giovedì 16 agosto 2012

Il giudice, la legge, il guadagno di Dante Barontini, www.contropiano.org


C'è molto che unisce l'insofferenza italiana per un giudice che cerca di far rispettare la legge anche a Taranto o in Fiat e l'ostilità dei mercati per la Corte costituzionale tedesca,
che ha appena confermato per il 12 settembre il suo parere vincolante sul fondo salva-stati Esm (ovvero sulla partecipazione tedesca al fondo stesso).

Il tratto comune è l'intolleranza del guadagno capitalistico nei confronti dei limiti. Non importa se questi limiti siano naturali (ecologici, ambientali, ecc), umani (salute pubblica, intensità del lavoro, diritti inviolabili dei dipendenti, ecc) oppure “semplicemente” legali. Tutto ciò che contrasta con la legge non scritta del diritto all'accumulazione privata viene messo all'indice, combattutto, possibilmente distrutto.

Contro l'esistenza e la forza di questi limiti viene mobilitata la politica politicante, i “tecnici”, la stampa di regime (pluralisticamente compatta persino nell'uso delle parole, quasi che esista uno spin doctor unico per tutte le testate). Quelli naturali – inaggirabili e innegabili – vengono taciuti o minimizzati, gli altri ridotti a ideologia negativa che si è impossessata di un giudice, un sindacato, un'opposizione politica, le associazioni di cittadini.

La “democrazia” stessa, nel cui nome da oltre 20 anni si conduce una guerra dopo l'altra, viene individuata come limite da superare il più rapidamente possibile, perché “certe decisioni” non possono esser prese se si deve tener conto di una stratificazione complessa di interessi diversi, democraticamente “mediati”. C'è un solo interesse in campo, quello “dei mercati”. Tutto il resto va adeguato velocemente. Persino la Corte Costituzionale di Karlsruhe – non certo un covo di anticapitalisti – finisce sotto il tiro di editorialisti un tanto al chilo, che trovano inconcepibile che uno “strumento indispensabile” come il fondo Esm possa essere ritardato nell'attuazione da un “banale” giudizio di conformità costituzionale.

Tutta la costruzione europea – dal modello sociale alle cornici costituzionali – è ormai sotto torsione reazionaria. Tutte le istituzioni elettive o di garanzia risultano un ostacolo al pieno dispiegamento delle potenzialità accumulative entrate in crisi. Tutta la spesa sociale – la prima garanzia di “coesione” e mediazione tra le classi, la fonte dell'equilibrio sociale poco conflittuale del dopoguerra continentale – è uno spreco di risorse che vanno riconsegnate al capitale finanziario.

La legge non ha dunque più uno spazio legittimo, né un riconoscimento da parte dei più forti. Né a Taranto, né in Fiat. E viene allo scoperto, dopo decenni, quella semplice verità che descrive la legge come una difesa del più debole, come un limite al dispotismo del più potente. In questa epoca, come un limite al capitale.

Un altro concetto di legge è da tempo presentato come “moderno”. È la legge come riconoscimento del diritto del più forte a imporre il proprio interesse e la propria volontà senza alcun limite. In fabbrica e fuori, nella produzione e negli equilibri sociali.

Non è un concetto nuovo. È la legge dell'assolutismo, con il capitale al posto del sovrano per diritto divino; ma altrettanto indiscutibile.

Qualsiasi mobilitazione sociale e politica che dimentichi questa cornice è semplicemente inadeguata a “disturbare il manovratore”, per quanto generosa possa essere.

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