Gli
Stati Uniti sono entrati in una nuova era storica marcata da un
crescente disinvestimento dallo stato sociale, dai beni pubblici e dalla
moralità civica. Le questioni di politica, potere, ideologia, governo,
economia ora si traducono, senza alcun tono di scusa, in un
disinvestimento sistemico dalle istituzioni e dalle politiche che
favorisce il crollo delle sfere pubbliche che tradizionalmente
assicuravano condizioni minime di giustizia sociale, dissenso e
espressione democratica. Il neoliberalismo, o quello che potrebbe essere
chiamato il capitalismo da casinò, è diventato la nuova normalità.
Sfrontato nella sua pretesa di potere finanziario, autoregolamentazione e
della sopravvivenza del sistema di valori dei più adatti, il
neoliberalismo non solo erode la cultura formativa necessaria per
produrre cittadini critici e le sfere pubbliche che li nutrono, esso
facilita anche le condizioni per produrre un bilancio della difesa e un
sistema industrial-carcerario rigonfi, degrado ambientale e l’emergere
della “finanza come un’industria criminalizzata e canaglia” [i]. E’
chiaro che un autoritarismo emergente infesta una democrazia sdentata
ora modellata e strutturata in larga misura dalle grandi imprese. Il
denaro domina la politica, il divario tra i ricchi e i poveri sta
esplodendo, gli spazi urbani stanno diventando campi di battaglia, il
militarismo sta strisciando in una sfaccettatura della vita pubblica e
le libertà civili sono fatte a brandelli. La politica neoliberista della
competizione ora domina le politiche che definiscono le sfere
pubbliche, come le scuole, consentendo che esse siano spogliate del
progetto civico e democratico e siano trasferite alla logica del
mercato. Disgraziatamente non è la democrazia bensì l’autoritarismo che
resta in ascesa negli Stati Uniti mentre ci inoltriamo nel ventunesimo
secolo.
Le elezioni presidenziali statunitensi del 2012 si presentano come
momento centrale di questa trasformazione che abbandona la democrazia,
un momento in cui i settori e le forze formative culturali e politiche –
compresa la retorica utilizzata dai candidati all’elezione – sembrano
saturi di celebrazioni della guerra e del Darvinismo Sociale.
Conseguentemente la possibilità di una dirigenza sempre più autoritaria
ed eticamente disfunzionale alla Casa Bianca nel 2013 ha certamente
attirato l’attenzione di numerosi liberali e altri progressisti negli
Stati Uniti. La politica statunitense in generale, e le elezioni del
2012 in particolare, rappresentano una sfida per i progressisti le cui
voci, negli anni recenti, sono state sempre più escluse sia dai media
convenzionali sia dai corridoi del potere politico. I media, invece,
hanno messo in scena la visione apocalittica dei guerrieri
fondamentalisti del Partito Repubblicano, che sembrano fissati nel
tradurre temi in precedenza considerati non religiosi – come
l’orientamento sessuale, l’istruzione, l’identità e la partecipazione
alla vita pubblica – nel linguaggio della rinascita della religione e
della crociata militante contro il male.
Come altro spiegare la dichiarazione del candidato Repubblicano alla
vicepresidenza, Paul Ryan, che la lotta per il futuro è una “lotta
dell’individualismo contro il collettivismo”, con il suo richiamo alla
retorica della guerra fredda e del maccartismo degli anni ’50? O
l’affermazione di Rick Santorum che “il presidente Obama sta rendendo
gli Stati Uniti schiavi della “dipendenza dai narcotici governativi”,
promuovendo l’idea che il governo non abbia la responsabilità di mettere
a disposizione reti di sicurezza per i poveri, gli invalidi, i malati e
gli anziani. Qui c’è all’opera qualcosa di più di una semplice versione
potenziata del darwinismo sociale con la sua etica selvaggiamente
crudele del “ricompensare i ricchi, penalizzare i poveri e lasciare che
tutti se la cavino da soli” [ii]; c’è anche un attacco a pieno campo al
contratto sociale, allo stato assistenziale, all’uguaglianza economica e
a ogni vestigio vitale della responsabilità morale e sociale.
L’appropriazione da parte di Romney-Ryan dell’ode all’egoismo e
all’interesse privato di Ayn Rand è di particolare importanza perché
offre uno squarcio della forma crudele del capitalismo estremo, in cui i
poveri sono considerati “scrocconi”, visti con disprezzo e scelti per
essere puniti. Ma questa ideologica economica fondamentalista teocratica
fa di più. Distrugge ogni idea vitale della virtù civica in cui il
contratto sociale e il bene comune costituiscono la base per creare
legami sociali significativi e per instillare nei cittadini un senso di
responsabilità civica e sociale. L’idea di servizio pubblico è vista con
disdegno proprio come è disprezzato il lavoro di singoli, gruppi
sociali e istituzioni che beneficiano la cittadinanza in generale. Come
segnalano George Lakoff e Glenn W. Smith, il capitalismo da casinò crea
una cultura di crudeltà: “con effetti orribili su decessi dei singoli,
malattie, sofferenza o maggiore povertà e perdita di opportunità, di
vita produttiva e di denaro [iii]”. Ma [l’ideologia economica] fa più
che limitarsi a distruggere ogni idea vitale del bene comune e della
vita pubblica spezzando “i legami che ci tengono uniti” [iv]. Nel
capitalismo da casinò gli spazi, le istituzioni e i valori che
costituiscono ciò che è pubblico sono ora presi d’assedio da potenti
forze finanziarie e considerati semplicemente come un altro mercato da
mercificare, privatizzare e costringere alla resa alle pretese del
capitale. Con al potere zeloti religiosi e mossi dal mercato, la
politica diviene un’estensione della guerra; l’avidità e l’egoismo
calpestano ogni preoccupazione per il benessere degli altri; la ragione è
calpestata da emozioni radicate nelle certezze assolutistiche e
nell’aggressione militare; e lo scetticismo e il dissenso sono
considerati opera di Satana.
Se la gara per la candidatura Repubblicana del 2012 è un qualche
indizio, allora il dibattito politico negli Stati Uniti non solo si è
spostato a destra ma è andato introducendo valori e ideali totalitari
nella normalità della vita pubblica. Il fanatismo religioso, la cultura
consumistica e lo stato di belligeranza operano in tandem con le forze
economiche neoliberali per incoraggiare la privatizzazione, le esenzioni
fiscali alle imprese, una crescente disuguaglianza di reddito e di
ricchezza e l’ulteriore fusione delle sfere finanziarie e militari in
modi che sminuiscono l’autorità e il potere del governo democratico [v].
Gli interessi neoliberali a liberare i mercati dalle costrizioni
sociali, ad alimentare la competitività, a distruggere i sistemi
d’istruzione, a produrre soggetti atomizzati e a sciogliere gli
individui da ogni senso di responsabilità sociale preparano la
popolazione e un lento abbraccio del darwinismo sociale, del terrorismo
di stato e della mentalità bellicista, in misura non minore distruggendo
i legami comunitari, disumanizzando l’altro e mettendo gli individui
contro le comunità che abitano.
Le tentazioni autoritarie ora saturano i media e la cultura più in
generale con il linguaggio dell’austerità come ortodossia politica ed
economica. Ciò cui stiamo assistendo negli Stati Uniti è la
normalizzazione di una politica che stermina non solo lo stato
assistenziale, e la verità, ma tutti quelli che sono macchiati dal
peccato dell’Illuminismo, cioè quelli che rifiutano una vita libera da
dubbi. La ragione e la libertà sono diventate nemici non semplicemente
da irridere, ma da distruggere. E questa è una guerra le cui tendenze
totalitarie sono evidenti nell’aggressione alla scienza, agli immigrati,
alle donne, agli anziani, ai poveri, alla gente di colore e ai giovani.
Quel che troppo spesso passa sotto silenzio, in particolare con la
concentrazione dei media sulla retorica incendiaria, è che quelli che
dominano la politica e il relativo processo decisionale, Democratici o
Repubblicani, lo fanno in larga misura grazie al loro sproporzionato
controllo sul reddito e la ricchezza della nazione. Appare sempre più
che questa élite politica sceglie di agire in modi che sostengono il suo
dominio mediante la riproduzione sistematica di un ordine sociale
iniquo. In altre parole, l’alta finanza e il potere delle imprese
governano mentre la politica elettorale è manipolata. La segretezza
della cabina elettorale diviene l’ultima espressione della democrazia,
riducendo la politica a un acquisto individuale, una forma cruda di atto
economico. Qualsiasi forma politica disponibile a investire in una
simile parata ritualistica non fa che accrescere l’attuale natura
disfunzionale del nostro ordine sociale, rafforzando allo stesso tempo
una profonda mancanza d’immaginazione politica. Il problema non dovrebbe
essere più come operare all’interno dell’attuale sistema elettorale,
bensì come smantellarlo e costruire un nuovo paesaggio politico capace
di rivendicare l’equità, la giustizia e la democrazia per tutti i suoi
abitanti. L’appello un tempo ispiratore di Obama alla speranza è
degenerato in una fuga dalla responsabilità. L’amministrazione Obama ha
operato per ampliare le politiche che hanno fatto a pezzi le libertà
civili, esteso il permanente stato di guerra e aumentato la portata
nazionale dello stato punitivo di sorveglianza. E se Romney e la sua
corte ideologica, ora vista come la fazione più estremista del Partito
Repubblicano, saliranno al potere, certamente le attuali tendenze
totalitarie e antidemocratiche all’opera negli Stati Uniti si
intensificheranno pericolosamente.
Un catalogo delle prove d’accusa rivela la profondità e la portata
della guerra scatenata contro lo stato sociale e in particolare contro i
giovani. Oltre a denunciare la depravazione morale di una nazione che
non protegge i propri giovani, tale guerra esprime nulla di meno di un
perverso desiderio di morte, un desiderio appena mascherato di
autodistruzione, così come la deliberata distruzione di un’intera
generazione non solo trasforma la politica statunitense in una
patologia, ma è certa di suonare la campana a morto per il futuro degli
Stati Uniti. Quanto a lungo dovrà attendere il pubblico statunitense
perché l’incubo finisca?
E’ importante avere consapevolezza degli elementi materiali e
culturali che hanno prodotto queste condizioni profondamente
antidemocratiche; tuttavia semplicemente non basta. La reazione
collettiva, qui, deve comprendere un rifiuto di adeguarsi all’attuale
dibattito politico di compromesso e accomodamento, pensare ben oltre il
discorso sulle facili concessioni e portare avanti lotte sui terreni
mutualmente informati dell’alfabetizzazione, dell’educazione e del
potere civici. Il rifiuto delle forme tradizionali di mobilitazione
politica deve essere accompagnato da un dibattito politico nuovo, che
sveli le prassi celate del dominio neoliberale sviluppando allo stesso
tempo modelli rigorosi di riflessione critica e forme nuove d’impegno
intellettuale e sociale.
Tuttavia l’attuale momento storico sembra in totale svantaggio per
creare un grande movimento sociale capace di affrontare la natura
totalitaria e i costi sociali di un fondamentalismo religioso e politico
che si sta fondendo con un estremo fondamentalismo del mercato. In
questo caso, un fondamentalismo la cui idea di libertà non va oltre il
personale utile finanziario e il consumismo infinito. In circostanze
simili i progressisti dovrebbero concentrare le proprie energie nella
collaborazione con il movimento Occupy e con altri movimenti sociali per
sviluppare un nuovo linguaggio di riforma radicale e per creare nuove
sfere pubbliche che rendano possibili il pensiero critico e l’agire
impegnato che sono le fondamenta stesse di una democrazia davvero
partecipativa e radicale. Tale progetto deve operare per sviluppare
vigorosi programmi educativi, modalità di comunicazione pubblica e
comunità che promuovano una cultura decisionale, di pubblico dibattito e
di scambio critico su un’ampia varietà di sedi culturali e
istituzionali. In definitiva deve concentrarsi sull’obiettivo finale di
generale quelle culture formative e sfere pubbliche che sono le
precondizioni per l’impegno politico e vitali per dare energia ai
movimenti democratici per il cambiamento sociale, movimenti disponibili a
pensare oltre i limiti di un capitalismo globale selvaggio. La
pedagogia in questo senso diviene centrale per ogni idea concreta del
fare politica e deve essere considerata un elemento cruciale della
resistenza organizzata e delle lotte collettive. Gli elementi
profondamente regressivi del neoliberismo costituiscono sia una prassi
pedagogica sia una funzione legittimatrice di un ordine sociale
profondamente oppressivo. Relazioni pedagogiche che facciano scomparire
il potere del capitalismo da casinò vanno scoperte e messe alla prova.
In circostanze simili la politica diviene trasformativa piuttosto che
accomodante e mira ad abolire un sistema capitalista marcato da enormi
disuguaglianze economiche, sociali e culturali. Una politica che sveli
le aspre realtà imposte dal capitalismo da casinò dovrebbe operare anche
in direzione della creazione di una società in cui le questioni della
giustizia, dell’uguaglianza e della libertà siano avvertite come
fondamenta cruciali di una democrazia concreta.
Anziché investire nella politica elettorale, sarebbe più valido per i
progressisti sviluppare condizioni formative che rendano possibile una
democrazia reale. Come ha suggerito Angela Davis, ciò significa
impegnarsi “in difficili processi di costruzione di coalizioni, nel
negoziare il riconoscimento di cui le comunità e i temi sono in lotta [e
raccogliersi] in un’unità che non sia semplicistica e oppressiva, bensì
complessa ed emancipativa, riconoscendo, nelle parole di June Giordan,
che ‘noi siamo quelli che aspettavamo’”. [vi] Sviluppare un movimento
sociale con una base vasta significa trovare un terreno comune sul quale
lo sfidare le diverse forme di oppressione, sfruttamento ed esclusione
possa diventare parte di uno sforzo più vasto per creare una democrazia
radicale.
In parte questo significa rivendicare un discorso di etica e
moralità, elaborando un nuovo modello di politica democratica e
sviluppando nuovi concetti analitici per capire e impegnarsi nel
concetto del sociale. Una possibilità di sviluppare una politica critica
e trasformativa potrebbe trarre lo spunto dai giovani dimostranti di
tutto il mondo e sviluppare nuovi modi per sfidare i valori industriali
che modellano la politica statunitense e, sempre più, quella globale. E’
in special modo cruciale offrire valori alternativi che contrastino le
ideologie informate al mercato che fanno corrispondere la libertà
all’individualismo radicale, all’egoismo, all’iper-competitività, alle
privatizzazioni e alle deregolamentazioni, minando al tempo stesso i
legami sociali, il bene pubblico e lo stato assistenziale. Tali azioni
possono essere ulteriormente intraprese reclutando giovani, insegnanti,
attivisti sindacali, leader religiosi e altri cittadini impegnati
affinché diventino intellettuali pubblici disponibili a utilizzare le
loro competenze e il loro sapere per rendere visibile come opera il
potere e per affrontare importanti temi sociali e politici. Naturalmente
il pubblico statunitense ha necessità di fare di più che solo parlare.
Deve anche riunire educatori, studenti, lavoratori e chiunque altro sia
interessato alla democrazia reale per creare un movimento sociale, un
movimento ben organizzato capace di cambiare i rapporti di potere e le
vaste disuguaglianze economiche che hanno creato le condizioni per la
violenza simbolica e sistemica della società statunitense.
Affrontare sfide di questo genere suggerisce che i progressisti
dovranno invariabilmente assumere il ruolo di attivisti dell’educazione.
Un’opzione consisterebbe nel creare microsfere di educazione pubblica
che promuovano modi di apprendimento critico e di attivismo civico e
mettano così i giovani e altri in condizioni di apprendere come dovrebbe
essere piuttosto amministrato il governo. Ciò può essere realizzato
attraverso una rete di spazi educativi gratuiti tra le diverse comunità
di fede e le scuole pubbliche, così come in organizzazioni laiche e
religiose affiliate a istituzioni di istruzione superiore.
Questi nuovi spazi educativi concentrati sul coltivare sia il dialogo
sia l’azione nell’interesse pubblico possono guardare a modelli del
passato nelle istituzioni sviluppate dai socialisti, dai sindacati e
dagli attivisti per i diritti civili agli inizi del ventesimo secolo e
più tardi negli anni ’50 e ’60. Tali scuole hanno rappresentato sfere
pubbliche d’opposizione e funzionato da sfere pubbliche democratiche nel
miglior senso educativo e hanno spaziato dalle prime reti di scuole
domenicali radicali al successivo College Sindacale di Brookwood e alla
Scuola Popolare Highlander nel Tennessee. Stanley Aaronowitz insiste
giustamente sul fatto che l’attuale “sistema sopravvive grazie
all’eclisse dell’immaginazione radicale, all’assenza di un’opposizione
politica vitale con radici nella popolazione generale e al conformismo
dei propri intellettuali che, in larga misura, sono soggiogati da porti
sicuri nel mondo accademico, posti di lavoro meno sicuri nelle imprese
del settore privato e istituzioni del centro e del centrosinistra.”
[vii]. In un periodo in cui il pensiero critico è stato appiattito
diviene imperativo sviluppare un discorso di critica e di possibilità,
che riconosca che, senza una cittadinanza informata, la lotta collettiva
e movimenti sociali dinamici, la speranza di una futura democrazia
vitale scivolerà fuori portata.
Henry A. Giroux detiene la cattedra di Global TV Network in inglese e
di Studi Culturali presso l’Università McMaster in Canada. I suoi libri
più recenti includono: “Take Back Higher Education” (co-autore con
Susan Searls Giroux, 2006) [Riprendiamoci l’istruzione superiore], “The
University in Chains: Confronting the Military-Industrial-Academic
Complex” (2007) [L’Università in catene: affrontare il compresso
militare-industriale-accademico] e “Against the Terror of Neoliberalism:
Politics Beyond the Age of Greed” (2008) [Contro il terrore del
neoliberalismo: la politica oltre l’era dell’avidità]. Il suo libro più
recente è Twilight of the Social: Resurgent Publics in the Age of
Disposability,” (Paradigm.) [Crepuscolo del sociale: pubblici che
risorgono nell’era della spendibilità].
Note
[i]. Charles H. Ferguson, Predator Nation (New York: Crown Press,
2012), p.21. Vedere, ad esempio, Bill McKibben, The End of Nature (New
York: Random House, 2006); Chalmers Johnson, Dismantling the Empire:
America’s Last Hope (New York: Metropolitan Books, 2010); Angela Davis,
Are Prisons Obsolete? (New York: Seven Stories Press, 2003);
[ii] Robert Reich, “Romney-Ryan Will Bring Back Social Darwinism,” The Kansas City Star (14 agosto 2012). In rete: http://www.kansascity.com/2012/08/14/3762436/robert-b-reich-romney-ryan-will.html
[iii] George Lakoff e Glenn W. Smith, “Romney, Ryan and the Devil’s Budget,” Huffington Post (22 agosto 2012). In rete:
http://www.huffingtonpost.com/george-lakoff/romney-ryan-and-the-devil_b_1819652.html
[iv] Ibid.
http://www.huffingtonpost.com/george-lakoff/romney-ryan-and-the-devil_b_1819652.html
[iv] Ibid.
[v] Vedere Jeffrey R. Di Leo, Henry A. Giroux, Sophia A. McClennen, e
Kenneth J. Saltman, Neoliberalism, Education, Terrorism,: Contemporary
Dialogues (Boulder: Paradigm, 2012).
[vi] Angela Davis, “The 99%: a community of resistance,” The Guardian, (15 novembre 2011)
[vii] Stanley Aronowitz, “The Winter of Our Discontent,” Situations, IV, no.2, (Primavera 2012). p. 68.
Fonte: http://www.zcommunications.org/authoritarian-politics-in-the-age-of-casino-capitalism-by-henry-a-giroux
Originale: Counterpunch
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
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