Preparandosi a riprendere in mano il
timone del governo, la politica farebbe bene a riflettere sulle ragioni
della sua Caporetto, nel novembre 2011. Ciò che ha atterrato
lonorabilità della politica non furono tanto gli scandali sessuali del
premier o le diffusissime vicende di corruzione, ma limpotenza a fare
il suo lavoro: governare. Lincapacità, non la disonestà, ha mandato a
casa il governo Berlusconi. Questa accusa è molto più grave di quella di
corruzione. Poiché mentre la disonestà è lesito di una deturpazione
che non mette in discussione la politica ma alcuni suoi praticanti,
linadeguatezza a prendere decisioni mette in luce un limite oggettivo
della politica democratica.
Infatti fu il sapere di dover andare di
fronte agli elettori con programmi di rigore e sacrifici, e di rischiare
di perdere il consenso, che ha reso il governo Berlusconi impotente.
Con il governo dei tecnici è circolata unidea perniciosa: che la forza
di un governo sia in proporzione della sua non rispondenza agli
elettori. Questo è il vulnus democratico contenuto nella filosofia di un
governo tecnico. Luscita dal quale deve necessariamente corrispondere
alla rinascita della politica delle idee e della progettualità con la
quale presentarsi agli elettori. Difficile prevedere che cosa lascerà il
governo Monti. Ma una cosa sembra chiara proprio in virtù di questa
premessa: con lavvento del governo dei tecnici la politica dei
politici si trova di fonte a un compito impervio, che è quello di
dimostrare di essere meglio di un governo senza politica partigiana; che
un governo che deve rendere conto agli elettori è migliore e
altrettanto capace di un governo tecnico. Ritornare a parlare di
programmi e di idee è la via maestra.
Ed è urgente. Un problema tra i più urgenti che una politica democratica dovrà affrontare sarà quello della crescente diseguaglianza della società italiana. La diseguaglianza è un problema per la democrazia, soprattutto quando si radica nelle generazioni, perché balcanizza la società e rompe la solidarietà tra cittadini, inducendo i pochi a secedere, se così si può dire, dallobbligo di contribuire per chi non sente più come uguale. La società italiana sta da alcuni anni percorrendo una strada a ritroso rispetto a quella nella quale si era immessa dopo la Seconda guerra mondiale: dalleguaglianza alla diseguaglianza. Lo documentano ricerche effettuate dal 2009 al 2012 da istituti diversi come lOcse, la Banca dItalia e lIstat. Da circa quindici anni, si assiste a una progressiva disuguaglianza dei redditi e un aumento progressivo della povertà. Come osserva Giovanni dAlessio in uno studio per la Banca dItalia di qualche mese fa, il rapporto tra la ricchezza e il reddito è allincirca raddoppiato negli ultimi decenni; insieme è aumentato il ruolo dei redditi da capitale rispetto a quelli da lavoro.
In altri termini, la ricchezza sta assumendo un ruolo via via crescente tra le risorse economiche che definiscono la condizione di benessere di un individuo mentre declina il ruolo del lavoro. Un significativo aspetto della disuguaglianza riguarda la sua tendenza a trasferirsi da una generazione allaltra, legando sempre di più il destino dei figli a quello dei genitori. È questo un fattore tra i più devastanti e che documenta direttamente la stabilizzazione delle classi. Perché disuguaglianza non occasionale, non per personale responsabilità, ma di classe, un fatto che vanifica ogni più ragionevole discorso sul merito individuale. Questo trend classista ci dice in sostanza che lavoro dipendente e lavoro autonomo sono divaricati (il reddito del secondo aumenta molto più in proporzione al reddito del primo) e che i punti di partenza (la famiglia) diventano sempre più determinanti e difficilmente neutralizzabili da parte degli individui. Non a caso, insieme alla divaricazione dei redditi autonomi e da lavoro si ha la divaricazione degli accoppiamenti: sempre più persone si sposano con persone con reddito simile. Insomma poveri sposano poveri, ricchi sposano ricchi e per conseguenza, tendenza al trasferimento delle diseguaglianza e dei privilegi da una generazione allaltra. La democrazia non ha mai promesso né perseguito lobiettivo di rendere tutti i cittadini economicamente eguali, ma ha promesso con formale dichiarazione nelle costituzioni e nelle carte dei diritti, di rimuovere gli ostacoli che impediscono a uomini e donne, diversi tra loro sotto tanti punti di vista (dal genere al credo religioso alla ricchezza) di aspirare a una vita dignitosa.
Vi è nella democrazia politica un invito assai esplicito a mai interrompere il lavoro di manutenzione sociale operando sulle condizioni di accesso o le capacitazioni per usare un termine coniato da Amartya Sen. Ecco perché a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale le democrazie hanno dichiarato che i livelli di disuguaglianza nella ricchezza devono e possono essere mitigati agendo sui meccanismi che la determinano, ad esempio con politiche in grado di assicurare che il godimento di alcuni diritti fondamentali raggiunga più pienamente e uniformemente la popolazione. Scrive dAlessio, che la scuola pubblica erogando un servizio a tutti, tende a ridurre la disuguaglianza tra i cittadini in termini di conoscenze e di abilità, presupposto di una quota rilevante di quella in termini di ricchezza, riducendo in particolare il divario che caratterizza coloro che provengono dalle classi sociali più svantaggiate. Lo stesso vale per il servizio sanitario, che rimuove un ostacolo forse ancora più fatale per chi non ha altra ricchezza se non il proprio lavoro. Eppure proprio queste spese sociali sono oggi messe in discussione e decurtate.
I programmi politici sono quindi determinanti perché a consolidare le classi insieme al declino fortissimo dei matrimoni interclassisti interviene proprio lo smantellamento di quel fattore sul quale si era costruita la democrazia moderna: la politica sociale, che significa la ridistribuzione dei redditi attraverso i servizi destinati alla salute e allistruzione; in questi due settori chiave che da sempre hanno contribuito a contenere il divario tra le classi lo Stato investe sempre di meno, dimostrando nei fatti di non essere in grado o di non volere più usare la spesa pubblica per obiettivi democratici, per rimuove gli ostacoli alla crescita della disuguaglianza, come promesso dalla Costituzione.
Ed è urgente. Un problema tra i più urgenti che una politica democratica dovrà affrontare sarà quello della crescente diseguaglianza della società italiana. La diseguaglianza è un problema per la democrazia, soprattutto quando si radica nelle generazioni, perché balcanizza la società e rompe la solidarietà tra cittadini, inducendo i pochi a secedere, se così si può dire, dallobbligo di contribuire per chi non sente più come uguale. La società italiana sta da alcuni anni percorrendo una strada a ritroso rispetto a quella nella quale si era immessa dopo la Seconda guerra mondiale: dalleguaglianza alla diseguaglianza. Lo documentano ricerche effettuate dal 2009 al 2012 da istituti diversi come lOcse, la Banca dItalia e lIstat. Da circa quindici anni, si assiste a una progressiva disuguaglianza dei redditi e un aumento progressivo della povertà. Come osserva Giovanni dAlessio in uno studio per la Banca dItalia di qualche mese fa, il rapporto tra la ricchezza e il reddito è allincirca raddoppiato negli ultimi decenni; insieme è aumentato il ruolo dei redditi da capitale rispetto a quelli da lavoro.
In altri termini, la ricchezza sta assumendo un ruolo via via crescente tra le risorse economiche che definiscono la condizione di benessere di un individuo mentre declina il ruolo del lavoro. Un significativo aspetto della disuguaglianza riguarda la sua tendenza a trasferirsi da una generazione allaltra, legando sempre di più il destino dei figli a quello dei genitori. È questo un fattore tra i più devastanti e che documenta direttamente la stabilizzazione delle classi. Perché disuguaglianza non occasionale, non per personale responsabilità, ma di classe, un fatto che vanifica ogni più ragionevole discorso sul merito individuale. Questo trend classista ci dice in sostanza che lavoro dipendente e lavoro autonomo sono divaricati (il reddito del secondo aumenta molto più in proporzione al reddito del primo) e che i punti di partenza (la famiglia) diventano sempre più determinanti e difficilmente neutralizzabili da parte degli individui. Non a caso, insieme alla divaricazione dei redditi autonomi e da lavoro si ha la divaricazione degli accoppiamenti: sempre più persone si sposano con persone con reddito simile. Insomma poveri sposano poveri, ricchi sposano ricchi e per conseguenza, tendenza al trasferimento delle diseguaglianza e dei privilegi da una generazione allaltra. La democrazia non ha mai promesso né perseguito lobiettivo di rendere tutti i cittadini economicamente eguali, ma ha promesso con formale dichiarazione nelle costituzioni e nelle carte dei diritti, di rimuovere gli ostacoli che impediscono a uomini e donne, diversi tra loro sotto tanti punti di vista (dal genere al credo religioso alla ricchezza) di aspirare a una vita dignitosa.
Vi è nella democrazia politica un invito assai esplicito a mai interrompere il lavoro di manutenzione sociale operando sulle condizioni di accesso o le capacitazioni per usare un termine coniato da Amartya Sen. Ecco perché a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale le democrazie hanno dichiarato che i livelli di disuguaglianza nella ricchezza devono e possono essere mitigati agendo sui meccanismi che la determinano, ad esempio con politiche in grado di assicurare che il godimento di alcuni diritti fondamentali raggiunga più pienamente e uniformemente la popolazione. Scrive dAlessio, che la scuola pubblica erogando un servizio a tutti, tende a ridurre la disuguaglianza tra i cittadini in termini di conoscenze e di abilità, presupposto di una quota rilevante di quella in termini di ricchezza, riducendo in particolare il divario che caratterizza coloro che provengono dalle classi sociali più svantaggiate. Lo stesso vale per il servizio sanitario, che rimuove un ostacolo forse ancora più fatale per chi non ha altra ricchezza se non il proprio lavoro. Eppure proprio queste spese sociali sono oggi messe in discussione e decurtate.
I programmi politici sono quindi determinanti perché a consolidare le classi insieme al declino fortissimo dei matrimoni interclassisti interviene proprio lo smantellamento di quel fattore sul quale si era costruita la democrazia moderna: la politica sociale, che significa la ridistribuzione dei redditi attraverso i servizi destinati alla salute e allistruzione; in questi due settori chiave che da sempre hanno contribuito a contenere il divario tra le classi lo Stato investe sempre di meno, dimostrando nei fatti di non essere in grado o di non volere più usare la spesa pubblica per obiettivi democratici, per rimuove gli ostacoli alla crescita della disuguaglianza, come promesso dalla Costituzione.
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