sabato 26 gennaio 2013

Giorgio Cremaschi contro la Cgil: "Ci negano la parola perché temono il confronto interno e sono collaterali al Governo"


La Cgil non solo ha presentato una sua visione molto parziale della competizione elettorale ma ha escluso anche le minoranze interne dal palco della conferenza di programma.
Non è mai successo da vent’anni a questa parte, da quando ci sono le regole che presiedono i rapporti tra maggioranze e minoranze che in una conferenza di programma non venisse data la parola alla minoranza. Alcuni dirigenti hanno parlato e altri no. Hanno deciso di non dare la parola alle minoranze, a nessuna minoranza. E questo la dice lunga su come la Cgil sta interpretando questa fase politica e sociale.
Con quale modello?
E’ un gruppo dirigente che ha paura del confronto, del dibattito e dell’isolamento. Tutta la conferenza è stata un collateralismo continuo con il centrosinistra. Un aspetto di disperazione, non c’è dubbio. Un segnale preciso che dice: ‘non ce la faccio più con le lotte sociali, o mi aiuta il governo oppure vado a scatafascio’. Per arrivare a questo, lo si fa nella maniera più goffa, decidendo di escludere dall’inizio altre forze politiche e operando una decisa stretta interna. Si chiamano quelli che si vogliono sostenere, e basta. Si nega la parola alle minoranze facendo anche una violazione statutaria.
Una Cgil senza democrazia che Cgil è?
Si stanno preparando per un eventuale governo di centrosinistra. Un rapporto di totale assistenza e subalternità da parte del sindadacato. La logica del governo amico, come si vede, stravolge il sindacato. Siamo a un collateralismo che in realtà produce un danno. A me non convince l’idea che nel programma della Cgil si parli di lavoro saltando la questione sul fiscal compact e il pareggio di bilancio. Siamo, per capirci, nella più pura cultura del liberismo temperato, quello del centrosinistra degli ultimi 20 anni. C’è un passaggio dell’intervento della Camusso che dà proprio il senso di una linea di politica economica assolutamente vecchia: ovvero, il fiscal compact non va bene ma lo devono rimetter in discussione tutti i paesi europei. Un po’ come è andata con la prima guerra mondiale. Il fiscal compact, o si decide di metterlo in discussione a partire dall’Italia oppure l’austerità diventa la condizione dentro la quale si opera. Di conferenza sul lavoro ovviamente non si è discusso. Bersani ha promesso la concertazione ma la Cgil ci arriverà con una posizione sbagliata sul piano dei contenuti e con una forte stretta interna sul piano delle regole della democrazia.
In realtà questo crinale di eccessiva politicizzazione del sindacato era un po’ che dominava in Cgil.
In assoluta continuità con Epifani. Ora siamo in una situazione difficile che costringe a scelte più stringenti. C’è una marea di dirigenti sindacali nelle liste del centrosinistra. La Cgil ha preso pesanti sconfitte, e invece di reagire sul piano sindacale sceglie di affidarsi alla politica. C’è da una parte un gioco pericoloso e, dall’altra una specie di normalizzazione interna. Non si è fatto venire Ingroia perché la Cgil lavora esclusivamente per il centrosinistra e non vuole dare l’idea che il popolo della Cgil voti per altre liste.
La Cgil ormai va verso una ‘cislizzazione’ di fatto?
Il gruppo dirigente della Cisl sta con Monti e la Cgil con Bersani. Ormai è solo una questione di sfumature.
E il percorso del sindacalismo dissidente?
A Milano l’1 febbraio la Rete 28 aprile terrà la sua assemblea nazionale, che a questo punto rilancerà con ancora più forza il tema dell’indipendenza del sindacato.

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