Il circolo vizioso dell'economia liberista
Bisognerà pure raccontarli, non a spizzichi e bocconi, ma nel loro
insieme, gli effetti economici e sociali delle politiche di austerità
che le classi dominanti e i guru dell'alta finanza stanno imponendo
all'Italia, contrabbandando quelle misure per una salvifica terapia.
Proviamo allora ad illustrare i dati di questo disastro che non promette nulla di buono per il futuro.
Solo negli ultimi dodici mesi dello scorso anno la disoccupazione è
cresciuta in Italia del 26%, quasi il doppio della Spagna, contro un 13%
dell'Eurozona. Il tasso di disoccupazione (vale a dire il rapporto fra
le persone in cerca di lavoro e la "forza lavoro", cioè la somma dei
primi e degli occupati) ha superato il 12%, mentre nella fascia di età
fra i 15 e i 24 anni, i giovani senza lavoro raggiungono il 37,1% (il
top dal 1992), dato di cinque punti superiore a quello registrato nel
novembre del 2o11.
Ma quanti sono, in totale, i disoccupati? I dati ufficiali dicono
2.870.000, ma se si dà uno sguardo all'entità oraria dell'occupazione si
scopre che i contratti a tempo pieno sono diminuiti del 4%, mentre i
part-time sono cresciuti del 20. Si tenga poi conto che, per la
contabilità della pubblica amministrazione, si perde lo "status" di
disoccupato (e il modesto sostegno economico che ne deriva) ove si
disponga di un reddito superiore agli 8.000 euro annui, anche se
percepiti svolgendo lavori saltuari (e precari). Poi ci sono coloro che
neppure si affacciano al mercato del lavoro, avendo ormai perso la
speranza di ottenerne uno. Infine c'è la cassa integrazione, con i 4,2
miliardi di ore autorizzate (3 nella sola industria) nel periodo 2009-
2014, qualcosa come il 370% in più del quadriennio precedente
(2005-2008). Di questo esercito, sono 520.000 i lavoratori sospesi "a
zero ore" (oltre il milione, se consideriamo il 50% del tempo lavorato).
Per molti di loro è di imminente scadenza il termine ultimo previsto
per l'ammortiìzzatore sociale, preludio del licenziamento.
La mortalità delle aziende monta a ritmo crescente. Unioncamere
documenta la chiusura di 365.000 imprese nel 2012, al ritmo, tutt'altro
che in frenata, di 1.000 al giorno. Lo stock complessivo di imprese
esistenti si contrae paurosamente in tutto il comparto manufatturiero,
in particolare nell'artigianato che chiude il 2012 con 20.319 inprese in
meno. Ma il tracollo non risparmia l'edilizia, tradizionale volano
dello sviluppo (-7.427) e l'agricoltura (-16.791), mentre il commercio
al dettaglio, dove "chiude un'impresa al minuto", è travolto da una vera
slavina.
L'impoverimento del sistema d'impresa e il crollo correlato
dell'occupazione ha aperto una voragine nei redditi da lavoro: i consumi
hanno subito un tracollo, abbattendo la capacità di spesa al livello di
15 anni fa. L'indicatore dei consumi di Confcommercio (Icc) parla del
2012 come "dell'anno più difficile del secondo dopoguerra", con una
riduzione dei consumi delle famiglie che risulta essere la più elevata
dall'inizio delle serie storiche disponibili.
La deflazione dei redditi da lavoro e da pensione ha poi ricevuto una
spinta formidabile dalle politiche "sociali" promosse da Berlusconi
prima e da Monti poi: il blocco per legge della contrattazione nel
pubblico impiego e quello di fatto verificatosi nel settore privato si
sono combinati con un tasso di inflazione del 3%, esattamente doppio
rispetto alla dinamica delle retribuzioni; mentre lo stop alla
rivalutazione delle pensioni, anche delle più povere, rispetto alla
dinamica del costo della vita, ha assestato un colpo micidiale che
nessuna propensione al risparmio può assorbire.
Ebbene, la questione sociale del nostro paese si può leggere con
questi occhiali: i salari sono retrocessi ai livelli di trent'anni fa,
precisamente al 1983, mentre 8 milioni di persone (vale a dire il 13,6%
dell'intera popolazione), vivono al di sotto della soglia della "povertà
assoluta", fissata in 599 euro mensili per chi vive da solo e 999 per
coloro che vivono in coppia. Appena al di sopra c'è una vasta "area
grigia", stimabile in un 30% degli italiani, che rischia di scivolare da
un momento all'altro nell'indigenza.
In questo scenario da paura, i responsabili della politica economica
imbelle e autolesionista che ha messo l'Italia in ginocchio, vanno
cianciando di una prossima ripresa, anche se la data della risalita
viene continuamente spostata in là nel tempo. Per accreditare questa
infondatissima previsione, i procuratori di disgrazie che ci hanno sin
qui governato hanno riesumato una formula che vorrebbe avere il crisma
della scienza economica: si chiama "effetto di rimbalzo", con cui,
semplicemente, si vorrebbe dare ad intendere che - per dirla con
Gioppino Trigozzo, la famosa maschera bergamasca - "quando si è toccato
il fondo non si può che risalire". Un distillato di sapienza allo stato
puro, insomma...Purtroppo, dietro questo cialtronesco sfoggio di adagi
popolari non vi è nulla, ma proprio nulla, di serio. Come è noto, se
l'inerzia continua, giunti al fondo si può scavare ancora. E tutto fa
pensare che non vi sia ravvedimento alcuno, in un orizzonte politico che
va da Mario Monti sino al Pd, passando per Berlusconi.
La ragione è presto detta. Continuando con l'Austerity, la recessione
si avviterà su se stessa, perché l'inibizione alla spesa per
investimenti imposta dai vincoli europei (dal patto di Maastricht al
Pareggio di bilancio al Fiscal compact), la catastrofica spirale
innescata da una pubblica amministrazione che non è in grado di pagare i
debiti contratti, i default a catena del comparto manufatturiero, le
fatali ricadute sull'occupazione, la ulteriore contrazione dei redditi,
dei consumi e della domanda aggregata, il recidivante blocco del credito
alle imprese e alle famiglie (Credit crunch), alimenteranno un circolo
vizioso dal quale non si uscirà se non con un diametrale salto di
paradigma politico ed economico, capace di affrancarsi dall'ideologia
monetarista oggi dominante.
I piccoli accorgimenti, le misure tampone di cui sono colme agende e
agendine che proliferano in questa declinante fase della storia politica
nostrana non sono che aspirine con cui si vorrebbe guarire il malato di
polmonite. Se ne sono accorte anche le associazioni aderenti a Rete
impresa Italia (Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, Cna,
Casartigiani), che riuniscono due milioni e mezzo di aziende e che hanno
inscenato una clamorosa protesta, portando ieri in piazza 30.000
imprenditori in ottanta città. "E' questa l'Italia - ha tuonato Carlo
Sangalli, il loro portavoce - che non frequenta i salotti buoni e non ha
santi in paradiso". Evidentemente nemmeno loro si fidano, perché sul
mercato della politica incontrano solo chiacchiere, "perché la valvola
dell'export è tutto sommato ancora un privilegio per pochi Piccoli". E
perché se non ripartono i consumi non ce n'è più per nessuno.
Stupefacente, invece, lo stallo totale del sindacato. Che dice poco
(il piano per il lavoro presentato dalla Cgil è poco più che un
attestato di esistenza in vita) e fa - se possibile - ancor meno, avendo
da tempo archiviato ogni mobilitazione e avendo ogni sigla delegato ai
propri rispettivi partners politici ogni giurisdizione sul lavoro.
Scuotere le acque limacciose è il nostro non lieve compito. A partire
da questa campagna elettorale in cui i primattori si somigliano come
gocce d'acqua.
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