Il
modello è morto, lunga vita al modello. I programmi d’austerità stanno
prolungando la crisi che dovevano risolvere, tuttavia i governi si
rifiutano di abbandonarli. La Gran Bretagna offre un esempio efficace. I
tagli, prometteva la coalizione, sarebbero stati dolorosi ma avrebbero
funzionato. Sono dolorosi, altroché, e ci hanno spinto in una doppia
recessione.
Il risultato era stato ampiamente
previsto. Se si taglia la spesa governativa e il reddito dei poveri
durante una crisi economica, è probabile che la si renda peggiore. Ma la
settimana scorsa David Cameron ha insistito a dire che “andremo avanti e
completeremo il lavoro”, mentre il cancelliere ha sostenuto che il
governo ha “un piano credibile e ci stiamo attenendo ad esso.”
Sorgono due domande. La prima è
familiare: perché la reazione del pubblico a quest’attacco alla vita
pubblica e al benessere pubblico è stata così tiepida? Dove sono le
massicce e prolungate proteste che ci saremmo potuti aspettare? Ma
l’altra domanda è ugualmente sconcertante: dov’è l’élite economica?
Certamente la classe imprenditoriale e i
super-ricchi – gli unici che il governo ascolta – possono vedere che
queste politiche stanno distruggendo i mercati da cui dipende la loro
ricchezza. Certamente sono in grado di capire che questo capitalismo da
terra bruciata sta fallendo persino nei suoi stessi termini.
Per capire quest’enigma dovremmo in
primo luogo capire che quel che è presentato come un programma economico
è, di fatto, un programma politico. È l’attuazione di una dottrina: una
dottrina chiamata neoliberalismo. Come ogni credo, esiste nella sua
forma pura soltanto nei cieli; quando riportata sulla terra si trasforma
in qualcosa di diverso.
I neoliberali affermano che abbiamo
maggiori vantaggi massimizzando la libertà del mercato e minimizzando il
ruolo dello stato. Il libero mercato, lasciato a sé stesso, produrrà
efficienza, scelta e prosperità. Il ruolo del governo dovrebbe essere
limitato alla difesa, a proteggere la proprietà, a impedire monopoli e a
rimuovere le barriere alle attività economiche. Tutti gli altri compiti
sarebbe meglio fossero affidati alle imprese private. La ricerca di una
purezza da anno zero del mercato è stata abbastanza pericolosa nella
teoria: distorta dalle sporche realtà della vita sulla terra è
devastante per il benessere sia del popolo sia del pianeta.
Come dimostra Colin Crouch in ‘The Strange Non-Death of Neoliberalism’
[La strana non-morte del neoliberalismo] lo stato e il mercato non
sono, come insistono i neoliberali, in perpetuo conflitto. Si sono
invece uniti a difesa delle richieste delle mega-imprese.
Quando lo stato taglia i regolamenti e
le provvidenze sociali, il mondo degli affari si arricchisce. Esso usa
la sua ricchezza per calpestare la stessa dottrina che l’ha arricchito.
Mediante finanziamenti alle campagne elettorali, facendo rete e mediante
attività di lobby, le grandi imprese arruolano lo stato perché si
faccia campione dei loro interessi. In Gran Bretagna le imprese hanno
esercitato pressioni per programmi di privatizzazione che sostituissero i
monopoli pubblici con quelli privati. Hanno anche persuaso il governo a
creare piani ibridi (come l’iniziativa della finanza privata) che
garantiscano finanziamenti statali alle imprese. Negli stati uniti le
mega-imprese hanno convinto il Congresso a rimuovere i regolamenti
chiave che disciplinavano i revisori e le banche. Ciò ha portato prima
agli scandali Enron e WorldCom, e poi alla crisi finanziaria.
Le grandi imprese hanno usato il loro
potere per convincere lo stato a lasciarle continuare a scaricare i loro
costi ambientali sul resto di noi. Hanno indebolito le leggi antitrust.
Hanno escluso nuovi ingressi sul mercato (mediante i loro investimenti
pubblicitari e le loro reti di distribuzione) e sono diventate grandi
abbastanza da impedire la propria uscita anche quando falliscono (si
vedano i salvataggi delle banche). Questi sono i risultati delle
politiche neoliberali che Cameron sta applicando, ma che sono in grave
contrasto con le previsioni fatte dai neoliberali su come dovrebbero
comportarsi i liberi mercati.
Soprattutto, il programma neoliberale ha
precluso le scelte politiche. Se il mercato, come insiste la dottrina, è
l’unico valido fattore decisivo per stabilire come si evolvono le
società e il mercato è dominato dalle mega-imprese, allora quello che la
società riceve è quello che vuole la grande industria. Si può costatare
questa squallida realtà nel discorso di Cameron della scorsa settimana.
“Abbiamo ascoltato quello che vogliono le imprese e stiamo provvedendo.
Le imprese hanno detto: ‘Vogliano trattamenti fiscali competitivi’, e
dunque stiamo creando il regime fiscale per le imprese più competitivo
in tutto il G20 e le aliquote fiscali a carico delle imprese più basse
del G7 …” E il resto di noi? Non abbiamo voce in capitolo?
L’ipotesi neoliberale è stata smentita
in modo spettacolare. Lungi dall’autoregolarsi, i mercati non vincolati
sono stati salvati dal crollo solo dall’intervento del governo e da
massicce iniezioni di denaro pubblico. Lungi dal produrre la prosperità
universale, i tagli governativi ci hanno spinto ancor più profondamente
nella crisi. E tuttavia questa stessa crisi è ora usata come scusa per
applicare la dottrina ancor più ferocemente di prima.
E dunque dov’è l’élite economica? A
contare i soldi che ha accumulato in paradisi fiscali non regolamentati.
Trent’anni di neoliberalismo hanno consentito ai super-ricchi di
distaccarsi dalle vite degli altri in misura tale che la crisi economica
li tocca a malapena. Si può considerare ciò come un altro fallimento
del mercato. Anche se sono toccati, i ricchi sono indubbiamente pronti a
pagare un prezzo economico per i vantaggi politici – libertà dalle
restrizioni della democrazia – che la dottrina offre.
Un programma che prometteva libertà e
scelta ha invece prodotto qualcosa che assomiglia a un capitalismo
totalitario, in cui nessuno può dissentire dalla volontà del mercato e
in cui il mercato è diventato un eufemismo per la grande impresa. Offre
libertà, poco ma sicuro, ma solo a quelli che stanno al vertice.
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