La
Cgil non solo ha presentato una sua visione molto parziale della
competizione elettorale ma ha escluso anche le minoranze interne dal
palco della conferenza di programma.
Non è mai successo da vent’anni a questa parte, da quando ci sono le
regole che presiedono i rapporti tra maggioranze e minoranze che in una
conferenza di programma non venisse data la parola alla minoranza.
Alcuni dirigenti hanno parlato e altri no. Hanno deciso di non dare la
parola alle minoranze, a nessuna minoranza. E questo la dice lunga su
come la Cgil sta interpretando questa fase politica e sociale.
Con quale modello?
E’ un gruppo dirigente che ha paura del confronto, del dibattito e
dell’isolamento. Tutta la conferenza è stata un collateralismo continuo
con il centrosinistra. Un aspetto di disperazione, non c’è dubbio. Un
segnale preciso che dice: ‘non ce la faccio più con le lotte sociali, o
mi aiuta il governo oppure vado a scatafascio’. Per arrivare a questo,
lo si fa nella maniera più goffa, decidendo di escludere dall’inizio
altre forze politiche e operando una decisa stretta interna. Si chiamano
quelli che si vogliono sostenere, e basta. Si nega la parola alle
minoranze facendo anche una violazione statutaria.
Una Cgil senza democrazia che Cgil è?
Si stanno preparando per un eventuale governo di centrosinistra. Un
rapporto di totale assistenza e subalternità da parte del sindadacato.
La logica del governo amico, come si vede, stravolge il sindacato. Siamo
a un collateralismo che in realtà produce un danno. A me non convince
l’idea che nel programma della Cgil si parli di lavoro saltando la
questione sul fiscal compact e il pareggio di bilancio. Siamo, per
capirci, nella più pura cultura del liberismo temperato, quello del
centrosinistra degli ultimi 20 anni. C’è un passaggio dell’intervento
della Camusso che dà proprio il senso di una linea di politica economica
assolutamente vecchia: ovvero, il fiscal compact non va bene ma lo
devono rimetter in discussione tutti i paesi europei. Un po’ come è
andata con la prima guerra mondiale. Il fiscal compact, o si decide di
metterlo in discussione a partire dall’Italia oppure l’austerità diventa
la condizione dentro la quale si opera. Di conferenza sul lavoro
ovviamente non si è discusso. Bersani ha promesso la concertazione ma la
Cgil ci arriverà con una posizione sbagliata sul piano dei contenuti e
con una forte stretta interna sul piano delle regole della democrazia.
In realtà questo crinale di eccessiva politicizzazione del sindacato era un po’ che dominava in Cgil.
In assoluta continuità con Epifani. Ora siamo in una situazione
difficile che costringe a scelte più stringenti. C’è una marea di
dirigenti sindacali nelle liste del centrosinistra. La Cgil ha preso
pesanti sconfitte, e invece di reagire sul piano sindacale sceglie di
affidarsi alla politica. C’è da una parte un gioco pericoloso e,
dall’altra una specie di normalizzazione interna. Non si è fatto venire
Ingroia perché la Cgil lavora esclusivamente per il centrosinistra e non
vuole dare l’idea che il popolo della Cgil voti per altre liste.
La Cgil ormai va verso una ‘cislizzazione’ di fatto?
Il gruppo dirigente della Cisl sta con Monti e la Cgil con Bersani. Ormai è solo una questione di sfumature.
E il percorso del sindacalismo dissidente?
A Milano l’1 febbraio la Rete 28 aprile terrà la sua assemblea
nazionale, che a questo punto rilancerà con ancora più forza il tema
dell’indipendenza del sindacato.
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