Qualunque sia il giudizio di merito
nella contesa tra il Quirinale e la magistratura di Palermo, è ormai
chiaro l'accerchiamento che stringe d'assedio, tra applausi e rumorosi
silenzi (soprattutto del Pd), i giudici che si occupano di indagare
sulla trattativa tra uomini dello stato e mafiosi. Ogni giorno si
aggiunge un tassello, con annunci di provvedimenti disciplinari, e
riesumazioni della legge bavaglio, al mosaico di berlusconiana memoria.
Abbiamo: un procuratore generale della Cassazione contro il pubblico
ministero Antonino Di Matteo (con Antonio Igroia titolare dell'inchiesta
stato-mafia) che ha osato rispondere ad alcune domande di Repubblica
(senza nulla aggiungere a cose già note); il suo capo, Francesco
Messineo che rischia, sempre per l'intervista incriminata, di vedersi
sbarrata la strada verso la procura generale di Palermo; abbiamo, per
ultimo, il procuratore generale di Caltanissetta, Roberto Scarpinato,
proposto al giudizio del Csm per aver commemorato il giudice Paolo
Borsellino denunciando le connessioni tra politici e mafiosi (e ora
rischia il trasferimento d'ufficio).
Se l'attacco in tre mosse contro gli eredi dell'antimafia di Falcone e Borsellino avviene dopo il ricorso del presidente Napolitano alla Consulta, per presunti sconfinamenti dei magistrati parlermitani nelle intercettazioni allegate alla loro inchiesta, è del tutto casuale. Tuttavia, il momento politico che stiamo vivendo sembra riportarci dentro la palude di Arcore. In particolare dopo l'ultima esternazione del presidente del consiglio Monti. L'uomo messo a guardia dello spread (con scarsi risultati) ora ha scoperto di essere un esperto costituzionalista, oltre che quirinalista provetto. Il professore ritiene «grave e peraltro evidente a tutti» che i magistrati non hanno rispettato la legge. «Evidente a tutti», come diceva Berlusconi quando si trattava di mettere su piazza l'ennesima balla. Se Monti avesse letto Zagrebelsky forse non avrebbe detto una simile sciocchezza.
Fatto è che dietro gli occhiali e l'aria professorale, il presidente del consiglio e i suoi ministri, ci rifilano delle evidenti fregature, magari sobrie e pensose, ma nella sostanza uguali a quelle del suo predecessore (il debito pubblico che macina record, la disoccupazione al galoppo, la recessione che accelera, il taglio bestiale ai diritti sociali in nome dell'equità...). Monti fa venire in mente il parolaio Berlusconi anche quando va all'estero e rilascia interviste in cui manifesta di avere in gran dispetto il parlamento e una gran voglia di sostituire la democrazia con la governance (salvo poi, altro déjà-vu, smentire se stesso). Del resto, quando all'inizio del suo governo, elogiava Marchionne e Gelmini, quando sfornava la controriforma delle pensioni e, sempre con sobrietà, svuotavano l'articolo 18, avremmo dovuto capire che, prima o poi, sarebbe arrivato anche l'attacco alla magistratura, fino al plateale sconfinamento (ha ragione il magistrato Ingroia) nella vicenda Napolitano-Consulta. Un perfetto ventriloquo di Berlusconi.
Purtroppo tutto accade senza una forte opposizione nel paese. Qualche giornale, qualche intellettuale, qualche partito, qualche sindacato si fa sentire. Invece le forze democratiche più importanti (Pd e Cgil) sono invischiate nella ragnatela del governo di emergenza. Ma siamo convinti che in autunno, con la crisi drammatica che attraversiamo e con il campanello d'allarme delle elezioni, la pax montiana non reggerà.
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