martedì 21 agosto 2012

Contro Monti, a partire dalle piazze di Pietro Maestri, Paolo Ferrero e Marco Revelli

Il manifesto pubblica un dibattito sulle possibili convergenze a sinistra in opposizione al governo con l'occhio puntato anche alle prossime elezioni. E alle scadenze di movimento dell'autunno. Gli articoli di Piero Maestri, Paolo Ferrero, Marco Revelli





L'alternativa riparta dalle piazze
di Piero Maestri (da il manifesto)
Abbiamo letto con interesse gli interventi di Marco Revelli e Paolo Ferrero pubblicati nei giorni scorsi da «il manifesto». Interesse per le analisi che fanno del governo Monti e per la proposta di ricerca della costruzione di un'alternativa politica a sinistra.
Condividiamo il giudizio sul governo Monti - e le sue politiche - come «costituente». a nostro avviso questo governo rappresenta un punto di non ritorno e un'ipoteca pesantissima per il futuro principalmente per due motivi: da una parte per il contenuto delle politiche liberiste del governo Monti-Napolitano, che hanno segnato l'ennesimo episodio di quella «lotta di classe dall'alto» di cui parla Luciano Gallino, colpendo con forza i diritti e i poteri di lavoratrici e lavoratori (siano essi pubblici o privati, precari o in via di precarizzazione), pensionate/i, disoccupate/i e giovani generazioni; dall'altra parte per il fatto che queste politiche sono state approvate con la complicità esplicita e plaudente del PD e quella implicita delle confederazioni sindacali - Cgil compresa (a parte il tentativo Fiom di resistere a questa deriva).
La preoccupazione maggiore che abbiamo oggi di fronte non è quindi solamente la possibilità di un ennesimo governo neoliberista - a guida del centrodestra o del centrosinistra - quanto l'incapacità di ricostruire un'opposizione politica e sociale a queste politiche.
I mesi scorsi sono stati caratterizzati si dalle politiche di Monti-Bersani-Alfano, ma anche dalla difficoltà di esprimere con forza ed efficacia - sul piano delle lotte sociali e su quello politico - un'opposizione tenace e organizzata alle politiche stesse.
Ci siamo fermati alla «sconfitta» del 15 ottobre 2011.
Non che siano mancati episodi importanti di lotta e resistenza sociale, dal NoTav in Val di Susa (e in tutto il paese) alle centinaia di vertenze di lavoratrici e lavoratori in difesa del posto di lavoro, dalle esperienze di comitati contro il debito e per l'audit cittadino a tanti altri esempi. La caratteristiche di queste esperienze è però quasi sempre la loro frammentarietà, la loro «solitudine», l'incapacità di una sinistra politica tutta da costruire di ripartire da esse per riallacciare i fili di un programma di alternativa che parte proprio dalle lotte e dalla mobilitazione sociale.
Una proposta di incontro e di coalizione politica, certamente condivisibile, deve allora partire da lì, dal rilancio di una mobilitazione sociale unitaria contro le politiche della Bce e del governo Monti e contro il pagamento del debito, per la difesa dei diritti di lavoratrici e lavoratori, per il reddito, i diritti civili, la riconversione ecologica della produzione e della società. Una mobilitazione che riparta dalle strade delle città, dai legami con le «indignazioni» europee e con le rivoluzioni arabe e rilanci un appuntamento condiviso e unitario in autunno. In questo senso non ci sembra ipotizzabile un'alleanza con forze populiste per quanto alternative allo schieramento messo in campo dal Pd.
E' su questa mobilitazione che possiamo costruire le basi e i nodi di una rete della sinistra alternativa che vada oltre le esperienze del passato e non ne ricalchi gli errori - magari in forma ancora meno credibile e riconoscibile. Una sinistra che a quel punto si può anche porre obiettivi di presenza elettorale - fuori e contro qualsiasi coalizione con il Pd - che non siano residuali o subalterni. Anche in questo caso, però, perché sia feconda ed efficace occorre la capacità di una proposta nuova, interessante e utile. Non finalizzata a riprodurre apparati, non meramente autorappresentativa, plurale: abbiamo bisogno di costruire un luogo, senza primogeniture, formato da diverse esperienze, non ideologico, né riconducibile a simboli già esistenti ma, al contrario, appetibile soprattutto per giovani generazioni e per i movimenti e per lavoratrici e lavoratori dal futuro sempre più incerto.
Noi faremo la nostra parte.
portavoce Sinistra Critica

L'articolo di Paolo Ferrero da il manifesto

Ho molto apprezzato l’articolo di Marco Revelli apparso alcuni giorni fa sul manifesto. Condivido l’esigenza di dare corpo ad uno spazio pubblico di sinistra, che dia una risposta in avanti alle domande di cambiamento che non trovano soluzione nelle ipotesi politiche ad oggi presenti. Ritengo urgente fare un passo in avanti e scrivo queste note per aprire un dialogo esplicito, al di fuori di inutili diplomatismi.
1) Il governo Monti non è una parentesi ma un vero e proprio governo costituente. Se, come ci insegna Carl Schmitt, “sovrano è colui che decreta lo stato di emergenza”, Monti oggi incarna un potere sovrano che attraverso la produzione di paura e rassicurazioni sta realizzando in Italia una rivoluzione iperliberista e la contemporanea passivizzazione di massa. L’obiettivo perseguito è la sistematica distruzione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, del welfare e la privatizzazione del complesso del patrimonio pubblico. La stessa recessione provocata dalle misure assunte dal governo e dalle forze politiche che lo sostengono, diventa parte integrante di questa azione, basata sull’annichilimento della popolazione, sullo shock per dirla con Naomi Klein.
2) Il carattere costituente dell’azione del governo proietta i suoi effetti ben al di la della sua durata temporale. Le misure assunte ristrutturano i rapporti sociali così come definiscono i confini delle politiche economiche. Il combinato disposto tra inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione e approvazione del Fiscal Compact non esauriscono la loro efficacia nei prossimi mesi. Rappresentano un vero e proprio binario obbligato, destinato a fissare per i prossimi anni la politica economica di ogni governo in carica. Il taglio del debito pubblico di 45 miliardi ogni anno per vent’anni è una camicia di forza che inchioda l’Italia a politiche iperliberiste, ben al di la della durata del governo Monti. Una volta messo il binario, dal treno in corsa ci si può affacciare dai finestrini di destra o di sinistra, si ha l’impressione di vedere un paesaggio diverso, ma la direzione è predeterminata.
3) Questo processo è intrecciato con una ristrutturazione dell’Europa che vede il proprio perno nell’uso politico della speculazione e nel ruolo di dominus della BCE. Le ultime scelte dei vertici di capo di stato e della BCE puntano infatti ad un doppio obiettivo: da un lato governare l’euro evitandone la deflagrazione. Dall’altro aumentare la capacità di pressione sui singoli paesi attraverso un commissariamento di fatto della politica economica e di bilancio. In questo contesto non è per nulla da escludere che il governo Monti arrivi a firmare un memorandum con l’Europa che determini un ulteriore vincolo per i futuri governi italiani.
4) In questo contesto è del tutto evidente che la proposta politica del PD, di unire moderati e progressisti nel governo del paese, non potrà che muoversi sui binari fissati da Monti, producendo minime variazioni sul tema. La valutazione negativa della proposta politica del PD non ha quindi un carattere astratto o pregiudiziale ma è data dal merito concreto della stessa. Le politiche insite nell’accettazione del Fiscal Compact sono destinate ad impoverire il paese, a stravolgere il quadro politico, sociale ed istituzionale costruito dopo la seconda guerra mondiale e basato sinteticamente sulla democrazia parlamentare, sullo sviluppo del welfare e sulla presenza decisiva del movimento operaio e sindacale. A scanso di equivoci non penso assolutamente che centro destra e centro sinistra siano la stessa cosa o avviano la stessa politica. Penso che il sostegno al governo Monti e la proposta politica avanzata dal PD – sia sul piano dei contenuti che sul piano delle alleanze - non ha nulla a che vedere con la soluzione dei problemi del paese e con l’uscita a sinistra dalla crisi.
Il punto oggi non consiste nell’interpretazione progressista del montismo ma nella radicale messa in discussione della strada imboccata dal governo Monti. Occorre mettere in discussione il Fiscal Compact e le politiche di stabilizzazione europee come fanno le sinistre in Europa, da Syriza al Front de Gauche, da Izquierda Unida alla Linke, per non citare che le più conosciute.
5) Per questo ritengo necessario costruire oggi in Italia uno spazio pubblico di sinistra che abbia un progetto radicalmente alternativo di costruzione dell’Europa. Non si tratta di costruire una piattaforma estremista ma di prospettare una uscita a sinistra dalla crisi che sappia intrecciare una politica alternativa sia sul piano europeo come su quello nazionale, come ha saputo fare Syriza in Grecia. I temi dei diritti del lavoro, dei beni comuni, dello sviluppo del welfare, dei diritti civili, della democrazia partecipata e della riconversione ambientale e sociale dell’economia rappresentano nodi centrali da affrontare. Questo progetto può realizzarsi solo se è capace di aggregare e di attivare il complesso delle soggettività che oggi in Italia si pongono sul terreno dell’alternativa di sinistra. Questa è la condizione per poter avanzare al paese una proposta politica chiara e credibile, che sia percepita come una opportunità e non come una residualità.
6) Io penso che oggi non esista alcuna forza politica organizzata – a partire da quella di cui faccio parte - che possa candidarsi a rappresentare da sola questo progetto. Per aggregare il complesso delle forze di sinistra e di alternativa che vi sono nel paese – e non sono poche – occorre dar vita ad un processo consapevolmente plurale in cui convergano esperienze diverse. Occorre costruire uno spazio pubblico in cui chi opera in un partito, una associazione come Alba, in un comitato, in un sindacato, in un movimento o semplicemente chi vuole impegnarsi per costruire l’alternativa, possa trovare il luogo ove costruire collettivamente. Non voglio fare elenchi perché ogni lista rischia di escludere piuttosto che includere. Occorre essere consapevoli del carattere plurale e pluralista di questa costruzione: non esiste oggi una cultura politica, una forma organizzata, una visione generale, che possa racchiudere il tema dell’alternativa o possa pensare di imporre agli altri e alle altre il proprio punto di vista o la propria prassi politica. Il rispetto della differenza e il riconoscimento della pari dignità dei diversi percorsi può e deve essere il punto fondante questa possibilità così necessaria. Propongo quindi di agire consapevolmente per la costruzione di una lista unitaria di sinistra che abbia nella democrazia, nella partecipazione e nel pluralismo politico- culturale il tratto distintivo e costituente. Non possiamo ripetere le tragiche esperienze della sinistra arcobaleno. Il carattere democratico e partecipato, basato sul principio di “una testa un voto” e non sulla contrattazione tra stati maggiori deve caratterizzare questo processo al fine di decidere programmi, modalità di presentazione alle elezioni, candidati. Federare, confederare, operare una tessitura politica decidendo democraticamente mi pare il percorso che dobbiamo intraprendere.
7) Dobbiamo quindi costruire un percorso democratico di formazione di una soggettività plurale della sinistra che abbia l’obiettivo esplicito di dar vita ad una lista per le prossime elezioni politiche. Questo percorso ha difficoltà a partire se non vi è un segnale politico chiaro. Questa esigenza è oggi largamente sentita nel paese ma non riesce a darsi forma finché non vi è la chiara apertura del processo. Siamo come in una situazione di sospensione: occorre che vi sia un atto costituente per far si che la soluzione “precipiti”. L’atto di partenza però non può contraddire le caratteristiche del processo: nessuno può convocare qualcun altro. E’ necessario che il segnale di partenza sia visibilmente plurale e unitario. Per questo mi fermo qui. Propongo a Marco come a tutti e tutte coloro che possono pensare di contribuire a dare questo segnale di ragionare insieme su come farlo, nel più breve tempo possibile. Io penso che a settembre dobbiamo dare questo segnale e dobbiamo essere in grado di far partire il processo di aggregazione: per costruire l’opposizione a Monti, per costruire una lista per le prossime elezioni, per ricostruire una sinistra degna di questo nome nel regno del montismo.
segretario del Partito della Rifondazione Comunista

Non morire montisti – Marco Revelli (Il Manifesto)

Forse ce la faremo a portare a casa la pelle in questo agosto complicato. O forse no. Può darsi che l’asse Monti-Draghi, con l’appoggio esterno di Hollande e l’alleanza «interna» con la Confindustria tedesca, riescano ad arginare la voglia dell’alleanza del Nord di spaccare l’Eurozona e di sganciare la zavorra mediterranea dal treno mitteleuropeo. O è possibile che i falchi della Bundesbank riescano ad accelerare ancora la marcia verso un’Armageddon finanziaria, quando si decidano una volta per tutte i sommersi e i salvati, magari nella convinzione che un euro limitato all’area dei paesi optimo iure – dei virtuosi finalmente liberi dalla cicale del sud – sia più adatto ad affrontare il prossimo big one, quando esploderà la grana dell’immenso debito americano.
Comunque vada, è chiaro che i giochi per noi verranno fatti fuori dai nostri confini. I compiti – sempre più impegnativi, sempre più estremi – verranno stabiliti a Berlino, o a Francoforte, non certo «a casa». Per chi crede che la costituzione materiale europea sia scritta una volta per tutte sulle tavole di pietra del dogma neoliberista, e che sia per sua natura immodificabile (lo credono tutte le principali forze politiche italiane, lo crede Monti, lo credono Bersani e Casini, lo crede – forse – Alfano…), la strada per restare nell’euro è segnata. E si fa sempre più ripida.
Sia che si debba sottostare esplicitamente all’accettazione del famigerato Memorandum, o che a ogni riunione dell’Eurogruppo si sia obbligati a portare sul tavolo una nuova offerta sacrificale, è certo che le linee guida nel campo delle politiche sociali nel prossimo quinquennio resteranno quelle seguite dal governo Monti in questo primo squarcio di 2012, con un ulteriore incrudelimento dettato da un’emergenza permanente. D’altra parte c’è già chi, in Europa, dice che la riforma del mercato del lavoro non basta ancora, che la flessibilità in uscita, pur dopo il taglio dell’art. 18, è insufficiente, che le remunerazioni pubbliche e private sono ancora eccessive (anche se stanno al fondo della graduatoria Ocse), che l’occupazione nel pubblico impiego è pletorica. I mercati e i banchieri centrali teutonici ce l’anno ormai insegnato, che «non gli basta mai».
Che su questa strada, dentro questo quadro rigido e immodificabile di compatibilità, i compiti, come gli esami, «non finiscono mai».
Ora è evidente che, se inserite in questo contesto, e se limitate alle attuali forze in campo, le prossime elezioni politiche appaiono in larga misura già segnate. Per certi versi potremmo dire «inutili». Chiunque vinca, tra gli attuali «insiders» – centro-destra o centro-sinistra – si troverà l’agenda già scritta. Qualunque governo scaturisca nell’attuale sistema dei partiti, dovrà seguire una road map che permette pochissimi scarti, e nessuna «svolta» rispetto alla linea seguita finora. Dopo Monti, sembra chiaro, non può che esserci Monti, o la sostanza del «montismo» probabilmente ulteriormente incrudelita, sia che l’ex presidente della Bocconi ascenda al Quirinale, o che rimanga alla guida del governo per un nuovo accordo bipatisan da stipulare prima o più probabilmente dopo le elezioni o, ancora, che conservi un qualche ruolo di garante grazie a un qualche nuovo espediente istituzionale a cui siamo ormai abituati.
E d’altra parte – se la politica volesse davvero «fare un passo avanti» oltre il governo dei tecnici – ve lo immaginate voi un governo di centro-sinistra con Bersani in giro per il mondo – come ha fatto il «professore» in questi mesi – a tranquillizzare i guru di Wall Street o gli scettici finlandesi o i tecnocrati della Buba con il suo linguaggio da Crozza e un partito diviso su tutto? O, nel caso improbabile di una vittoria del centro-destra, un nuovo governo Berlusconi con lo spread a 2500 fin dalla prima settimana?
È per tutte queste ragioni che mi è apparsa del tutto dissennata, e in fondo suicida, la decisione di Nichi Vendola di riunirsi a coorte con il Pd. E di legare le proprie sorti ai risultati di consultazioni primarie in cui, bene che vada, potrà contendere il secondo posto a un qualche Renzi, e dopo le quali si troverà vincolato al programma del vincitore: lo stesso che ha approvato la riforma Fornero con art. 18 incluso (su cui non mi pare che Vendola fosse d’accordo), la riorganizzazione del sistema pensionistico con esodati annessi, la modifica dell’art. 81 della Costituzione, con la messa fuori legge delle politiche keynesiane, la spending review… ecc. ecc. E che per questa ragione non potrà che farsi garante della continuità con quelle politiche.
Questo è lo scenario, se ci si ferma al «mondo sparito» (come lo chiama Ilvo Diamanti) su cui ragiona la politica ufficiale: se si continuano a consultare «le vecchie mappe» di un’Italia che non c’è più. Se però solo si sposta un po’ più in là lo sguardo, sul mondo reale che viene avanti, il quadro cambia radicalmente. I partiti su cui sono incentrate tutte le ipotesi di governo del dopo-elezioni tutti insieme, Pdl e Udc, Pd e Sel, non superano il 60% dei potenziali elettori (elettori, non «aventi diritto al voto»). Cioè, supposto che non subiscano ancora ulteriori emorragie, stanno poco al di sopra della metà di quel meno di due terzi di cittadini ancora disposti a votare.
Fuori dal loro cerchio magico c’è un popolo esteso, in potenziale espansione, che in quelle sigle, in quelle facce, in quei linguaggi non ci crede più. E che probabilmente non ci sta a rassegnarsi all’alternativa tra morire subito di default o entrare in una lunga agonia sociale in cui la fine del tunnel non solo non si vede ma viene via via allontanata dalle misure di «risanamento» subìte. Intuisce che occorre un’alternativa di modello allo stato di cose presente: uno scarto, o uno scatto d’immaginazione e di progettazione, che ci porti fuori dall’impasse. In parte si posteggia nelle liste del Movimento 5 stelle. Segna, urlando, la propria demarcazione rispetto al «mondo sparito» in cui non crede più. In parte cerca conforto in ipotetiche liste civiche, nei Sindaci che hanno dato segnali di diversità, nelle pieghe del «locale» dove la fiducia negli uomini tenta di compensare la sfiducia negli apparati. Ma è e resta «in attesa».
A loro bisognerà dare una risposta in avanti. Pensando in grande: a un’altra Europa, in primo luogo. Un’altra politica estera che ipotizzi la strutturazione di un’area mediterranea in grado di negoziare da posizioni di parità con il centro berlinese e l’area dei «virtuosi» e di contrastarne i dogmi falliti. E poi un’altra politica sociale, che metta al centro i diritti del lavoro, e il lavoro in quanto tale, come entità reale, contro la virtualità del «finanz-capitalismo» e dei suoi circuiti astratti. Un’altra politica economica, fondata su quei processi di riorganizzazione capillare del sistema produttivo intorno a una generale messa in sicurezza delle nostre vite e del nostro ambiente di cui ha scritto su questo giornale Guido Viale. Un altro stile di «far politica», che restituisca dignità e parola ai cittadini e ai territori. C’è uno spazio immenso, per una galassia che sappia riconoscersi e condensarsi intorno a pochi, semplici punti da non negoziare, senza gli esercizi bizantini del vecchio Arcobaleno, senza bilancini e intergruppi, senza estenuanti mediazioni. Semplicemente per un atto di riconoscimento del «reale».
Può sembrare banale. Ma «se non ora, quando»?

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