venerdì 31 agosto 2012

Deutschland über alles di Moreno Pasquinelli



L’euro 2.0, la Bce e la questione tedesca
«Il fatto è che contro questo “destino di eterodirezione” (De Rita) non sorge alcun sussulto in seno alla borghesia italiana che conta, all’interno della quale prevale anzi la tendenza ad inchiodarsi al ceppo tedesco come ineluttabile e salvifica condanna. Un cupio dissolvi anti-nazionale, una pulsione di morte, una eutanasia della classe dominante. Non la rimpiangeremo».


Quindi anche Mario Monti ha ammesso [1] che l’effetto annuncio deliberatamente cercato da Mario Draghi nella sua conferenza stampa del 26 luglio alla City londinese  è stato determinante, ben più delle sue misure draconiane, per evitare la tempesta finanziaria che si stava abbattendo sull’eurozona, in particolare sui debiti sovrani di Spagna e Italia, con relativa impennata degli spread.

Grazie alle promessa di Draghi che la Bce non si sarebbe limitata all’uso di “armi convenzionali” (azione sulla leva del tasso dì interesse) ma sarebbe ricorsa a quelle “non convenzionali” (acquisto dei titoli spagnoli e italiani per tenerne bassi i rendimenti, ciò che avrebbe fatto finalmente la Bce prestatore di ultima istanza), Spagna e Italia hanno passato quasi indenni… la nottata.

Il fatto è che tutti i fattori di crisi, tutti i motivi patogeni che stanno minando la stabilità e la sopravvivenza dell’eurozona, stanno lì, intatti, pronti a scatenare il collasso. Potenziati dalla recessione che non attanaglia solo i cosiddetti “paesi cicala”, ma anche quelli “formica”, e che quindi pregiudica a fortiori l’efficacia delle terapie per evitare che l’eurozona vada in pezzi.

Mario Draghi e Jens Weidmann 
L’eurozona spaccata

A dispetto dell’ottimismo di circostanza, quello all’insegna del quale si è svolto l’incontro tra la Merkel e il suo gauleiter questuante Monti, le stesse aste degli ultimi due giorni confermano che la situazione è drammatica. La riduzione dei rendimenti dei Bot e Btp è stata poco più che irrisoria. Le casse dello Stato, grazie a questa provvisoria riduzione, dovranno sborsare qualche decina di milioni in meno (rispetto ai tassi di un mese fa) «una goccia nel mare del debito pubblico italiano che viaggia invece diritto verso i 2 mila miliardi». [2] 

La seconda tempesta finanziaria, dopo quella che fece secco Berlusconi, quella che probabilmente azzopperà il governo Monti-Napolitano, è stata rimandata non eliminata. Una tempesta che si manifesterà con nuove impennate dello spread, cioè con una diminuzione del valore dei titoli italiani e il contestuale aumento degli interessi per lo Stato. Una tempesta che, come andiamo ripetendo da almeno un anno e mezzo, travolgerà il sistema bancario italiano — le banche dello Stivale hanno in pancia 343 miliardi di titoli del Tesoro e solo tra febbraio e maggio ne hanno acquistati, grazie alla liquidità offerta dalla Bce altri 45 miliardi (dati Bankitalia di fine agosto).

Ma non sono solo le banche a soffrire a causa dell’alto costo del debito pubblico italiano, e quindi a dovere pagare interessi che si aggirano attorno al 7% per poter piazzare proprie azioni e obbligazioni. A cascata tutta l’economia ne soffre, ovvero il sistema capitalistico italiano. Andrea Franceschi ce ne da un esempio: «Nei giorni scorsi Volkswagen ha collocato sul mercato obbligazioni decennali per un miliardo di euro ad un tasso estremamente basso (2,37%). Decisamente più alto il costo di rifinanziamento del debito della concorrente Fiat che lo scorso mese ha piazzato 600 milioni di titoli a quattro anni con un tasso del 7,75%». [3] 

Morale della favola: ha voglia Marchionne a spremere come limoni gli operai di Pomigliano o Mirafiori! Occorrerebbe ridurli in schiavi per compensare quello che gli economisti definiscono con ingannevole eufemismo “svantaggio competitivo” tra l’industria tedesca e quella italiana.
I capitalisti tedeschi sanno benissimo che traggono un vantaggio indiscutibile dalla crisi dei debiti sovrani e dallo spread alto: «In Germania c’è molta gente a cui fa comodo questa situazione e non escludo che dietro ai recenti attacchi tedeschi al presidente della Bce Mario Draghi, ci sia una banale difesa di uno status quo che conviene a molti». [4]  

“Banale difesa”, una metafora per nascondere le verità che in nome della narrazione europeista era finita nel dimenticatoio e il cui vero nome è concorrenza, competizione intercapitalista. Sotto i nostri occhi sta tirando le cuoia l’illusione che la concorrenza  spietata inter-capitalista, per quanto allo stadio monopolistico, tra aziende e sistemi nazionali, fosse stata derubricata in nome di una kantiana pace europeista perpetua. Marx, il cane morto, si prende una bella rivincita, mentre l’irreversibilità della costruzione eurista di cui parlò Draghi andrà a farsi friggere. Pensare che possa esistere un capitalismo senza concorrenza, e quindi conflitto tra capitali e sistemi nazionali, è come immaginare che una tigre diventi erbivora.

Bce: scontro al vertice

E’ scontato che il Direttivo della Bce del 6 settembre non prenderà decisioni risolutive, tantomeno quella (che certa stampa, con sicumera, considera la "volontà di Draghi") di una nuova e più massiccia operazione SMP di acquisto di titoli spagnoli e italiani. Ammesso e non concesso che questo sia tra gli effettivi desiderata di Draghi (del che noi continuiamo a dubitare), egli non potrà vincere l’opposizione tedesca e in specifico quella tetragona della Bundesbank, vera sentinella di ultima istanza del capitalismo tedesco. Non le prenderà per la semplice ragione che dovrà attendere le decisioni della Corte Costituzionale tedesca in merito al fondo salva-stati Esm-Mes e ciò a dimostrazione che è ai tedeschi che spetta l’ultima parola.

Beninteso, che la Corte tedesca bocci il fondo salva-stati non pregiudica, di per sé, che la Bce ricorra alla “arma non convenzionale” dell’acquisto diretto di titoli spagnoli e italiani. Si tratta di due operazioni di diversa natura, la prima chiama in causa gli Stati e i governi, la seconda la banca centrale appunto. Teoricamente la Bce potrebbe intervenire anche ove il fondo salva-stati non entrasse in vigore nei tempi e con le dotazioni attese, ma Draghi ha già ripetuto a iosa che la Bce interverrà eventualmente solo dopo l’attivazione dell’Esm/Mes, ovvero solo dopo che Berlino abbia dimostrato una volta per tutte la sua determinazione a salvare l’eurozona.

Teoricamente, i tedeschi si oppongono su tutta la linea ad un’operazione Smp da parte della Bce. Le dichiarazioni di Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, sono state inequivocabili: «La Bce non deve acquistare titoli di stato, è del tutto fuori dal suo Statuto e dal mandato affidatole dai Trattati europei. (…) perché i finanziamenti della Bce assomiglierebbero a un finanziamento degli Stati stampando moneta, e renderebbero i governi tossicodipendenti, come una droga». [5] 

La domanda è: potrà Draghi vincere le resistenze tedesche? La nostra risposta è: non impossibile ma altamente improbabile, talmente improbabile che è quasi impossibile. Per cui si fa tanto rumore per nulla su queste “armi non convenzionali” della Bce, una storia che farà la stessa fine che fece a giugno l’ipotesi, data per certa, degli Eurobond, seppelliti per sempre dalla Merkel in persona.

Resta quindi solo il fondo salva-stati dell’Esm/Mes, quello sottoposto a giudizio della Corte costituzionale tedesca, la cui sentenza è attesa per il 12 settembre. Noi azzardiamo un’ipotesi su quella che sarà la decisione ultima. Né un sì né un no ma un nì. La Corte dirà che in linea di principio la Germania potrà aderire al fondo, ma ponendo una serie di condizioni politiche che il Parlamento tedesco dovrà rispettare scrupolosamente, tali e tante condizioni che non potranno far scattare il fondo nei tempi stretti necessari, ovvero entro l’autunno. Del resto la stessa Merkel aveva già messo due paletti invalicabili: l’Esm non avrà una dotazione superiore a quella prevista [6] né, come ha dichiarato l’altro ieri, licenza bancaria [7]

Insomma il fondo salva-stati nasce zoppo e tutto potrà fare meno che salvare l’eurozona ed evitare che vada in frantumi.

Su cosa si dividono in Germania?

Mentre scrivo i quotidiani italiani tessono lodi sperticate di Monti, perché nel suo incontro con la Merkel, avrebbe ammansito la Cancelliera e, udite udite, spezzato l’asse carolingio franco-tedesco. Ovviamente sono balle, minchiate, fatte per abbindolare gli italiani e portare consenso a questo tecno-cardinale liberista che oramai la maggioranza degli italiani detesta. Alcuni Tg particolarmente zelanti si sono spinti a dire che “Monti ha convinto la Merkel” i(il Tg2) , lasciando intendere che la Merkel ha smentito il presidente della Bundesbank.

Come stanno effettivamente le cose? Che in Germania sia in atto all’interno della classe dominante e ai vertici del sistema uno scontro durissimo, questo è noto. Quel che i media non dicono agli italiani è in cosa consistano le divergenze, quali siano le strategie dei due fronti giunti a singolar tenzone e cosa implichino per l’Italia (non solo per il popolo lavoratore ma per il futuro del paese).

Quali sono queste due strategie rispetto alle sorti dell’euro e del ruolo della Germania? La cosa è ben descritta da Antonio Pilati nell’articolo Che fare con la Merkel, apparso su IL FOGLIO del 29 agosto, e di cui raccomando vivamente la lettura.

Per adesso prevale la linea Merkel, che vuole sì difendere l’eurozona (ma la Grecia se ne deve andare per dare una lezioni a tutti gli altri) ma a condizioni terribili per i paesi indebitati, tra cui il loro definitivo commissariamento e la cessione della sovranità a Bruxelles e Francoforte, l’imposizione di politiche deflattive draconiane, la caduta verticale di ricchezza con annesso crollo dei salari e dei diritti, i deflussi di capitale verso la Germania, lo sfaldamento degli assetti proprietari in settori cruciali dell’economia nazionale, così da favorire lo shopping teotonico. L’annessione progressiva dell’Italia e degli altri “paesi deboli” come
province tedesche.

La seconda strategia è quella dei nemici giurati dell’euro nostalgici del marco. Convinti che l’eurozona è destinata all’implosione, che i differenziali tra i paesi sono incolmabili, che l’euro è stato un grave errore, essi sostengono che l’uscita degli “stati deboli” è ineluttabile, nella logica delle cose, che quindi questa uscita va agevolata non facendo alcuna concessione, né sul fronte della Bce né su quello del fondo salva-stati.

Come sostiene giustamente Pilati “le due strategie condividono i principi di fondo e differiscono sulla terapia”. «Da questo nucleo concettuale emerge la visione di un’area euro 2.0 (copyright Ollì Rhen) a bassi divari strutturali, unita nell’ideologia monetaria e di bilancio e quindi con divergenze di politica economica ridotte al minimo, segnata da un esplicito marchio tedesco». [8]

 Terapie che conducono entrambi, seppur per vie diverse, all’annessione del nostro paese alla Germania. Da nazione “imperialista stracciona” o sub-imperialista (ovvero sottomessa al dominio nordamericano, l’Italia diventerebbe una satrapia di Berlino con comproprietà yankee, con le conseguenze sociali, economiche e politiche che ognuno può immaginare.

Il fatto è che contro questo “destino di eterodirezione” (De Rita) non sorge alcun sussulto in seno alla borghesia italiana che conta, all’interno della quale prevale anzi la tendenza ad inchiodarsi al ceppo tedesco come ineluttabile e salvifica condanna. Un cupio dissolvi anti-nazionale, una pulsione di morte, una eutanasia della classe dominante. Non la rimpiangeremo.

Note

[1] intervista ad Il Sole 24 Ore del 29 agosto
[2] Maximilian Cellino, Il Sole 24 Ore, 30 agosto 2012
[3] Il Sole 24 Ore, 30 agosto 2012
[4] Angelo Drusiani, gestore obbligazionario. Citato da Andrea Franceschi. Ibidem
[5] La Repubblica, 27 agosto 2012
[6] Corriere della Sera, 17 marzo 2012
[7] Ansa.it del 29 agosto 2012
[8] Antonio Pilati, Ibidem

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