Ci sono notizie che durano il tempo di una breve del telegiornale, e
poi vengono inghiottite dal bidone aspiratutto degli scandali e della
campagna elettorale, mescolati tra loro.
L’ISTAT ci ha comunicato che la dinamica attuale dei salari è la
peggiore degli ultimi trent’anni. Questo dato dovrebbe essere alla base
di ogni proposta che si fa per affrontare la crisi. Ma non è così. La
caduta dei salari è diventata un dato di colore, fa parte dello
spettacolo del dolore mostrato in televisione, sul quale meditano e
dissertano i candidati. Ma senza che si pronunci la frase semplice e
brutale: aumentare la paga!
Poco tempo fa il CNEL ha comunicato un altro dato su cui riflettere
davvero. Negli anni 70 la produttività del lavoro in Italia è stata la
più alta del mondo, poi è solo calata. Sì, proprio quando il lavoro
aveva più salario e più diritti,”rendeva ” di più!
Anche questa notizia è stata rapidamente metabolizzata e poi
successivamente ignorata dal sistema politico informativo. Immaginiamo
infatti come sia difficile collegarla alla precedente. La produttività e
i salari calano assieme da trenta anni, ma non ci sarà un rapporto tra i
due dati?
No, una seria analisi su tutto questo non la si può fare, altrimenti
bisognerebbe concludere che sono fallimentari tutte, ma proprio tutte
le politiche economiche e sociali tese ad agire sulla compressione del
costo del lavoro.
Insomma tutte le politiche del lavoro di tutti i governi degli ultimi
trenta anni hanno concorso a determinare il disastro attuale. E tutte
le ricette in continuità con esse, flessibilità competitività blablabla,
cioè quelle delle principali coalizioni che si contendono il governo
del paese, sono inutili, sbagliate, dannose.
Ma tutto questo non avviene, anche perché mancano all’appello coloro
che per funzione per primi dovrebbero sollevare scandalo ed indignazione
per tutto questo.
Il grande comico Petrolini una volta si trovò in teatro uno
spettatore che dalla galleria lo insultava.. Ad un certo punto
interruppe la recita e si rivolse al disturbatore dicendo: io non ce
l’ho con te, ma con chi ti sta vicino e non ti butta di sotto!
I grandi sindacati confederali hanno accompagnato con i loro accordi
questi trenta anni di ritirata dei salari e del lavoro, a volte
ottenendo come scambio vantaggi di ruolo e potere. I lavoratori
andavano indietro, ma il sindacato confederale andava avanti sul piano
istituzionale.
Il disastro dei salari ed il declino economico sono dunque anche
figli delle politiche di moderazione rivendicativa, di concertazione e
complicità, che hanno prevalso in questi ultimi trenta anni nel
movimento sindacale.
Grazie a queste politiche, per lungo tempo l’organizzazione del
sindacato confederale non ha risentito del peggioramento delle
condizioni del mondo del lavoro. Finché Monti ha ufficialmente
affermato che si poteva fare a meno anche di quello scambio, il
consenso sindacale non era più necessario, si potevano massacrare le
pensioni senza accordo. Così dopo la ritirata del lavoro è cominciato il
vero declino sindacale.
Non è vero che i sindacati non servono, ma è vero che il sindacato
che pensa di sopravvivere continuando ad accettare le compatibilità e i
vincoli economici degli ultimi trenta anni non serve più a niente.
Neanche a se stesso.
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