Un
copione già visto, peccato che il film sia completamente diverso. La
carta d’intenti di Bersani, nella sua generica e suggestiva volontà di
indicare una prospettiva di nuovo corso per il Paese, è divenuta la
cornice dentro cui rischia di prevalere, a sinistra, il politicismo
sulla politica.
La questione Monti non può essere
derubricata a parentesi crociana, dopo la quale tutto sarà come prima.
Ciò significherebbe non cogliere il quadro generale, la crisi e la sua
gestione.
E’ chiaro che la dialettica aperta dalla
crisi a livello globale ed europeo punta a ridefinire le gerarchie di
poteri tra i diversi Paesi, insieme al peggioramento complessivo delle
condizioni economiche, politiche, sociali dei lavoratori e delle masse
popolari.
Se questo è vero, ed è difficile
affermare il contrario, anche in Italia c’è bisogno di costruire un
punto di riferimento politico chiaro che indichi una strada alternativa
di politiche e di prospettiva.
L’asse Bersani-Vendola aperto all’UDC è
senza dubbio la riproposizione sbiadita del centrosinistra sempre più
centro e che assorbe in sè la novità Monti. Il tutto con la sinistra
ridotta a comprimaria di un’alternativa disegnata nel libro dei sogni,
ma concretamente in continuità con quanto realizzato in questi terribili
mesi. Su questo punto le acrobazie di Vendola sono patetiche. Vendola e
soprattutto gli elettori di SeL lo devono sapere: prima o dopo le
elezioni (ma cosa importa?) PD e UDC convergeranno nel Governo del
Paese. O ci si sta a questo gioco o non ci si sta.
Una situazione ben sintetizzata da
Casini nel suo profilo facebook a proposito del dibattito nel
centrosinistra:” Un anno fa Berlusconi sottoscrisse la lettera di
impegni richiesta dalla BCE all’Italia. Recentemente abbiamo
sottoscritto il fiscal compact e messo il pareggio di bilancio in
costituzione. La strada della prossima legislatura è segnata, ed è
quella nel rispetto dell’impegno con l’Europa. Il resto sono chiacchiere
d’Agosto.”
Le stesse dichiarazioni di Monti sulla
possibilità che l’Italia usi il Fondo Salva Stati fanno aumentare le
preoccupazioni. Nelle stanze della BCE si parla di nuovi memorandum,
ovvero di provvedimenti antipopolari per chi accederà al Fondo.
Per quanto riguarda la FdS, in assenza
della certezza con quale legge elettorale si andrà a votare, quello su
cui è possibile ragionare è la strategia. Un elemento che va consigliato
a tutti. Ad esempio se passasse l’ipotesi di premio al primo Partito
salterebbe la logica delle coalizioni e in questo caso sarebbero poco
eleganti precipitosi passi indietro rispetto alle posizioni prese
frettolosamente sulle alleanze. E poi avere in testa una strategia aiuta
ad avere una tattica.
La strategia è battere in questo Paese
le politiche imposte dalla BCE, in connessione con il resto della
sinistra comunista e antiliberista d’Europa, costruire una soggettività
politica conseguente e aprire una prospettiva che vada nella direzione
opposta. Un punto di vista altro da quello dominante e che oggi permea a
diversi gradi tutte le forze politiche del centrodestra e del
centrosinistra.
Nella sostanza il compito strategico è
riaprire anche in Italia la questione del socialismo. Costruendo una sua
percezione concreta fatta di passaggi intermedi contenuti anche nella
Costituzione nata dalla Resistenza. Nel rovescio delle cause della crisi
sono presenti gli elementi di socialismo da rendere comprensibili:
Programmazione e gestione pubblica in economia contro l’anarchia del
mercato; redistribuzione della ricchezza dall’alto verso il basso che
significa più salario diretto, indiretto e differito; più democrazia e
partecipazione nelle istituzioni, nella società e nei luoghi di lavoro;
politiche di cooperazione tra i popoli e no alla guerra. Battaglie da
riversare in un’altra ipotesi d’Europa. Poche questioni traducibili in
un programma concreto ed in parte presenti nei punti indicati dalla Fiom
il 9 di giugno.
Su questo terreno, a partire
dall’opposizione a Monti, la sinistra dovrebbe trovare una convergenza e
attivare da subito una mobilitazione. Il prossimo autunno non può
essere il periodo del silenzi o della mera disputa elettorale, non sono
certo le primarie a cambiare i rapporti di forza. In Italia pesa la
scarsa autonomia del sindacato, in particolare della CGIL, dal PD. Non è
un caso che di fronte al disastro di Monti si sono avute solo 3 ore di
sciopero. Ma non per questo si può rimanere fermi; farlo significa
condannare i lavoratori alla passività.
Vendola, dal canto suo, ha deciso di
confrontarsi prima con chi sostiene Monti e poi di scaricare chi è
all’opposizione di questo, FdS e IDV. Dentro questa macroscopica
contraddizione ci sarà lo spazio per agire o no? Queste forze, insieme a
tutti coloro che sui contenuti convergono contro il governo, devono
convergere ed esprimersi in una grande mobilitazione per l’autunno. La
manifestazione del 12 maggio dice che lo spazio c’è. E’ possibile che
questa spinta consigli Vendola a rivedere i suoi piani? Difficile, vista
la sua strategia di costruire una forza plurale e post ideologica
dentro il PD, ma non si può essere subalterni anche a lui, alla sua
strategia e non parlare alla sua base.
In tale quadro i ritardi della
Federazione della Sinistra sono inaccettabili. Il corteo del 12 maggio è
stato lasciato un appuntamento sospeso senza conseguenze nè interne nè
esterne: un’occasione buttata al vento. Non si può accusare la stampa
malevola se non si producono fatti politici significativi. Ci si è persi
nell’infinita ed improduttiva discussione interna sulla sola
collocazione elettorale restando completamente paralizzati, mentre il
mondo si continuava a muovere con una mutazione permanente delle forze
politiche in campo, da Grillo, alla lista dei sindaci, dalle divisioni
dell’IDV, a quelle in SeL, a tutta la composizione e scomposizione
avviata nel centrodestra.
Con quali rapporti di forza la FdS, mai
citata da nessun interlocutore a destra e a sinistra, si presenta in
questa situazione in movimento? Quali iniziative sono state intraprese
per costruire il polo di sinistra di cui si parla ormai da anni? Quale
valorizzazione a livello nazionale si è data, ad esempio, all’esperienza
di Napoli? Quante contraddizioni sono state aperte ed utilizzate a
questo fine con gli interlocutori principali? Quanto aiutano le
dichiarazioni contrastanti di PdCI e Prc ad indebolire ogni capacità
d’influire sul quadro generale? Quanto pesa l’incapacità di non aver
costruito un processo di unificazione tra i due principali partiti
comunisti del Paese?
La condanna della FdS alla marginalità, o
ancor peggio alla subalternità da “cappello in mano”, sono frutto di
questa paralisi e non è responsabilità del destino cinico e baro. Lo
stesso Di Pietro è arrivato prima addirittura sui referendum per il
ripristino dell’art.18. Anche questo si può definire un record.
A coloro che a sinistra e nella FdS già
hanno deciso, in qualunque caso, con qualunque programma, con qualunque
memorandum, in caso di qualunque guerra, di fare un accordo di governo
con il PD va consigliata cautela. Primo per la legge elettorale che
potrebbe non prevedere alleanze. Secondo, non per importanza, perché un
programma di governo condiviso tra FdS e PD era già ritenuto da tutti
impossibile (compreso dal PD) ai tempi di Berlusconi. Non si capisce
come possa esserlo dopo Monti. I vincoli posti nella carta d’intenti, le
uniche vere indicazioni chiare di Bersani, sono tali da rendere
ininfluente la presenza della sinistra: vincolo di approvare a
maggioranza i provvedimenti su cui c’è divisione, vincolo sulle missioni
internazionali, vincolo sulle politiche della BCE, solo per citarne
alcuni.
Si provi ancora, seppure in colpevole
ritardo, a lavorare all’iniziativa politica. Alla luce di questa si apra
sulla collocazione elettorale una discussione ed una consultazione tra
tutti gli iscritti alle forze che compongono la FdS. Una scelta si dovrà
fare, ma sia vincolante per tutti. Lo deve essere perché non si può,
ancora una volta, rompere un pezzo di unità strategica su un passaggio
tattico. Unità dei comunisti, unità della sinistra, sono obiettivi da
praticare, nella chiarezza della prospettiva, ogni giorno e non sono da
evocare ad intermittenza. E credo sia chiaro a tutti che la rottura
della FdS rappresenterebbe il fallimento definitivo dei suoi gruppi
dirigenti.
Di fronte al baratro in cui siamo noi e il Paese in realtà il tempo è scaduto, ma c’è da sperare nei supplementari.
Fabio Nobile - fabionobile.wordpress.com
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