. A differenza di altri filosofi
universitari ai quali viene rimproverato di esprimersi in un idioletto
indecifrabile — ad esempio usando paroloni come “idioletto” — Fusaro
parla e scrive in maniera relativamente chiara e persino pedagogica,
anche se non immune da una certa tragicomica pesantezza.
La
chiacchiera fusariana consiste nel montaggio semi-aleatorio di un pugno
di moduli argomentativi preconfezionati, di formule declamatorie (“lo
dico nel modo più radicale possibile”) e di citazioni ricorrenti
(“cretinismo economico”, “epoca della compiuta peccaminosità”,
eccetera). Come già segnalato sopra, molti elementi del suo discorso
sono presi di peso dai libri di Costanzo Preve. Il risultato non è
diverso da quello che si potrebbe ottenere con un generatore automatico e
la quantità di testi generabile in questo modo è potenzialmente
infinita, come testimonia la prolificità del giovane filosofo.
Avventurarsi nella visione della sua gigantesca videografia su YouTube
significa fare i conti con un universo di slogan ripetitivo e
autoreferenziale. E per ciò stesso, incredibilmente efficace.
Talvolta il meccanismo s’inceppa e produce delle affascinanti anomalie, dei loop e dei glitch nel
tessuto logico. Ecco un esempio gustoso della lingua fusariana, del suo
modo di “occupare lo spazio” dicendo poco o nulla, tratto da un intervento al Festival della Politica di Mestre nel 2014:
Io
credo che si tratti oggi più che mai di lavorare filosoficamente a
partire da una critica delle ideologie che porti all’attenzione la
critica del potere come necessariamente basata sulla critica delle
ideologie.
Questa
frase non passerebbe il test di Turing, celebre esperimento mentale che
serve a distinguere l’intelligenza umana da quella artificiale. Ma
siamo indulgenti: si tratta di uno scivolone come se ne fanno talvolta
nella lingua orale. Parliamo allora del conto Twitter del filosofo, dove vengono mandati in rotazione continuamente gli stessi slogan, come se ad animarlo fosse un bot.
Questo accade non perché Fusaro sia effettivamente un robot, ma perché
applica un preciso metodo che si apprende nelle facoltà di filosofia.
Una tecnologia espressiva della quale oggi l’ineguagliato campione è
Umberto Galimberti, grande copia-incollatore di
testi propri e altrui: con elevatissimi tassi di riciclaggio da un
libro all’altro — fino al 95% — l’editorialista del magazine D di Repubblica ha tracciato la via del suo giovane erede.
Il
metodo combinatorio, in effetti, si applica anche allo scritto. La
carriera accademica di Fusaro segue il ritmo delle numerose
pubblicazioni scientifiche, come il recente Fichte e l’anarchia del commercio. Si tratta di una lettura de Lo Stato commerciale Chiuso di Johann Gottlieb Fichte, testo feticcio della nuova destra ripubblicato nel 2009 per le Edizioni di Ar da Franco Freda,
già fondatore del primo Fronte Nazionale italiano. Più che un vero
saggio di storia delle idee, il libro di Fusaro è un capolavoro
nell’arte di allungare il brodo: due o tre occorrenze per ogni singola
citazione da Fichte; la tesi del libro parafrasata decine di volte
cambiando l’ordine delle parole ma senza mai riuscire a darle maggiore
profondità; grappoli di frasi identiche una dietro l’altra. Se vi siete
mai chiesti come sia possibile realizzare un libro di 274 pagine con il
materiale che serve a riempirne tutt’al più una cinquantina, un indizio
tiene in questa semplice citazione dal testo (pp. 96-97):
L’aporia può essere superata continuando a concentrare l’attenzione sul mondo storico a contatto con il quale la Wissenschaftslehre come System der Freiheit si
è venuta costituendo. È nostra convinzione che l’aporia possa essere
superata continuando a concentrare l’attenzione sul mondo storico a
contatto con il quale la Wissenschaftslehre è sorta.
Se
non fosse chiaro, Fusaro sta dicendo che l’aporia si può superare
concentrando l’attenzione sul mondo storico dalla quale è sorta la Wissenschaftslehre, che poi è un altro modo di affermare che si potrà superare l’aporia concentrandosi sul mondo storico a contatto della quale laWissenschaftslehre si è costituita. La cosa più interessante è che comunque Fusaro non ci diràassolutamente nulla di
rilevante su questo benedetto contesto storico. Contrariamente a quello
che ribadisce spesso, il nostro è incapace di storicizzare i testi: la
sua tesi su Fichte infatti, molto simile alla sua tesi su Gramsci, è
che… bisogna uscire dall’Euro! Per un’introduzione più pertinente
all’opera di Fichte nel suo contesto, si preferirà leggere l’ottimo The Closed Commercial State: Perpetual Peace and Commercial Society from Rousseau to Fichte di Isaac Nakhimovsky.
Tra
il 2005 e oggi Fusaro ha pubblicato più di dieci monografie. La maggior
parte sembrano libri composti secondo le buone regole della scrittura
filosofica universitaria e indicano una frequentazione approfondita
delle fonti. Bentornato Marx! Rinascita di un pensiero rivoluzionario,
per fare un esempio, svolge in maniera indubbiamente scorrevole il
compito di difendere la sua tesi. Tesi piuttosto contestabile, va detto,
che ancora una volta è esattamente la
stessa di Preve: secondo Preve-Fusaro, della tradizione marxista si
deve lasciar perdere l’elaborazione economica e invece concentrarsi sul
lascito puramente filosofico. L’economia è, in generale, la bestia nera
di Fusaro, che diffida da ogni confronto con la realtà empirica poiché
potrebbe scoraggiare l’ottimismo della volontà.
È
un libro che parla molto di alienazione, di feticismo, di sfruttamento,
e assolutamente mai di composizione organica del capitale, di caduta
tendenziale del saggio di profitto o semplicemente di teoria delle
crisi. Il Marx di Fusaro sta qui semplicemente per dirci che il
capitalismo è una cosa ingiusta, da abbattere a ogni costo, e non ci
dice nulla sugli elementi che condannano il sistema a una perenne
instabilità. Questo Marx è un Dickens che parla come un hegeliano.
Appiattendo il pensiero di Marx sull’idealismo tedesco, Fusaro può
facilmente liberarsi di tutto ciò che nel pensatore di Treviri
appartiene alla tradizione del marxismo novecentesco e tornare alla
fonte di un socialismo pre-scientifico, pronto per convergere con
nazionalismo e comunitarismo. E d’altra parte, questo suo lavoro
sull’attualità del pensiero di Marx — fermo circa ad Althusser — astrae
totalmente dai più recenti dibattiti.
Vizi
di forma esclusi, affinità elettive con i neofascisti a parte, c’è
ancora chi sostiene che Fusaro porti avanti una critica necessaria del
pensiero dominante del nostro tempo. In realtà, Diego Fusaro deve la sua
fortuna alla capacità che ha avuto di occupare di forza un
certo territorio ideologico, quello della critica del Sessantotto
inteso come momento culminante del capitalismo — una critica
popolarizzata da Michel Houellebecq con vent’anni di anticipo e molta
più finezza, ripresa con originalità da Jean-Claude Michéa nei primi
anni Duemila, ma in fondo già evidente a marxisti come Michel Clouscard e
liberali conservatori come Raymond Aron che vivevano “in diretta” il
maggio francese e ne coglievano con lucidità le contraddizioni.
Il
pubblico di Fusaro è fatto di chi, non avendo avuto modo di sentire
altrove certe idee, si convince che queste siano originali e
controcorrente. Si convince quindi che esista una dittatura del
“pensiero unico” semplicemente perché si abbevera egli stesso alle fonti
della cultura dominante e non riesce a concepire che magari è la sua concezione di destra e di sinistra ad essere caricaturale. Ogni volta che legge un trafiletto su Judith Butler e la teoria del gender, marginalissima moda intellettuale non più rilevante del balconing, invece di farsi una bella risata lo prende come indizio di un progetto mondialista che
minaccia direttamente il suo uccello. Questa non è critica
dell’ideologia, e nemmeno dialettica conservatrice: è retorica
populista, buona solo per arringare le folle.
Non
avevamo certo bisogno di Fusaro per aprirci gli occhi sulle
contraddizioni della sinistra e del capitalismo, eppure eccolo qui.
Qualcuno lo applaude per avere scoperto l’acqua calda e lui la butta giù
a secchiate su facili capri espiatori, nella più nobile tradizione di
un “socialismo degli imbecilli” (cit. August Bebel) incapace di vedere
all’opera le forze dell’economia dietro i comportamenti degli individui.
Nel frattempo, la stampa, l’editoria e l’accademia continuano a fare
come se fosse tutto normalissimo: d’altra parte questo ragazzo va in
televisione, non lasciamocelo scappare! Altrimenti chi se lo compra un
libro su Gramsci?
di
Raffaele Alberto Ventura, www.minimaetmoralia.it/
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