L'alternativa riparta dalle piazze
di Piero Maestri (da il manifesto)
di Piero Maestri (da il manifesto)
Abbiamo letto con interesse gli interventi di Marco Revelli e Paolo
Ferrero pubblicati nei giorni scorsi da «il manifesto». Interesse per le
analisi che fanno del governo Monti e per la proposta di ricerca della
costruzione di un'alternativa politica a sinistra.
Condividiamo il giudizio sul governo Monti - e le sue politiche - come «costituente». a nostro avviso questo governo rappresenta un punto di non ritorno e un'ipoteca pesantissima per il futuro principalmente per due motivi: da una parte per il contenuto delle politiche liberiste del governo Monti-Napolitano, che hanno segnato l'ennesimo episodio di quella «lotta di classe dall'alto» di cui parla Luciano Gallino, colpendo con forza i diritti e i poteri di lavoratrici e lavoratori (siano essi pubblici o privati, precari o in via di precarizzazione), pensionate/i, disoccupate/i e giovani generazioni; dall'altra parte per il fatto che queste politiche sono state approvate con la complicità esplicita e plaudente del PD e quella implicita delle confederazioni sindacali - Cgil compresa (a parte il tentativo Fiom di resistere a questa deriva).
Condividiamo il giudizio sul governo Monti - e le sue politiche - come «costituente». a nostro avviso questo governo rappresenta un punto di non ritorno e un'ipoteca pesantissima per il futuro principalmente per due motivi: da una parte per il contenuto delle politiche liberiste del governo Monti-Napolitano, che hanno segnato l'ennesimo episodio di quella «lotta di classe dall'alto» di cui parla Luciano Gallino, colpendo con forza i diritti e i poteri di lavoratrici e lavoratori (siano essi pubblici o privati, precari o in via di precarizzazione), pensionate/i, disoccupate/i e giovani generazioni; dall'altra parte per il fatto che queste politiche sono state approvate con la complicità esplicita e plaudente del PD e quella implicita delle confederazioni sindacali - Cgil compresa (a parte il tentativo Fiom di resistere a questa deriva).
La preoccupazione maggiore che abbiamo oggi di fronte non è quindi
solamente la possibilità di un ennesimo governo neoliberista - a guida
del centrodestra o del centrosinistra - quanto l'incapacità di
ricostruire un'opposizione politica e sociale a queste politiche.
I mesi scorsi sono stati caratterizzati si dalle politiche di Monti-Bersani-Alfano, ma anche dalla difficoltà di esprimere con forza ed efficacia - sul piano delle lotte sociali e su quello politico - un'opposizione tenace e organizzata alle politiche stesse.
Ci siamo fermati alla «sconfitta» del 15 ottobre 2011.
Non che siano mancati episodi importanti di lotta e resistenza sociale, dal NoTav in Val di Susa (e in tutto il paese) alle centinaia di vertenze di lavoratrici e lavoratori in difesa del posto di lavoro, dalle esperienze di comitati contro il debito e per l'audit cittadino a tanti altri esempi. La caratteristiche di queste esperienze è però quasi sempre la loro frammentarietà, la loro «solitudine», l'incapacità di una sinistra politica tutta da costruire di ripartire da esse per riallacciare i fili di un programma di alternativa che parte proprio dalle lotte e dalla mobilitazione sociale.
I mesi scorsi sono stati caratterizzati si dalle politiche di Monti-Bersani-Alfano, ma anche dalla difficoltà di esprimere con forza ed efficacia - sul piano delle lotte sociali e su quello politico - un'opposizione tenace e organizzata alle politiche stesse.
Ci siamo fermati alla «sconfitta» del 15 ottobre 2011.
Non che siano mancati episodi importanti di lotta e resistenza sociale, dal NoTav in Val di Susa (e in tutto il paese) alle centinaia di vertenze di lavoratrici e lavoratori in difesa del posto di lavoro, dalle esperienze di comitati contro il debito e per l'audit cittadino a tanti altri esempi. La caratteristiche di queste esperienze è però quasi sempre la loro frammentarietà, la loro «solitudine», l'incapacità di una sinistra politica tutta da costruire di ripartire da esse per riallacciare i fili di un programma di alternativa che parte proprio dalle lotte e dalla mobilitazione sociale.
Una proposta di incontro e di coalizione politica, certamente
condivisibile, deve allora partire da lì, dal rilancio di una
mobilitazione sociale unitaria contro le politiche della Bce e del
governo Monti e contro il pagamento del debito, per la difesa dei
diritti di lavoratrici e lavoratori, per il reddito, i diritti civili,
la riconversione ecologica della produzione e della società. Una
mobilitazione che riparta dalle strade delle città, dai legami con le
«indignazioni» europee e con le rivoluzioni arabe e rilanci un
appuntamento condiviso e unitario in autunno. In questo senso non ci
sembra ipotizzabile un'alleanza con forze populiste per quanto
alternative allo schieramento messo in campo dal Pd.
E' su questa mobilitazione che possiamo costruire le basi e i nodi di una rete della sinistra alternativa che vada oltre le esperienze del passato e non ne ricalchi gli errori - magari in forma ancora meno credibile e riconoscibile. Una sinistra che a quel punto si può anche porre obiettivi di presenza elettorale - fuori e contro qualsiasi coalizione con il Pd - che non siano residuali o subalterni. Anche in questo caso, però, perché sia feconda ed efficace occorre la capacità di una proposta nuova, interessante e utile. Non finalizzata a riprodurre apparati, non meramente autorappresentativa, plurale: abbiamo bisogno di costruire un luogo, senza primogeniture, formato da diverse esperienze, non ideologico, né riconducibile a simboli già esistenti ma, al contrario, appetibile soprattutto per giovani generazioni e per i movimenti e per lavoratrici e lavoratori dal futuro sempre più incerto.
Noi faremo la nostra parte.
portavoce Sinistra Critica
E' su questa mobilitazione che possiamo costruire le basi e i nodi di una rete della sinistra alternativa che vada oltre le esperienze del passato e non ne ricalchi gli errori - magari in forma ancora meno credibile e riconoscibile. Una sinistra che a quel punto si può anche porre obiettivi di presenza elettorale - fuori e contro qualsiasi coalizione con il Pd - che non siano residuali o subalterni. Anche in questo caso, però, perché sia feconda ed efficace occorre la capacità di una proposta nuova, interessante e utile. Non finalizzata a riprodurre apparati, non meramente autorappresentativa, plurale: abbiamo bisogno di costruire un luogo, senza primogeniture, formato da diverse esperienze, non ideologico, né riconducibile a simboli già esistenti ma, al contrario, appetibile soprattutto per giovani generazioni e per i movimenti e per lavoratrici e lavoratori dal futuro sempre più incerto.
Noi faremo la nostra parte.
portavoce Sinistra Critica
L'articolo di Paolo Ferrero da il manifesto
Ho molto apprezzato l’articolo di Marco Revelli apparso alcuni giorni fa sul manifesto. Condivido l’esigenza di dare corpo ad uno spazio pubblico di sinistra, che dia una risposta in avanti alle domande di cambiamento che non trovano soluzione nelle ipotesi politiche ad oggi presenti. Ritengo urgente fare un passo in avanti e scrivo queste note per aprire un dialogo esplicito, al di fuori di inutili diplomatismi.
Ho molto apprezzato l’articolo di Marco Revelli apparso alcuni giorni fa sul manifesto. Condivido l’esigenza di dare corpo ad uno spazio pubblico di sinistra, che dia una risposta in avanti alle domande di cambiamento che non trovano soluzione nelle ipotesi politiche ad oggi presenti. Ritengo urgente fare un passo in avanti e scrivo queste note per aprire un dialogo esplicito, al di fuori di inutili diplomatismi.
1) Il governo Monti non è una parentesi ma un vero e proprio governo
costituente. Se, come ci insegna Carl Schmitt, “sovrano è colui che
decreta lo stato di emergenza”, Monti oggi incarna un potere sovrano che
attraverso la produzione di paura e rassicurazioni sta realizzando in
Italia una rivoluzione iperliberista e la contemporanea passivizzazione
di massa. L’obiettivo perseguito è la sistematica distruzione dei
diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, del welfare e la
privatizzazione del complesso del patrimonio pubblico. La stessa
recessione provocata dalle misure assunte dal governo e dalle forze
politiche che lo sostengono, diventa parte integrante di questa azione,
basata sull’annichilimento della popolazione, sullo shock per dirla con
Naomi Klein.
2) Il carattere costituente dell’azione del governo proietta i suoi
effetti ben al di la della sua durata temporale. Le misure assunte
ristrutturano i rapporti sociali così come definiscono i confini delle
politiche economiche. Il combinato disposto tra inserimento del pareggio
di bilancio in Costituzione e approvazione del Fiscal Compact non
esauriscono la loro efficacia nei prossimi mesi. Rappresentano un vero e
proprio binario obbligato, destinato a fissare per i prossimi anni la
politica economica di ogni governo in carica. Il taglio del debito
pubblico di 45 miliardi ogni anno per vent’anni è una camicia di forza
che inchioda l’Italia a politiche iperliberiste, ben al di la della
durata del governo Monti. Una volta messo il binario, dal treno in corsa
ci si può affacciare dai finestrini di destra o di sinistra, si ha
l’impressione di vedere un paesaggio diverso, ma la direzione è
predeterminata.
3) Questo processo è intrecciato con una ristrutturazione dell’Europa
che vede il proprio perno nell’uso politico della speculazione e nel
ruolo di dominus della BCE. Le ultime scelte dei vertici di capo di
stato e della BCE puntano infatti ad un doppio obiettivo: da un lato
governare l’euro evitandone la deflagrazione. Dall’altro aumentare la
capacità di pressione sui singoli paesi attraverso un commissariamento
di fatto della politica economica e di bilancio. In questo contesto non è
per nulla da escludere che il governo Monti arrivi a firmare un
memorandum con l’Europa che determini un ulteriore vincolo per i futuri
governi italiani.
4) In questo contesto è del tutto evidente che la proposta politica
del PD, di unire moderati e progressisti nel governo del paese, non
potrà che muoversi sui binari fissati da Monti, producendo minime
variazioni sul tema. La valutazione negativa della proposta politica del
PD non ha quindi un carattere astratto o pregiudiziale ma è data dal
merito concreto della stessa. Le politiche insite nell’accettazione del
Fiscal Compact sono destinate ad impoverire il paese, a stravolgere il
quadro politico, sociale ed istituzionale costruito dopo la seconda
guerra mondiale e basato sinteticamente sulla democrazia parlamentare,
sullo sviluppo del welfare e sulla presenza decisiva del movimento
operaio e sindacale. A scanso di equivoci non penso assolutamente che
centro destra e centro sinistra siano la stessa cosa o avviano la stessa
politica. Penso che il sostegno al governo Monti e la proposta politica
avanzata dal PD – sia sul piano dei contenuti che sul piano delle
alleanze - non ha nulla a che vedere con la soluzione dei problemi del
paese e con l’uscita a sinistra dalla crisi.
Il punto oggi non consiste nell’interpretazione progressista del
montismo ma nella radicale messa in discussione della strada imboccata
dal governo Monti. Occorre mettere in discussione il Fiscal Compact e le
politiche di stabilizzazione europee come fanno le sinistre in Europa,
da Syriza al Front de Gauche, da Izquierda Unida alla Linke, per non
citare che le più conosciute.
5) Per questo ritengo necessario costruire oggi in Italia uno spazio
pubblico di sinistra che abbia un progetto radicalmente alternativo di
costruzione dell’Europa. Non si tratta di costruire una piattaforma
estremista ma di prospettare una uscita a sinistra dalla crisi che
sappia intrecciare una politica alternativa sia sul piano europeo come
su quello nazionale, come ha saputo fare Syriza in Grecia. I temi dei
diritti del lavoro, dei beni comuni, dello sviluppo del welfare, dei
diritti civili, della democrazia partecipata e della riconversione
ambientale e sociale dell’economia rappresentano nodi centrali da
affrontare. Questo progetto può realizzarsi solo se è capace di
aggregare e di attivare il complesso delle soggettività che oggi in
Italia si pongono sul terreno dell’alternativa di sinistra. Questa è la
condizione per poter avanzare al paese una proposta politica chiara e
credibile, che sia percepita come una opportunità e non come una
residualità.
6) Io penso che oggi non esista alcuna forza politica organizzata – a
partire da quella di cui faccio parte - che possa candidarsi a
rappresentare da sola questo progetto. Per aggregare il complesso delle
forze di sinistra e di alternativa che vi sono nel paese – e non sono
poche – occorre dar vita ad un processo consapevolmente plurale in cui
convergano esperienze diverse. Occorre costruire uno spazio pubblico in
cui chi opera in un partito, una associazione come Alba, in un comitato,
in un sindacato, in un movimento o semplicemente chi vuole impegnarsi
per costruire l’alternativa, possa trovare il luogo ove costruire
collettivamente. Non voglio fare elenchi perché ogni lista rischia di
escludere piuttosto che includere. Occorre essere consapevoli del
carattere plurale e pluralista di questa costruzione: non esiste oggi
una cultura politica, una forma organizzata, una visione generale, che
possa racchiudere il tema dell’alternativa o possa pensare di imporre
agli altri e alle altre il proprio punto di vista o la propria prassi
politica. Il rispetto della differenza e il riconoscimento della pari
dignità dei diversi percorsi può e deve essere il punto fondante questa
possibilità così necessaria. Propongo quindi di agire consapevolmente
per la costruzione di una lista unitaria di sinistra che abbia nella
democrazia, nella partecipazione e nel pluralismo politico- culturale il
tratto distintivo e costituente. Non possiamo ripetere le tragiche
esperienze della sinistra arcobaleno. Il carattere democratico e
partecipato, basato sul principio di “una testa un voto” e non sulla
contrattazione tra stati maggiori deve caratterizzare questo processo al
fine di decidere programmi, modalità di presentazione alle elezioni,
candidati. Federare, confederare, operare una tessitura politica
decidendo democraticamente mi pare il percorso che dobbiamo
intraprendere.
7) Dobbiamo quindi costruire un percorso democratico di formazione di
una soggettività plurale della sinistra che abbia l’obiettivo esplicito
di dar vita ad una lista per le prossime elezioni politiche. Questo
percorso ha difficoltà a partire se non vi è un segnale politico chiaro.
Questa esigenza è oggi largamente sentita nel paese ma non riesce a
darsi forma finché non vi è la chiara apertura del processo. Siamo come
in una situazione di sospensione: occorre che vi sia un atto costituente
per far si che la soluzione “precipiti”. L’atto di partenza però non
può contraddire le caratteristiche del processo: nessuno può convocare
qualcun altro. E’ necessario che il segnale di partenza sia visibilmente
plurale e unitario. Per questo mi fermo qui. Propongo a Marco come a
tutti e tutte coloro che possono pensare di contribuire a dare questo
segnale di ragionare insieme su come farlo, nel più breve tempo
possibile. Io penso che a settembre dobbiamo dare questo segnale e
dobbiamo essere in grado di far partire il processo di aggregazione: per
costruire l’opposizione a Monti, per costruire una lista per le
prossime elezioni, per ricostruire una sinistra degna di questo nome nel
regno del montismo.
segretario del Partito della Rifondazione Comunista
Non morire montisti – Marco Revelli (Il Manifesto)
Forse ce la faremo a portare a casa la pelle in questo agosto complicato. O forse no. Può darsi che l’asse Monti-Draghi, con l’appoggio esterno di Hollande e l’alleanza «interna» con la Confindustria tedesca, riescano ad arginare la voglia dell’alleanza del Nord di spaccare l’Eurozona e di sganciare la zavorra mediterranea dal treno mitteleuropeo. O è possibile che i falchi della Bundesbank riescano ad accelerare ancora la marcia verso un’Armageddon finanziaria, quando si decidano una volta per tutte i sommersi e i salvati, magari nella convinzione che un euro limitato all’area dei paesi optimo iure – dei virtuosi finalmente liberi dalla cicale del sud – sia più adatto ad affrontare il prossimo big one, quando esploderà la grana dell’immenso debito americano.
Forse ce la faremo a portare a casa la pelle in questo agosto complicato. O forse no. Può darsi che l’asse Monti-Draghi, con l’appoggio esterno di Hollande e l’alleanza «interna» con la Confindustria tedesca, riescano ad arginare la voglia dell’alleanza del Nord di spaccare l’Eurozona e di sganciare la zavorra mediterranea dal treno mitteleuropeo. O è possibile che i falchi della Bundesbank riescano ad accelerare ancora la marcia verso un’Armageddon finanziaria, quando si decidano una volta per tutte i sommersi e i salvati, magari nella convinzione che un euro limitato all’area dei paesi optimo iure – dei virtuosi finalmente liberi dalla cicale del sud – sia più adatto ad affrontare il prossimo big one, quando esploderà la grana dell’immenso debito americano.
Comunque vada, è chiaro che i giochi per noi verranno fatti fuori dai
nostri confini. I compiti – sempre più impegnativi, sempre più estremi –
verranno stabiliti a Berlino, o a Francoforte, non certo «a casa». Per
chi crede che la costituzione materiale europea sia scritta una volta
per tutte sulle tavole di pietra del dogma neoliberista, e che sia per
sua natura immodificabile (lo credono tutte le principali forze
politiche italiane, lo crede Monti, lo credono Bersani e Casini, lo
crede – forse – Alfano…), la strada per restare nell’euro è segnata. E
si fa sempre più ripida.
Sia che si debba sottostare esplicitamente all’accettazione del
famigerato Memorandum, o che a ogni riunione dell’Eurogruppo si sia
obbligati a portare sul tavolo una nuova offerta sacrificale, è certo
che le linee guida nel campo delle politiche sociali nel prossimo
quinquennio resteranno quelle seguite dal governo Monti in questo primo
squarcio di 2012, con un ulteriore incrudelimento dettato da
un’emergenza permanente. D’altra parte c’è già chi, in Europa, dice che
la riforma del mercato del lavoro non basta ancora, che la flessibilità
in uscita, pur dopo il taglio dell’art. 18, è insufficiente, che le
remunerazioni pubbliche e private sono ancora eccessive (anche se stanno
al fondo della graduatoria Ocse), che l’occupazione nel pubblico
impiego è pletorica. I mercati e i banchieri centrali teutonici ce
l’anno ormai insegnato, che «non gli basta mai».
Che su questa strada, dentro questo quadro rigido e immodificabile di
compatibilità, i compiti, come gli esami, «non finiscono mai».
Ora è evidente che, se inserite in questo contesto, e se limitate
alle attuali forze in campo, le prossime elezioni politiche appaiono in
larga misura già segnate. Per certi versi potremmo dire «inutili».
Chiunque vinca, tra gli attuali «insiders» – centro-destra o
centro-sinistra – si troverà l’agenda già scritta. Qualunque governo
scaturisca nell’attuale sistema dei partiti, dovrà seguire una road map
che permette pochissimi scarti, e nessuna «svolta» rispetto alla linea
seguita finora. Dopo Monti, sembra chiaro, non può che esserci Monti, o
la sostanza del «montismo» probabilmente ulteriormente incrudelita, sia
che l’ex presidente della Bocconi ascenda al Quirinale, o che rimanga
alla guida del governo per un nuovo accordo bipatisan da stipulare prima
o più probabilmente dopo le elezioni o, ancora, che conservi un qualche
ruolo di garante grazie a un qualche nuovo espediente istituzionale a
cui siamo ormai abituati.
E d’altra parte – se la politica volesse davvero «fare un passo
avanti» oltre il governo dei tecnici – ve lo immaginate voi un governo
di centro-sinistra con Bersani in giro per il mondo – come ha fatto il
«professore» in questi mesi – a tranquillizzare i guru di Wall Street o
gli scettici finlandesi o i tecnocrati della Buba con il suo linguaggio
da Crozza e un partito diviso su tutto? O, nel caso improbabile di una
vittoria del centro-destra, un nuovo governo Berlusconi con lo spread a
2500 fin dalla prima settimana?
È per tutte queste ragioni che mi è apparsa del tutto dissennata, e
in fondo suicida, la decisione di Nichi Vendola di riunirsi a coorte con
il Pd. E di legare le proprie sorti ai risultati di consultazioni
primarie in cui, bene che vada, potrà contendere il secondo posto a un
qualche Renzi, e dopo le quali si troverà vincolato al programma del
vincitore: lo stesso che ha approvato la riforma Fornero con art. 18
incluso (su cui non mi pare che Vendola fosse d’accordo), la
riorganizzazione del sistema pensionistico con esodati annessi, la
modifica dell’art. 81 della Costituzione, con la messa fuori legge delle
politiche keynesiane, la spending review… ecc. ecc. E che per questa
ragione non potrà che farsi garante della continuità con quelle
politiche.
Questo è lo scenario, se ci si ferma al «mondo sparito» (come lo
chiama Ilvo Diamanti) su cui ragiona la politica ufficiale: se si
continuano a consultare «le vecchie mappe» di un’Italia che non c’è più.
Se però solo si sposta un po’ più in là lo sguardo, sul mondo reale che
viene avanti, il quadro cambia radicalmente. I partiti su cui sono
incentrate tutte le ipotesi di governo del dopo-elezioni tutti insieme,
Pdl e Udc, Pd e Sel, non superano il 60% dei potenziali elettori
(elettori, non «aventi diritto al voto»). Cioè, supposto che non
subiscano ancora ulteriori emorragie, stanno poco al di sopra della metà
di quel meno di due terzi di cittadini ancora disposti a votare.
Fuori dal loro cerchio magico c’è un popolo esteso, in potenziale
espansione, che in quelle sigle, in quelle facce, in quei linguaggi non
ci crede più. E che probabilmente non ci sta a rassegnarsi
all’alternativa tra morire subito di default o entrare in una lunga
agonia sociale in cui la fine del tunnel non solo non si vede ma viene
via via allontanata dalle misure di «risanamento» subìte. Intuisce che
occorre un’alternativa di modello allo stato di cose presente: uno
scarto, o uno scatto d’immaginazione e di progettazione, che ci porti
fuori dall’impasse. In parte si posteggia nelle liste del Movimento 5
stelle. Segna, urlando, la propria demarcazione rispetto al «mondo
sparito» in cui non crede più. In parte cerca conforto in ipotetiche
liste civiche, nei Sindaci che hanno dato segnali di diversità, nelle
pieghe del «locale» dove la fiducia negli uomini tenta di compensare la
sfiducia negli apparati. Ma è e resta «in attesa».
A loro bisognerà dare una risposta in avanti. Pensando in grande: a
un’altra Europa, in primo luogo. Un’altra politica estera che ipotizzi
la strutturazione di un’area mediterranea in grado di negoziare da
posizioni di parità con il centro berlinese e l’area dei «virtuosi» e di
contrastarne i dogmi falliti. E poi un’altra politica sociale, che
metta al centro i diritti del lavoro, e il lavoro in quanto tale, come
entità reale, contro la virtualità del «finanz-capitalismo» e dei suoi
circuiti astratti. Un’altra politica economica, fondata su quei processi
di riorganizzazione capillare del sistema produttivo intorno a una
generale messa in sicurezza delle nostre vite e del nostro ambiente di
cui ha scritto su questo giornale Guido Viale. Un altro stile di «far
politica», che restituisca dignità e parola ai cittadini e ai territori.
C’è uno spazio immenso, per una galassia che sappia riconoscersi e
condensarsi intorno a pochi, semplici punti da non negoziare, senza gli
esercizi bizantini del vecchio Arcobaleno, senza bilancini e
intergruppi, senza estenuanti mediazioni. Semplicemente per un atto di
riconoscimento del «reale».
Può sembrare banale. Ma «se non ora, quando»?
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