mercoledì 30 gennaio 2013

Monti e il profumo delle brioches di Maria Antonietta di Alessandro Robecchi, Micromega

Sapesse, signora mia… Quella che segue è una piccola riflessione su chi ci governa (al momento, ma temo anche domani e forse per sempre), su chi sa ridere di loro e sulle differenze antropologiche (nemmeno politiche!) tra loro e noi. Involontaria protagonista, la signora Lidia Rota Vender, esimia professionista, alta società civile (!), candidata al Senato con la Lista Monti alle elezioni del 2013.
Eccola mentre – alla convention di presentazione della lista – racconta due aneddoti sulla vita di Mario Monti. Siamo dalle parti delle brioches di Maria Antonietta, delle riunioni del Rotary, del circolo di canasta travestito da casta tecnocratica che ci governa, tanto elegante e civica, quelli che le “cene eleganti” le fanno davvero, restando vestiti. Quelli che – andandosene Berlusconi tra sberleffi e ghigni proletari – venivano salutati dal Paese come i salvatori della patria, ai tempi (è passato poco più di un anno) in cui si salutava il loden del professor Monti come una rivoluzione culturale. Un anno dopo, le cifre economiche del Paese sono decisamente peggiori (dal potere d’acquisto alla disoccupazione, dagli investimenti all’erogazione dei crediti alle imprese e ai lavoratori, dai consumi ai redditi), ma i famosi mercati sembrano meno turbolenti. Ecco. Ma questo non basta. O non serve. O non è quello che qui si vuol dire. Ciò che strabilia sentendo gli “aneddoti” della dottoressa Rota Vender è altro. E’ un’aria di culto della personalità di tipo sovietico applicata al tecnocrate bancario. E’ una specie di “realismo capitalista”. E’ la retorica dell’imprenditore. E’ il circolo ristretto che se le canta e se le suona, che non vede né il mondo né la società intorno, che pensa e crede di essere il mondo e – peggio – il mondo giusto.
Non c’è niente di violento o di deplorevole nelle parole della signora dal palco in cui presenta il suo candidato premier. Eppure c’è un universo di differenze, di distanze abissali. C’è il mondo parallelo di una borghesia che basta a se stessa e vede solo sé, che scambia i suoi valori da privilegiati per valori universali. Non c’è il lavoro, non c’è la vita, non c’è la società. C’è solo lei, la razza padrona. Una faccenda che fa il paio con la signora Elsa Fornero che a chi le chiede della sua riforma del lavoro risponde (ieri a Firenze) con una frase francamente strabiliante: “Questa riforma del lavoro è una scommessa, non ho elementi per dire se funzionerà”. L’indifferente leggerezza di chi parla delle vite degli altri – delle nostre, tra l’altro – come se parlasse della salute delle sue begonie e del circolo del bridge. Anche qui, come nella deliziosa performance della signora Rota Vender, sentirete chiaro e forte il profumo delle brioches di Maria Antonietta.
La satira, poi, fa il suo mestiere. Maurizio Crozza, nel suo spettacolo, ha saputo cogliere l’essenza di questa razza padrona. Non le sue leggi, i suoi decreti, i suoi voti di fiducia, le sue (contro)riforme, ma la sua vera essenza. L’anima nuda. Il presidente che incoraggia il ragazzino a diventare imprenditore (già, quale missione sarebbe più nobile!). Il presidente che indovina tutte le risposte a Trivial. E via così, il Duce che ara dieci ettari, la luce dell’ufficio di piazza Venezia accesa anche di notte perché Lui lavora sempre. E’ il caro, vecchio, immortale sogno della borghesia italiana: i migliori tra noi ci pensano e risolveranno tutto. Ma è anche – nell’apoteosi di involontario ridicolo – una meravigliosa rivelazione: quella razza padrona c’è, è qui, in mezzo a noi, ancora (e sempre) comanda, governa, decide, incurante (eppure potrebbe averne i mezzi culturali!) della sua gloriosa inadeguatezza. Un tempo lontano, quando eravamo piccoli (e stupidi) la chiamavamo “borghesia assassina”. Ora che non siamo più piccoli (ma stupidi chissà), abbiamo imparato a misurare le parole, ma non per questo siamo diventati ciechi e sordi.
Come diceva Crozza, “E’ gente che conosce il mondo attraverso i suoi maggiordomi. E’ gente che si chiede: ma tutti questi italiani che non riescono ad arrivare alla fine del mese, e non riescono ad arrivare alla fine del mese, non riescono ad arrivare alla fine del mese… ma santo cielo… ma perché non partono prima?”.
A stretto giro, il presidente del consiglio Mario Monti ha accusato il colpo. Venendo meno al rituale aplomb (quello del loden e, si direbbe, delle risposte a Trivial) ha bollato Crozza come “patetico disinformato” (a Zeta, il nuovo programma di Gad Lerner). Ma siccome il diavolo è nei dettagli, ha aggiunto: “Abbiamo in lista anche dei terremotati poveri!”. Ecco, di nuovo quel profumo di brioches di Maria Antonietta.
Chiudo qui questa piccola riflessione. Con la notazione – mica tanto in margine – che la satira questa volta ha colpito nel segno. Ha fatto male. Non una caricatura, non una parodia. Ma una traduzione, una dimostrazione pratica, una fotografia svelata. Come ha scritto la mia amica Roberta Carlini, economista insigne, attenta osservatrice di quel mondo finanziario-padronale che ci governa: “Quella di Crozza è la foto più vera e crudele fatta a Monti e alla sua Alta Società Civile da quando è salito in campo”. Ecco. Per questo il piccolo spezzone di spettacolo qui sotto non è solo satira, né solo politica, né solo capacità artistica e genio comico. E’ – esattamente, perfettamente – ciò di cui parliamo quando parliamo di razza padrona, dell’elegante circolo di canasta che ci governa, e di noi che sappiamo vederlo. Buona visione.


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