Sì, ce ne vuole di coraggio, caro Presidente della Repubblica, per
assimilare la proposta di un rinnovato inciucio fra Pd e Pdl alla svolta
politica del 1976, all’incontro tra Berlinguer e Moro, al generoso
tentativo dell’allora segretario del Pci (seppur frutto di quello che si
rivelò un tragico errore politico) di chiudere con la lunga stagione
golpista e con la strategia della tensione, per avviare una nuova fase
del processo di democratizzazione e di trasformazione del paese.
Quel tentativo naufragò perché le classi dominanti, la borghesia
industriale, la Democrazia cristiana – con i suoi mai recisi legami con
il grumo oscuro del fascismo golpista e con l’establishment statunitense
– non aveva alcuna intenzione di venire a patti, di pervenire ad un
compromesso democratico con il più grande partito comunista
dell’Occidente.
Il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro sugellarono la fine della
strategia delle “larghe intese”, sepolta dal prevalere delle forze
reazionarie e da una ristrutturazione capitalistica che puntò tutte le
sue carte sulla sconfitta del movimento operaio che negli anni Settanta
aveva conquistato, prima di tutto nelle fabbriche, posizioni di forza e
di potere contrattuale che avevano scosso i rapporti fra le classi. Fu
Berlinguer stesso a rendersi conto della gravità dell’errore, a
sciogliere quel mortale sodalizio e a condurre una battaglia furibonda,
dentro e fuori il suo partito, per cambiare – purtroppo tardivamente –
linea politica.
Napolitano la pensava allora esattamente all’opposto, come egli
stesso ha ricordato ieri, nel discorso con cui ha commemorato, al
Senato, la figura di Gerardo Chiaromonte, in quell’epoca fra i massimi
dirigenti del Pci.
Come è del resto noto, lo scontro politico fra Berlinguer e
Napolitano crebbe poi progressivamente di intensità, in particolare
intorno al tema del rapporto col corrotto Psi di Craxi, che Napolitano
auspicava, mentre Berlinguer riteneva foriero di gravissimi cedimenti
politici e morali.
Questo per il passato. Ma cosa c’entra tutto ciò con il presente?
Oggi le forze in campo sono un Partito democratico che ha liquidato
ogni rapporto teorico, culturale e politico con la storia del Pci; e un
partito padronale, il Pdl, infiltrato da pesanti legami con la
criminalità organizzata, inquinato da estesissima corruzione, saldamente
nelle mani di un monarca cripto-fascista.
E’ nella rinnovata alleanza – per il bene della nazione (sic!) – fra
Pd e Pdl che Napolitano vede l’uscita dalla crisi che sta sgretolando la
democrazia insieme alle condizioni di vita di un popolo in tanta sua
parte stremato?
Il coraggio, caro Presidente, è tutt’altra cosa dal miserabile
connubio che Lei propone nel nome di una comune assunzione di
responsabilità. E lasci stare, per cortesia, “i moralizzatori che
distruggono la politica”, giacché a distruggere le premesse di una buona
politica sono stati proprio coloro che oggi Lei rivorrebbe in plancia
di comando.
La sola cosa che per il bene del paese lei ora può fare è di
dimettersi. E lasciare che spetti al prossimo presidente il compito di
guidare il gioco. Un Presidente che si faccia guidare dalla Stella
polare della Costituzione antifascista, fondata sul lavoro e su un
irrinunciabile impianto di diritti e di giustizia sociale di cui, in
questi tempi, si è persa anche la memoria.
Nel parlamento, se il M5S non fa l’amico del giaguaro e se Bersani
non cede alla Vandea interna, ci sono i numeri per compiere la scelta
giusta.
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