«Siamo qui - esordisce Antonio Ingroia - da oggi inizia la
Rivoluzione della società civile che cambierà l'Italia». Da un albergo a
pochi metri da Montecitorio, il candidato premier del quarto polo
ringrazia i candidati della società civile che «hanno fatto il passo
avanti e i partiti che li hanno aiutati a farlo facendo un passo
indietro». Era quello che l'ex pm di Palermo aveva chiesto con l'appello
al ritorno dal Guatemala. E oggi ha presentato la sua squadra, la
«prima linea» ma prima Ingroia cerca le sue parole in quelle pronunciate
in un luglio di trentatre anni fa da Enrico Berlinguer: «La questione
morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica
prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di
fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la
tenuta del regime democratico».
«Siamo in una situazione di emergenza democratica», spiega Ingroia chiarendo l'intenzione di volersi tenere lontano da quei «patti sottobanco che hanno ucciso la credibilità della politica». E' l'occasione per chiarire rispetto alla desistenza e alla questione del voto utile che sta inquinando di nuovo la campagna elettorale prima ancora che entri nel vivo. «E' stato detto che noi dovremmo fare la desistenza per non danneggiare il centrosinistra rinunciando a nostre liste al Senato. Avremmo potuto valutare la cosa ma sono arrivare solo proposte dietro le quinte, anche se da intermediari autorevoli. Ma siamo stati molto chiari e coerenti: siamo contro chi ha portato l'Italia alla deriva compreso il governo Monti che s'è mosso in continuità con Berlusconi. E non possiamo far finta che il Pd porta la responsabilità politica del goveno Monti che ha scaricato i costi della crisi finanziaria sui ceti medio-bassi. Non è stato un errore ma una scelta politica, noi siamo per un sistema economico più equo».
Parla di sé come «partigiano della Costituzione, una delle più avanzate al mondo», come «l'uomo del dialogo». Ribadisce che al suo appello al Pd non è pervenuta risposta «per un senso di responsabilità politica che al Pd difetta». Quel partito «non ha mai dimostrato di non voler fare un accordo con Monti, anzi proprio mentre aspettavo Bersani lui incontrava Monti e lo insegue sul suo stesso terreno (il no alla patrimoniale)», «il voto al Pd rischia di essere utile solo a Monti». E' il momento di chiudere una porta «lasciata aperta forse troppo a lungo e perfino al di fuori di qualsiasi calcolo politico, rischiando di disorientare il potenziale elettorato. Il Pd ci fa capire che l'accordo dietro le quinte è già fatto. Da questo momento si chiude quella porta, ci rivediamo in Parlamento per vedere se davvero il Pd vorrà fare, ad esempio, quella legge sul conflitto di interessi che in vent'anni non ha mai trovato il tempo di fare. Berlusconi non è più un pericolo, non funziona più usarlo come uno spauracchio. Il vero pericolo - insiste Ingroia - è Monti. L'unico voto utile è quello a Rivoluzione civile: se avremo peso il centrosinistra sarà costretto a fare i conti con noi e abbandonare la linea liberista».
Un'altra accusa che vuole respingere è quella di aver fondato l'ennesimo partito personalistico: «Sono solo il capofila», dice invitando la “squadra" a prendere parola. Così, uno dopo l'altro i vari candidati lasciano intravedere la tessitura di un programma avanzato sul piano sociale e dei diritti che tra pochi giorni sarà presentato con un'altra conferenza stampa. Ci saranno alcuni progetti di legge e un'“agenda nera della Repubblica" composta da verità negate e diritti tagliati. «Un'agenda da cancellare». Infine chiede scusa «per le sbavature e le imprecisioni nella compilazione delle liste», si schermisce dietro «l'inesperienza dei non-professionisti».
Al microfono si sono alternati Gabriella Stramaccioni, direttrice di Libera, Flavio Lotti, della Tavola della Pace, Ilaria Cucchi, Leo Beneduci, leader di un sindacato della polizia penitenziaria, Franco La Torre, l'economista Vladimiro Giacché, i giornalisti Sandro Ruotolo e Sandra Amurri, l'ex grillino Favia.
«Siamo in una situazione di emergenza democratica», spiega Ingroia chiarendo l'intenzione di volersi tenere lontano da quei «patti sottobanco che hanno ucciso la credibilità della politica». E' l'occasione per chiarire rispetto alla desistenza e alla questione del voto utile che sta inquinando di nuovo la campagna elettorale prima ancora che entri nel vivo. «E' stato detto che noi dovremmo fare la desistenza per non danneggiare il centrosinistra rinunciando a nostre liste al Senato. Avremmo potuto valutare la cosa ma sono arrivare solo proposte dietro le quinte, anche se da intermediari autorevoli. Ma siamo stati molto chiari e coerenti: siamo contro chi ha portato l'Italia alla deriva compreso il governo Monti che s'è mosso in continuità con Berlusconi. E non possiamo far finta che il Pd porta la responsabilità politica del goveno Monti che ha scaricato i costi della crisi finanziaria sui ceti medio-bassi. Non è stato un errore ma una scelta politica, noi siamo per un sistema economico più equo».
Parla di sé come «partigiano della Costituzione, una delle più avanzate al mondo», come «l'uomo del dialogo». Ribadisce che al suo appello al Pd non è pervenuta risposta «per un senso di responsabilità politica che al Pd difetta». Quel partito «non ha mai dimostrato di non voler fare un accordo con Monti, anzi proprio mentre aspettavo Bersani lui incontrava Monti e lo insegue sul suo stesso terreno (il no alla patrimoniale)», «il voto al Pd rischia di essere utile solo a Monti». E' il momento di chiudere una porta «lasciata aperta forse troppo a lungo e perfino al di fuori di qualsiasi calcolo politico, rischiando di disorientare il potenziale elettorato. Il Pd ci fa capire che l'accordo dietro le quinte è già fatto. Da questo momento si chiude quella porta, ci rivediamo in Parlamento per vedere se davvero il Pd vorrà fare, ad esempio, quella legge sul conflitto di interessi che in vent'anni non ha mai trovato il tempo di fare. Berlusconi non è più un pericolo, non funziona più usarlo come uno spauracchio. Il vero pericolo - insiste Ingroia - è Monti. L'unico voto utile è quello a Rivoluzione civile: se avremo peso il centrosinistra sarà costretto a fare i conti con noi e abbandonare la linea liberista».
Un'altra accusa che vuole respingere è quella di aver fondato l'ennesimo partito personalistico: «Sono solo il capofila», dice invitando la “squadra" a prendere parola. Così, uno dopo l'altro i vari candidati lasciano intravedere la tessitura di un programma avanzato sul piano sociale e dei diritti che tra pochi giorni sarà presentato con un'altra conferenza stampa. Ci saranno alcuni progetti di legge e un'“agenda nera della Repubblica" composta da verità negate e diritti tagliati. «Un'agenda da cancellare». Infine chiede scusa «per le sbavature e le imprecisioni nella compilazione delle liste», si schermisce dietro «l'inesperienza dei non-professionisti».
Al microfono si sono alternati Gabriella Stramaccioni, direttrice di Libera, Flavio Lotti, della Tavola della Pace, Ilaria Cucchi, Leo Beneduci, leader di un sindacato della polizia penitenziaria, Franco La Torre, l'economista Vladimiro Giacché, i giornalisti Sandro Ruotolo e Sandra Amurri, l'ex grillino Favia.
Checchino Antonini, Liberazione.it
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