Negli anni Novanta è stata portata avanti la disdetta unilaterale da parte capitalistico-borghese del grande compromesso democratico (voglio
chiamarlo così) fra le classi e fra i popoli che aveva permesso
all’umanità di battere il nazifascismo e di fuoruscire dalla seconda
guerra mondiale, un patto che è rimasto scritto nella nostra Costituzione.
Il grande compromesso democratico di cui parliamo non era certo il
socialismo, ma tuttavia prendeva atto della lotta di classe, le
riconosceva il diritto a esistere e a dispiegarsi, e riconosceva alla
parte proletaria, in Italia e nel mondo, la possibilità di svolgere il
proprio ruolo, di difendere i propri diritti e di conquistarne di nuovi,
di avanzare sul terreno sindacale e politico, nella democrazia.
Con la rottura unilaterale del compromesso democratico, il
capitalismo non riconosceva più nulla di tutto questo al proletariato,
né a livello internazionale (da cui le guerre, ovunque, untuosamente
definite “missioni umanitarie”) né a livello nazionale (da cui la
subordinazione consociativa oppure l’emarginazione del Sindacato).
Questa politica sindacale portava con sé un colossale spostamento di reddito dai salari, dagli stipendi e dalle pensioni verso i profitti e le rendite.
Nel 1980 la percentuale di redditi da lavoro dipendente era il 49,6%
del Prodotto interno lordo; nel 1993 (con gli accordi “concertativi”)
questa percentuale scende al 45,8%, nel 2000 diventerà del 40,5%: 10
punti di PIL in meno! È un colossale spostamento di ricchezza dalle
tasche dei lavoratori a quelle dei padroni che continuerà e si
accentuerà ininterrottamente anche in seguito.
È questa la storica sconfitta materiale della classe operaia su cui
si innesca il berlusconismo, perché – ormai lo sappiamo – quando si
perde salario e si perdono posti di lavoro si perde anche potere e si
perdono diritti.
La rottura del compromesso democratico operata dalla borghesia
capitalistica significa in realtà un attacco diretto alla democrazia,
perché quelle politiche economiche degli anni Novanta, esattamente come
le politiche di Berlusconi ieri e di Monti oggi, non si fanno, non si
possono fare, in un quadro di vera democrazia. E infatti l’attacco più duro ci venne portato sul terreno istituzionale, in quel punto vitalissimo e cruciale che sono le leggi elettorali,
cioè le regole del gioco. Il quadro politico in cui Rifondazione
dovette muovere i primi passi è stato segnato non solo dall’attacco al
lavoro e dai “massacri sociali” dei vari Governi Amato e Ciampi e
Berlusconi e Dini (quest’ultimo col voto di fiducia anche di un deputato
pugliese, che noi con generosità comunista non espellemmo: e
sbagliammo), ma appunto anche dall’attacco alla democrazia cioè alla proporzionale (proporzionale
significa solo, ricordiamocelo, che il numero dei parlamentari eletti è
in proporzione al numero dei voti ricevuti).
E fu il PDS di Occhetto, in prima persona, a raccogliere le firme
insieme a Segni per abbattere la legge elettorale proporzionale, che è
il fondamento necessario (e direi: logico) di tutto l’impianto della
nostra democrazia costituzionale; e fu D’Alema a concordare addirittura
con Berlusconi un’ipotesi di Repubblica presidenziale e non più
parlamentare (che poi Berlusconi, non D’Alema, fece saltare).
Riguardando anche autocriticamente alla nostra storia di Rifondazione, dobbiamo tuttavia riconoscere che la
gabbia del sistema bipolare che si cercò di imporre con ogni mezzo al
Paese rappresentò per i comunisti un problema oggettivamente gravissimo:
al di là dei limiti di direzione politica, che certo ci furono e furono
gravi, quel bipolarismo forzoso costringeva a oscillare fra
l’inefficacia del settarismo e l’inefficacia dell’opportunismo (e anche
le 8 scissioni, 8!, che abbiamo subito in venti anni sono state quasi
sempre legate a questo problema del bipolarismo coatto).
Oggi, nella stessa logica antiproporzionalista e antidemocratica vanno
gli orrendi premi di maggioranza che si sommano agli orrendi
sbarramenti nell’orrenda legge elettorale “porcellum”, una legge che il
PD si è guardato bene dal modificare perché in realtà gli andava più che
bene. Eppure con la proporzionale Berlusconi sarebbe stato addirittura impensabile,
e solo i trucchi della legge elettorale gli hanno consegnato una
schiacciante maggioranza di seggi pur non avendo egli superato mai il
37,8% dei voti espressi, mentre con quella legge elettorale non hanno
neppure un rappresentante i partiti con meno del 4% dei voti alla Camera
(che diventa addirittura l’8% al Senato); il 4% dei voti significa, non
dimentichiamocelo mai, circa due milioni di voti espressi: e perché mai
due milioni di votanti … meno 1 non debbono avere nessun
rappresentante? È una autentica vergogna!
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