di Gianluca Roselli
(versione ridotta pubblicata su Libero quotidiano)
(versione ridotta pubblicata su Libero quotidiano)
«Da questa crisi si esce riformando
profondamente l’Unione europea oppure diventerà inevitabile uscire
dall’euro». L’economista Emiliano Brancaccio (docente di Economia
politica alla Facoltà di Scienze economiche e aziendali dell’Università
del Sannio, a Benevento) non è ottimista sul futuro della moneta unica.
Che, a suo parere, sta favorendo l’economia tedesca e impoverendo tutti
gli altri Paesi, a cominciare dall’Italia.
Brancaccio, davvero quello che
era considerato impossibile fino a qualche mese fa, ovvero l’uscita
dall’Italia dall’euro, ora è una possibilità reale?
«Sì, perchè l’euro non ha raggiunto gli
obiettivi per cui è stato creato. L’auspicato compromesso tra i paesi
forti come la Germania da un lato e la Francia e l’area mediterranea
dall’altro non si è mai realizzato. Gli Stati hanno interessi divergenti
che non si riescono a ricomporre. E ognuno va per la sua strada. Così
l’euro si configura sempre di più come un vestito tagliato su misura per
l’economia tedesca. Che ne trae vantaggi a livello di competitività
delle sue imprese a scapito dei Paesi periferici. Così la zona euro è
fortemente sbilanciata in favore degli interessi dell’economia più
forte. E la crisi lo dimostra, perché colpisce in modo asimmetrico: La
Germania è toccata in misura minore, mentre altri vanno a picco».
Insomma, l’euro ha fallito la sua missione?
«Nell’attuale configurazione sì. E lo
dimostra il fatto che l’area euro si è dimostrata la più fragile del
mondo di fronte all’onda di crisi che veniva dagli Stati Uniti».
Quindi si va verso la fine della moneta unica?
«Il problema è che in Germania non
sembrano convinti che convenga salvare l’euro. I gruppi dirigenti
tedeschi reputano sostenibile il costo dell’uscita dall’euro per le loro
imprese e le loro banche. L’unico fattore che spaventa la Germania è
che la deflagrazione della moneta unica ponga fine anche al mercato
comune europeo. Il motivo è che i tedeschi hanno lungamente prosperato
sulla libera circolazione dei capitali e delle merci e vogliono
preservarla. Ma nessuno, tanto meno Monti, sembra avere il coraggio di
minacciare una opzione “neo-protezionista” da parte dei paesi deboli per
indurre la Germania a rendere più equilibrata l’Unione. Allo stato
attuale, dunque, è improbabile che l’euro sopravviva. La Bce può anche
continuare a comprare i titoli dei paesi in difficoltà, ma non potrà
farlo per sempre anche perché nel Consiglio direttivo le opinioni sono
discordanti. Può al limite prolungare l’agonia, ma col passare del tempo
l’attuale zona euro è destinata a saltare».
Quando succederà?
«George Soros ha parlato di un orizzonte
di pochi mesi. E il Fondo Monetario Internazionale anziché smentirlo si
è accodato. Dopo le dichiarazioni di Draghi questo orizzonte si è
allargato, ma non credo di molto. Comunque, piuttosto che continuare
così, sarebbe meglio tagliare i legami ora piuttosto che essere
costretti a farlo dopo, quando la desertificazione produttiva del Paese
sarà compiuta».
Quindi l’Italia deve decidere l’uscita?
«Non mi pare che si annuncino svolte
credibili a favore di un effettivo rilancio e di un coordinamento dello
sviluppo europeo, e quindi sarebbe bene iniziare a preparare una
strategia di uscita. Oltretutto senza l’Italia la zona euro non
sopravviverà, ci sarà un effetto a catena che porterà alla fine della
moneta unica, almeno nella versione attuale».
Una decisione che alcuni giudicano catastrofica.
«Bisogna evitare una sterile
contrapposizione tra catastrofisti e iperottimisti. L’uscita dall’euro
non sarebbe certo una passeggiata. E’ urgente definire i possibili
criteri di uscita, che avrebbero implicazioni diverse sui diversi gruppi
sociali. A mio avviso, per esempio, un meccanismo di indicizzazione dei
salari sarebbe assolutamente necessario. Inoltre, rendere esplicita la
possibilità che i paesi deboli limitino la libera circolazione dei
capitali e delle merci potrebbe mettere in chiaro i rischi che la stessa
Germania sta correndo. A date condizioni, dunque, il ritorno alla
sovranità monetaria potrebbe avere un effetto benefico sull’occupazione e
i redditi. Del resto, l’analisi va fatta confrontandoci con le
alternative: restare in questo stallo per anni sarebbe peggio. Così non
si può continuare».
Una decisione di questa portata può essere presa dal governo Monti o dovrebbe essere presa da un esecutivo politico?
«Dubito che Monti possa prendere una
decisione simile. Questo dovrebbe essere un tema centrale del dibattito
politico ed elettorale. In Italia bisognerebbe tornare a un governo
espressamente politico, anche perché la pretesa di attribuire ai
tecnocrati proprietà taumaturgiche si è dimostrata infondata. Dalle
crisi economiche non si esce affidando il timone ai tecnici, come viene
da tempo preconizzato dalla Trilateral Commission. Al contrario,
bisognerebbe rivitalizzare i processi democratici».
Quindi lei non salva nulla della
politica economica del governo Monti? E’ appena stata approvata la
spending review. E’ stato annunciato un piano anti-debito con la vendita
di patrimonio pubblico.
«Sotto il termine spending review si
nasconde in realtà un pezzo ulteriore di manovra, a scoppio ritardato.
Vedo pochi tagli agli sprechi e molti tagli indiscriminati, basti vedere
la stretta nei confronti di importanti enti di ricerca. Per quanto
riguarda le vendite del patrimonio pubblico, anche ammettendo per pura
ipotesi che si possa arrivare a un introito di 400 miliardi di euro, con
gli interessi sul debito al 4 per cento in realtà il risparmio annuo
dello Stato si aggirerebbe intorno ai 15 miliardi. Insomma, un piano
colossale che rischia di partorire un topolino».
Il suo ultimo libro si intitola
“L’austerità è di destra e sta distruggendo l’Europa”. E’ questa la
causa del fallimento dell’Ue?
«Il titolo vuole essere un monito anche
alla sinistra. Significa che le politiche di taglio alla spesa pubblica e
di aumento della pressione fiscale colpiscono in primo luogo le fasce
più deboli, e a cascata riducono la capacità delle famiglie e delle
imprese, deprimendo la domanda di merci, con le imprese che abbattono la
produzione e licenziano. E i redditi cadono, il che rende più difficile
il rimborso dei debiti. In questo senso le politiche di austerità
perseguite da tutti i governi, di destra e di sinistra, stanno
impoverendo e, quindi, distruggendo l’Europa.
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