Le socialdemocrazie europee, abbandonato ogni residuo pudore,
imboccano la strada del liberal liberismo senza voltarsi indietro. Per
non lasciare a Monti la palma del politico europeo più deciso a
sbarazzarsi dei residui lacci e laccioli che limitano lo strapotere
padronale sulla forza lavoro, il presidente Hollande – che pure si era
presentato come paladino di una politica economica non allineata al
dogma liberista – sembra orientato a introdurre “riforme” non dissimili da quelle varate da Elsa Fornero in Italia.
Con la benedizione della maggior parte delle sigle sindacali (ad
eccezione della CGT e di Force Ouvrière) e, ovviamente, delle
associazioni imprenditoriali, il governo francese intende infatti varare
alcuni provvedimenti atti a “semplificare” le relazioni industriali,
allo scopo di attirare gli investitori stranieri, spaventati dalla
eccessiva rigidità del mercato del lavoro in Francia. Con le stesse
motivazioni – prive di fondamento – che abbiamo sentito ripetere fino
alla nausea dal governo “tecnico” di Monti: così si creeranno più posti
di lavoro, come è avvenuto in Germania (peccato che i livelli di
occupazione tedeschi siano favoriti da tutt’altre ragioni: livelli di
produttività – e di retribuzione! – più elevati, ma, soprattutto,
possibilità di sfruttare la forza lavoro a buon mercato degli altri
Paesi europei per delocalizzare, abbassando i costi di produzione per
trainare le esportazioni), e si ridurranno le sperequazioni fra
lavoratori garantiti e precari (cioè si abbasseranno le retribuzioni e
le condizioni di lavoro dei primi al livello dei secondi!).
Allo squillo di tromba di Hollande risponde quello di Ed Miliband, il
leader laburista inglese che, secondo i sondaggi, avrebbe buone
probabilità di subentrare al conservatore Cameron alla prossima tornata
elettorale. In un discorso
tenuto qualche giorno fa davanti alla Fabian Society, Miliband ha
decretato la fine del New Labour di Tony Blair, riconoscendo – bontà sua
– che si è trattato di un’esperienza politica paurosamente sbilanciata a
favore dei ricchi, ma ha anche tassativamente negato di voler
ricondurre il partito alla tradizione “classista” dell’Old Labour (di
questi tempi tutto ciò che odora anche lontanamente di tutela degli
interessi delle classi subordinate viene liquidato come “vecchio”,
“ideologico”, ecc.). Il futuro, ha dichiarato, appartiene allo One
Nation Labour, formula che evoca il superamento delle divisioni fra
poveri e ricchi, destra e sinistra, in nome degli interessi comuni (la
favoletta di Menenio Agrippa, come si vede, è sempre di attualità,
tornando buona ogniqualvolta si vogliono infinocchiare le classi
subordinate convincendole di avere gli stessi interessi di quelle
dominanti).
Per inciso, apprendiamo dalle sue parole che, fra le vittime
sacrificali di questa improbabile armonia fra alto e basso, ci saranno i
lavoratori migranti, il cui flusso Miliband si impegna a frenare, in
ossequio agli umori della “gente comune” inglese, spaventata dalla
concorrenza interetnica. Come volevasi dimostrare: più si insiste sul
superamento della opposizione destra/sinistra più si va a destra.
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