Tanto tuonò che piovve. Ad andare in queste ore sul sito degli altrionline.it
c'è da restare un pò stupiti, eppure è proprio così, una delle
redazioni più in sintonia con Vendola si schiera con il ribelle Alfonso
Gianni che in questi giorni sta diventando la bestia nera dei
vendoliani DOC. Certo, qualche segnale era arrivato giorni addietro ad
opera di Andrea Colombo che aveva attaccato la linea Vendola, ma oggi ci
pare che si sia passati ad un livello mai raggiunto nella polemica. Basta leggersi l'articolo infatti per capire che le questioni poste sono grandi come le montagne. Ma non è solo questo, come prima notizia campeggia una intervista
a Giovanni Russo Spena del PRC che invita Vendola a costruire la
sinistra d'alternativa che ha fatto storgere il naso a parecchi abituali
frequentatori del sito. Che la redazione degli Altrionline si schieri
in questo modo prima della fatidica assemblea nazionale di SEL del 31
agosto, è un elemento di novità non indifferente e segnala che la
discussione oramai si è fatta seria. Nelle ultime frasi dell'articolo
dove si appoggia il ragionamento si legge infatti: se anche
Nichi Vendola vincesse le primarie, il centrosinistra vincesse le
elezioni e Nichi diventasse premier, se, per vincolo di coalizione
fosse costretto ad accettare la politica del rigore, cosa mai ci
starebbe a fare al governo? Un po’ la bella statuina come Hollande,
partito in quarta in campagna elettorale con un magnifico programma e
ora costretto a scondinzolare alla Merkel ripetendo ai greci la litania
del “niente soldi se non rispettate gli impegni!” e cioè se non andate
avanti con la macelleria sociale..
E’ questo che la sinistra vuole? Che Sel vuole? Gli “Altri” ( e a quanto pare, Alfonso Gianni) non lo credono.
Gianni: lo spartiacque con i “dem”?
Il rigore europeo votato da Bersani
Venerdì
prossimo si riunisce a Roma l’assemblea nazionale di Sel. Nel caldo d’agosto i
suoi dirigenti hanno espresso una scelta di alleanza con il Pd, con tutte le
conseguenze che ciò comporta: alleanza post voto con Casini eccetera. Se ne sta
discutendo on line e fuori e noi dedichiamo il prossimo numero del settimanale
a questo. E’ una discussione strana a cui mancano degli elementi: il quadro
europeo è già dato infatti, le politiche economiche già fissate. E così, la
cosiddetta “apertura” del Pd bersaniano, il suo tiepido antimontismo, le sue
rivendicazioni di un ruolo sociale della politica – tutti gli elementi insomma
che fanno pensare al gruppo dirigente sellino che l’alleanza con i democratici
sia possibile nonostante le grandi divergenze di “visione” politica – non serve
a niente. Alfonso Gianni, in un articolo che uscirà su gli “Altri” venerdì 31,
spiega il suo dissenso in termini rigorosi e per noi convincenti. Ve ne diamo
una breve sintesi, rimandando alla lettura dell’articolo integrale sul
settimanale.
Il
primo elemento sottolineato da Alfonso Gianni è che non è sensato parlare di
“con chi” senza avere deciso “cosa” fare. Il “cosa” fare sembra piuttosto
evidente: «Il tema centrale delle prossime elezioni è come uscire dalla crisi
economica e sociale più lunga e più grave nella storia del capitalismo europeo.
Come uscirne senza un massacro sociale e avviando le basi per un nuovo modello
di sviluppo che non riproponga all’infinito i meccanismi della riproduzione
delle crisi, è precisamente il compito e il banco di prova di una moderna
sinistra».
Ma
c’è uno spartiacque ed è il fiscal compact: il Pd lo accetta, lo ha votato! Ed
è ovvio che «ciò che determinerà la natura del prossimo governo, al di là della
composizione delle forze che lo sosterranno, è l’accettazione o meno del fiscal
compact rafforzato dall’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione, che
comporta per venti anni una riduzione del 3% del bilancio ogni anno. E’ una
gabbia che costringe qualsiasi governo a perpetuare una politica di rigore per
un intero ventennio, inibendo alla radice ogni prospettiva di trasformazione
economica, produttiva e sociale, comprimendo la democrazia a ogni livello –
articolo 18 e annessi lo dimostrano – della vita civile e sociale».
Così,
mentre il Pd considera inviolabili gli accordi internazionali, per Sel vanno
annullati e ridiscussi i trattati capestro. Quale coalizione di centrosinistra
è possibile se la sinistra non ha nessuna voce sulla questione essenziale? Se
anche Nichi Vendola vincesse le primarie, il centrosinistra vincesse le
elezioni e aNichi diventasse premier, se, per vincolo di coalizione fosse costretto
ad accettare la politica del rigore, cosa mai ci starebbe a fare al governo? Un
po’ la bella statuina come Hollande, partito in quarta in campagna elettorale
con un magnifico programma e ora costretto a scondinzolare alla Merkel
ripetendo ai greci la litania del “niente soldi se non rispettate gli impegni!”
e cioè se non andate avanto con la macelleria sociale.
E’
questo che la sinistra vuole? Che Sel vuole? Gli “Altri” ( e a quanto pare,
Alfonso Gianni) non lo credono.
Russo Spena: “Nichi, lascia perdere il Pd
Costruiamo insieme l’alternativa”
«In questo momento sarebbe necessaria una politica radicalmente contro il montismo. E l’accordo tra Vendola e Bersani non va in questa direzione». Giovanni Russo Spena, responsabile del dipartimento giustizia di Rifondazione comunista, crede che un polo alternativo al governo dei tecnici si possa mettere insieme con Sel, l’Idv, la Federazione della sinistra, i sindacati più battaglieri e tutti gli altri movimenti che attraversano la società italiana.
Vorrebbe rifare l’Arcobaleno?
No, si tratta di costruire un progetto politico comune nel paese. Non una fusione tra gruppi dirigenti, ma un costruzione dal basso. Come è stata Syriza in Grecia, il Front de Gauche in Francia. Contro le politiche neoliberiste, contro il razzismo, per il pacifismo.
Sel ha scelto un’altra strada, avvicinandosi al Pd.
L’alleanza col Pd toglie alla costruzione di questa sinistra alternativa un pezzo importante. Ma il fatto è che Sel dice di essere una forza di alternativa ma scendendo a patti col Pd e poi con l’Udc dimostra che non è vero. È impossibile con Bersani rifiutare il fiscal compact e le politiche della Bce. È impossibile cambiare questa politica economica liberista e recessiva. Non ci sono i margini per un centro sinistra avanzato.
Sel dice che non c’è nessun accordo con l’Udc.
Lo sanno tutti, anche loro, che l’accordo con l’Udc ci sarà dopo.
Nel Pd però c’è anche una linea (peraltro maggioritaria) che dopo Monti non vuole ancora Monti. Perché è sbagliato fare leva lì?
Perché spostare il Pd a sinistra non può avvenire in maniera automatica, con il convincimento. Lo sconvolgimento del Partito democratico può avvenire solo se alla sua sinistra si crea una forza di alternativa forte. Ricostruendo una politica industriale, di investimenti e una programmazione economica. Una fetta di elettorato che i sondaggi – anche quelli di Pagnoncelli – danno intorno al 18 per cento.
Addirittura…
A differenza di quello che dice Vendola, una sinistra alternativa non è per nulla marginale.
Che cosa significa essere contro il razzismo e per la pace nel mondo? Mi sembrano due propositi generici, su cui in linea di principio sono d’accordo tutti. Perché sente il bisogno di una sinistra alternativa?
Pacifismo vuol dire evitare gli sprechi di risorse destinate agli armamenti e ritirare le truppe dalle missioni all’estero. Ed essere contro il razzismo significa contrastare l’ondata xenofoba che si respira in Europa, per costruire un’Europa aperta.
Parliamo della vostra politica economica alternativa.
Anche economisti americani come Krugman, Stiglitz, Fitoussi, dicono che bisogna rilanciare la domanda, che bisogna avere il coraggio di una nuova politica di investimenti.
C’è bisogno di una sinistra alternativa per fare questo? Nessuno degli economisti che lei ha citato è anti-capitalista.
Io dico che anche una politica riformista oggi può essere portata avanti solo da una sinistra alternativa e anticapitalista.
Riformismo e anti-capitalismo non le sembrano in contraddizione?
No, perché i riformisti non esistono più, questa è la verità. La linea economica del Pd è del tutto subalterna al capitale finanziario: Bersani ha votato il pareggio di bilancio in costituzione e tutte le cose più aberranti imposte dalla Bce. Checché ne dica il povero Fassina.
Cosa proponete voi?
Indico, come esempio emblematico, la nazionalizzazione delle banche, come Syriza in Grecia.
Ossia?
Bisogna togliere a quei gruppi che hanno guidato la speculazione il potere di orientare i mercati e cambiare radicalmente le politiche finanziarie, spostandole verso il credito alle piccole imprese, alle famiglie e ai giovani.
Perché lo stato – i cittadini – dovrebbe prendersi in carico, ossia salvare, delle banche spericolate, che si sono prese dei rischi insostenibili per loro e per noi?
Noi non vogliamo salvare proprio nessuno. Diciamo di togliere la proprietà delle banche a chi ce l’ha e darla subito allo stato. La verità è che ora le banche pretendono che lo stato paghi i loro debiti, senza accettare in cambio neanche una modifica minima delle loro politiche. Bisogna avere una politica di congelamento, sospensione, annullamento del debito.
Con quali soldi lo stato italiano, coi debiti fino al collo, potrebbe nazionalizzare le banche e finanziare gli investimenti di programmazione economica che lei ritiene necessari?
Noi quei soldi li stiamo spendendo già, solo che in cambio non chiediamo alle banche di cambiare le loro politiche. Nazionalizzare significa invertire la rotta e investire i soldi per rompere con le politiche dell’austerità e rilanciare l’economia.
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