Un referendum contro il finanziamento alle scuole
private. Nel centro-sinistra di governo a Bologna reazioni scomposte
contro il pronunciamento sulle decisioni del Comune.
Nell’esprimere il nostro pieno appoggio al percorso referendario promosso dal “Comitato art.33” sul finanziamento o meno alle scuole private di Bologna, vogliamo sottolineare alcuni elementi della vicenda.
Nell’attuale situazione di crisi, non solo economica ma anche sociale e politica, un “semplice” referendum consultivo riesce a mettere in grande allarme e in difficoltà la Giunta Merola e i partiti della sua maggioranza.
Gli attacchi dell’assessore Pillati, gli insulti del segretario del PD Donini, e gli abboccamenti di SEL, non sono solo il solito e ritrito teatrino della politica cittadina e nazionale ma anche un esemplare caso di panico da post-democrazia.
In questo caso, come in tanti altri, le richieste di democrazia e i tentativi di reale partecipazione alla cosa pubblica vengono tacciate di ideologismo, di irresponsabilità di fronte alle esigenze “imposte” dalla crisi: a Bologna come in Italia e in Europa la democrazia deve fare la stessa fine del modello sociale che abbiamo conosciuto fino a pochi mesi fa, deve essere residuale, completamente al servizio di una parvenza di legittimazione di decisioni che ad ogni livello negano diritti generali e alimentano interessi particolari.
Di fronte a queste ferree necessità della politica montiana non risulta un gran problema da parte di rappresentanti istituzionali e dirigenti politici dichiarare che un referendum è uno spreco di denaro pubblico, che la decisione presa dai Garanti (nominati di fresco dal consiglio comunale) di ammettere il referendum è un atto irresponsabile e sbagliato, che un referendum di questo tipo è troppo difficile da capire per i cittadini (vogliamo tornare allo Statuto Albertino?), che migliaia di bambini rimarrebbero senza scuola ed altri insulti al buon senso e all’intelligenza di tutti noi.
Che un partito come il PD non possa permettersi “ginnastiche” democratiche con tutti i problemi di tenuta interna e di consenso è chiaro, ma deve essere anche chiara la funzione che sta svolgendo SEL tacciata di incoerenza, ingiustamente.
Riteniamo che SEL abbia una coerenza se non ci lasciamo distrarre dal fatto che i propri assessori votino a favore del finanziamento alle scuole private, che facciano intravvedere una crisi in consiglio comunale, che poi si astengano al momento del voto, che poi dichiarino di voler raccogliere le firme del referendum e che poi propongano lo scambio tra una specie di istruttoria e il referendum vero e proprio: confusione o cosa?
SEL a livello locale come a livello nazionale, come anche le sue componenti presenti nel sociale e nel sindacale, si è scelta la propria nicchia di mercato politico, dove rappresentare istanze di tenuta democratica e sociale ma capaci di piegarsi al momento giusto alle esigenze di governabilità.
Per questo, anche a Bologna, ad avere paura della democrazia, anche nelle forme previste da uno Statuto comunale blindato, sono tutti coloro che in questo paese hanno scelto di accettare come inevitabile la fine della democrazia benché della democrazia facciano il proprio vessillo.
Per noi l’esercizio di una riconquista degli spazi democratici deve partire da questa realtà e dall’esigenza di tutelare i percorsi di lotta e di opposizione con la pratica dell’indipendenza da queste forze politiche.
Rete dei Comunisti (Bologna)
Nell’esprimere il nostro pieno appoggio al percorso referendario promosso dal “Comitato art.33” sul finanziamento o meno alle scuole private di Bologna, vogliamo sottolineare alcuni elementi della vicenda.
Nell’attuale situazione di crisi, non solo economica ma anche sociale e politica, un “semplice” referendum consultivo riesce a mettere in grande allarme e in difficoltà la Giunta Merola e i partiti della sua maggioranza.
Gli attacchi dell’assessore Pillati, gli insulti del segretario del PD Donini, e gli abboccamenti di SEL, non sono solo il solito e ritrito teatrino della politica cittadina e nazionale ma anche un esemplare caso di panico da post-democrazia.
In questo caso, come in tanti altri, le richieste di democrazia e i tentativi di reale partecipazione alla cosa pubblica vengono tacciate di ideologismo, di irresponsabilità di fronte alle esigenze “imposte” dalla crisi: a Bologna come in Italia e in Europa la democrazia deve fare la stessa fine del modello sociale che abbiamo conosciuto fino a pochi mesi fa, deve essere residuale, completamente al servizio di una parvenza di legittimazione di decisioni che ad ogni livello negano diritti generali e alimentano interessi particolari.
Di fronte a queste ferree necessità della politica montiana non risulta un gran problema da parte di rappresentanti istituzionali e dirigenti politici dichiarare che un referendum è uno spreco di denaro pubblico, che la decisione presa dai Garanti (nominati di fresco dal consiglio comunale) di ammettere il referendum è un atto irresponsabile e sbagliato, che un referendum di questo tipo è troppo difficile da capire per i cittadini (vogliamo tornare allo Statuto Albertino?), che migliaia di bambini rimarrebbero senza scuola ed altri insulti al buon senso e all’intelligenza di tutti noi.
Che un partito come il PD non possa permettersi “ginnastiche” democratiche con tutti i problemi di tenuta interna e di consenso è chiaro, ma deve essere anche chiara la funzione che sta svolgendo SEL tacciata di incoerenza, ingiustamente.
Riteniamo che SEL abbia una coerenza se non ci lasciamo distrarre dal fatto che i propri assessori votino a favore del finanziamento alle scuole private, che facciano intravvedere una crisi in consiglio comunale, che poi si astengano al momento del voto, che poi dichiarino di voler raccogliere le firme del referendum e che poi propongano lo scambio tra una specie di istruttoria e il referendum vero e proprio: confusione o cosa?
SEL a livello locale come a livello nazionale, come anche le sue componenti presenti nel sociale e nel sindacale, si è scelta la propria nicchia di mercato politico, dove rappresentare istanze di tenuta democratica e sociale ma capaci di piegarsi al momento giusto alle esigenze di governabilità.
Per questo, anche a Bologna, ad avere paura della democrazia, anche nelle forme previste da uno Statuto comunale blindato, sono tutti coloro che in questo paese hanno scelto di accettare come inevitabile la fine della democrazia benché della democrazia facciano il proprio vessillo.
Per noi l’esercizio di una riconquista degli spazi democratici deve partire da questa realtà e dall’esigenza di tutelare i percorsi di lotta e di opposizione con la pratica dell’indipendenza da queste forze politiche.
Rete dei Comunisti (Bologna)
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