di Riccardo Chiari, Il Manifesto
«Se si chiedono i voti degli italiani,
si deve dire quali politiche si vogliono fare. Perché c'è il rischio che
dopo le elezioni ci sia una sostanziale continuità con quello che
abbiamo visto in questi anni, e che è stato pagato soprattutto dai
lavoratori. Un tempo si diceva: non vogliamo morire democristiani. Oggi
io non vorrei morire lettiano». Per Giorgio Airaudo il riferimento al
vicesegretario del Pd non è una battuta. Piuttosto riflette la
richiesta, che non arriva solo dalla Fiom ma da gran parte della base
Cgil, di dire chiaramente quali saranno i punti fondanti del programma
elettorale delle forze politiche. «Perché le prossime elezioni -
sottolinea il responsabile nazionale auto della Fiom - saranno
costituenti di nuovi schieramenti. E anche di nuove soggettività, che
devono avere un loro ancoraggio sociale».
Airaudo, che idea si è fatto dell' alleanza Pd-Sel, in vista di un patto di governo con l'Udc?
Sono
dell'idea che le alchimie delle alleanze debbano arrivare solo dopo
risposte chiare. Quando chiediamo di rimettere in discussione la riforma
delle pensioni, la riforma del lavoro, quella dell'articolo 18, e di
avere finalmente una vera legge sulla rappresentanza sindacale, facciamo
altrettante domande a chi intende governare.
Da queste risposte, che non sono ancora arrivate, si capirà quali sono le opzioni in campo.
Sì.
Ma c'è il rischio che invece si definisca un campo emergenziale. Di
voto utile. Di ultima spiaggia. Questo porterebbe dopo il voto ad avere
politiche di sostanziale continuità con quelle di Monti, che ha fatto
cassa per cercare di abbassare lo spread. Senza riuscirci.
Come uscire da questa prospettiva tutt'altro che peregrina ma anzi molto probabile?
Sarebbe
necessario che il campo del centrosinistra fosse definito in base alle
proposte che si avanzano sui temi del lavoro. Perché corriamo il rischio
di vedere le forze di sinistra utilizzate in un disegno che non
determina un cambiamento. E la nostra gente, quella che in questi anni
si è battuta in fabbrica, il cambiamento lo chiede a gran voce.
Anche se le alchimie della politica vengono dopo i contenuti, può darci un'idea di quello che sta accadendo?
Ripeto,
questo annuncio di un accordo a prescindere fra Pd e Sel, se accordo è,
non mi sembra tenga conto del merito. Io vorrei invece una sinistra che
si unisce, diventando uno schieramento competitivo in grado di
rappresentare il lavoro. Con Vendola, il movimento dei sindaci, le altre
forze di sinistra. Se invece Vendola viene usato per dividere, si fa
confusione. E si fanno danni.
All'assemblea fondativa di Alba è stato
molto applaudito quando ha detto che serve qualcosa di grande per
rappresentare il lavoro e fare battaglie non per testimonianza ma per
vincerle. E che chiunque voglia affrontare le elezioni del 2013 in modo
credibile, non può non dire come si correggono i disastri delle
«riforme» di Monti.
Certo. Non si può pensare che la rappresentanza
del lavoro sia ancora una volta annichilita «dall'emergenza». Occorre
invece definire politiche chiare, poi chi ci sta ci sta. In Francia, se
votavi per socialisti e fronte della sinistra, sapevi che in caso di
vittoria Hollande avrebbe abbassato l'età pensionabile, e così è stato.
Non sono possibili scorciatoie di fronte a temi come la riforma delle
pensioni e l'articolo 8 sulla rappresentanza sindacale. Sono scelte di
campo. E se si pensa di rinviare a dopo la discussione, anche la storia
recente ci insegna, si diventa ininfluenti.
Anche la Fiom ha proposto
una raccolta di firme per un referendum abrogativo delle leggi varate
dal governo Monti, dalle pensioni all'articolo 18. Di Pietro lo ha
appena fatto.
Non penso che sia stata una mossa inutile, come da più
parti è stato detto. Quel tema è sul tavolo. Anche se il referendum è
solo uno degli strumenti che si possono utilizzare.
il manifesto 3 agosto 2012
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