venerdì 12 aprile 2013

“Poveri” dipendenti pubblici, povero welfare di Stefano Porcari, Contropiano.org

Lo ammette una fonte insospettabile: quella che ne è responsabile. Il rapporto diffuso dall'Aran conferma la macelleria sociale su lavoratori e servizi pubblici. Una regressione sociale in piena regola, che può peggiorare. A meno che....
Lasciamo parlare i fatti. Qui di seguito il comunicato ufficiale dell'Aran, l'Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, organismo della Presidenza del Consiglio. Di seguito un articolo-commento di Roberto Ciccarelli. Il quadro che ne emerge conferma la pesantissima destrutturazione del settore pubblico, sia sul piano di chi vi lavora sia dal punto di vista dei servizi che eroga. I qualunquisti di ogni fattezza farebbero bene a leggere prima di adagiarsi e rilanciare luoghi comuni contro i lavoratori pubblici ormai smentiti dalla realtà.

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Aran: “Rapporto semestrale sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti”
Il Presidente dell’Aran, Sergio Gasparrini, ha presentato alla stampa il Rapporto sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti, la pubblicazione semestrale dell’Aran che fa il punto sull’andamento delle retribuzioni dei pubblici dipendenti.
Alla presentazione, hanno partecipato Antonio Naddeo, capo dipartimento di Funzione Pubblica, ed Enrico Mingardi, consigliere Aran.
Il Rapporto presenta ed analizza gli ultimi dati disponibili sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici e sulla spesa complessiva per le retribuzioni sostenuta dalle pubbliche amministrazioni. Si conferma il quadro complessivo, già messo in luce dai precedenti numeri del Rapporto, caratterizzato da retribuzioni sostanzialmente ferme e perfino in leggera diminuzione (il 2011 fa segnare, su tutto il pubblico impiego, -0,8%). Le prime anticipazioni sui dati 2012 tendono a confermare questo quadro.
Il Rapporto evidenzia inoltre che la spesa complessiva sostenuta dalla pubblica amministrazione per pagare le retribuzioni (circa 170 miliardi di Euro, pari a poco meno dell’11% del PIL), per la prima volta nel 2011, dopo molti anni di crescita ininterrotta, diminuisce dell’1,6%. Le anticipazioni Istat sul dato 2012 evidenziano un ulteriore significativo calo del 2,3%. La spesa è prevista in diminuzione anche per l’anno 2013.
La riduzione della spesa complessiva si deve non solo al blocco delle retribuzioni, ma anche (in misura prevalente) alla diminuzione del numero di occupati nella PA, passati da circa 3,6 milioni nel 2007 a meno di 3,4 milioni nel 2012 (la diminuzione in cinque anni è stata di poco più del 6%).
Gli andamenti registrati sono principalmente il frutto delle misure di contenimento varate negli ultimi anni e, in particolare:
• dei vincoli sul turn-over e dei provvedimenti di riduzione organici, adottati a più riprese nelle manovre di correzione dei conti pubblici degli ultimi anni e riproposti anche nel più recente D.L. n. 95/2012 (“spending review”);
• del blocco dei contratti nazionali previsto dal D.L. n. 78/2010;
• delle altre misure sulla spesa di personale, previste dallo stesso D.L. n. 78/2010, di cui hanno ampiamente dato conto i precedenti numeri del Rapporto semestrale (ad esempio, congelamento risorse per pagare le voci di salario accessorio e loro riduzione proporzionale in base alla diminuzione degli occupati, blocco degli scatti di anzianità per alcune categorie di personale, blocco spese per le missioni).
Dai dati presentati viene la conferma che, in termini macroeconomici, gli aggregati di finanza pubblica hanno potuto beneficiare di una dinamica negativa.
Questa certezza è importante, sotto il profilo della tenuta dei conti pubblici, in quanto si tratta della grandezza statistica che viene osservata in ambito internazionale e che orienta il giudizio che si forma sui mercati finanziari.
I risultati indubbiamente positivi sul piano finanziario vanno tuttavia valutati anche alla luce delle possibili ricadute sull’innovazione organizzativa e sulla modernizzazione del settore pubblico. Vi è infatti il problema di vincoli troppo rigidi e circoscritti che rischiano di ostacolare i processi di innovazione organizzativa, tecnologica e di servizio, necessari per conseguire livelli più elevati di produttività, nonché l’ulteriore problema di riduzioni lineari della spesa che “colpiscono alla cieca” e non si pongono il problema di una migliore allocazione delle risorse.
Il Rapporto non manca di sottolineare come sia necessario “tenere insieme” l’esigenza di una dinamica compatibile con gli obiettivi di finanza pubblica con la necessità, sempre più avvertita, di avviare percorsi di cambiamento organizzativo presso le amministrazioni pubbliche per migliorare servizi, prestazioni e tempi di risposta ai cittadini ed alle imprese. Sotto questo profilo, arrivano dal Rapporto alcune concrete indicazioni, come quella di introdurre obiettivi differenziati di riduzione del personale, in base a standard nazionali di utilizzo efficiente delle risorse umane. Su quest’ultimo punto, in particolare, viene presentata e discussa una possibile metodologia di determinazione dei “fabbisogni standard di personale” sugli uffici periferici delle amministrazioni statali. Più in generale, il Rapporto rilancia l’esigenza di guidare ed accompagnare il cambiamento organizzativo delle amministrazioni con adeguate politiche nazionali ed opportuni incentivi.
Comunicato stampa ufficiale dell'Aran del 9 aprile 2013
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Qui di seguito l'interessante articolo uscito mercoledi 10 aprile su Il Manifesto

PUBBLICO IMPIEGO - I dati del rapporto Aran «svelano» il massacro di welfare, scuola e sanità. Lo stato è tornato al 1979
di Roberto Ciccarelli
La cura neo-thatcheriana ai costi dello stato inizia a produrre i suoi effetti: dal 2006 al 2011 i dipendenti pubblici sono passati da 3.627.139 a 3.396.810. Oltre 230mila persone hanno smesso di lavorare per lo stato negli ultimi cinque anni. Questi dati sono contenuti nel rapporto semestrale sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti, presentato ieri dall'Aran, l'agenzia che rappresenta la pubblica amministrazione nella contrattazione collettiva nazionale.
Contrariamente a una delle leggende diffuse dai sostenitori dello «stato minimo», questi numeri dimostrano che l'Italia è sotto la media Ocse per numero di occupati nella pubblica amministrazione. Sono meno di quelli francesi, e lo si può capire, considerata le tradizioni dei nostri vicini d'Oltralpe. Ma, sorpresa, l'Italia si classifica sotto i paesi presi ad esempio dai sostenitori del neo-liberismo scatenato: gli Stati Uniti e la patria dell'Iron Lady Margaret Thatcher. Sotto di noi ci sono solo i «Pigs» Spagna e Portogallo e il nuovo «faro» della Germania.
Nessun problema, l'Italia la raggiungerà presto, anche grazie al rinvio dei pensionamenti voluti dalla riforma Fornero, il blocco delle nuove assunzioni e al mancato rinnovo degli interinali, tempi determinati e flessibili, già in atto da tempo. Secondo la Ragioneria generale dello Stato sono diminuiti di oltre il 26% negli ultimi 5 anni. Per l'Aran nel 2012 il calo sarà del 2,3% e continuerà nel 2013. Il risparmio sugli stipendi sarà notevole: nel 2011 la spesa è stata di 170 miliardi (-1,6% sul 2010). Nel 2012 è calata a 165,36 miliardi (-2,3%). Anche nelle retribuzioni lo stato italiano viaggia a ritroso nel tempo. Oggi è tornato al 1979. E, purtroppo, non si fermerà.
I settori dove i tagli si sono fatti sentire di più sono quelli che garantiscono il Welfare, scuola e sanità, e poi gli enti locali e i ministeri. Il processo è iniziato con l'ultimo governo Prodi, ma l'onda si è ingrossata rovesciando qualsiasi cosa davanti a sé quando Giulio Tremonti è tornato ad occupare la scrivania di Quinto Sella al ministero dell'Economia, spalleggiato da Renato Brunetta alla funzione pubblica e da Maria Stella Gelmini all'istruzione. Un concerto che ha posto le basi per i tagli del futuro che colpiranno in Lombardia (dove lavora il 25% dei dipendenti pubblici), il Trentino e il Lazio con il 19% e il 18% di dipendenti in eccesso. In Calabria gli uffici sono invece sotto organico del 23%.
Una controprova che l'austerità di Stato continuerà la offre il «rapporto Giarda» sulla spending review (ne abbiamo parlato su il manifesto del 20 marzo). Ci attendono nuovi tagli da 135,6 miliardi di euro sui beni e i servizi, 122,1 miliardi di retribuzioni nel pubblico, e un altro 5,2% a scuola e università che dal 2009 hanno già perso quasi 10 miliardi di euro. Sono previsti tagli del 33,1% alla spesa sanitaria, oltre a un'altra sforbiciata del 24,1% agli enti locali, già taglieggiati dal patto di stabilità interno.
Che fine fanno queste risorse finanziarie? Dovrebbero ripianare il debito, che però è aumentato nell'ultimo anno di 19 miliardi. È probabile che anche i prossimi tagli sulla pubblica amministrazione avranno lo stesso effetto. Questa è la regola dell'austerità: più tagli il debito (Monti l'ha fatto per 21 miliardi in 400 giorni), più il debito cresce a causa degli interessi pagati dallo Stato, mentre l'«efficienza» della spesa pubblica tagliata non migliora, deprimendo gli stipendi dei dipendenti (fermi al 2000 e in diminuzione dello 0,8% rispetto al 2011 e di un altro 0,5 e l'1% nel 2012). Nel privato, invece, sono aumentate del 2,1% negli ultimi 11 anni dove però l'Aran registra un calo dell'occupazione.
Siamo in un circolo vizioso, ma c'è chi ancora pensa di reinvestire i «risparmi» fatti sui ministeri e gli enti locali per finanziare il debito che la P.A. ha con le imprese (l'ha sostenuto l'inarrestabile Gelmini a Piazza Pulita l'altra sera).

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