Il capo economista del Fondo Monetario Internazionale ci fa sapere, come riporta il Sole 24 Ore,
che i governi e le istituzioni europee hanno sbagliato i conti. Merkel,
Draghi, Monti hanno operato finora sulla base di previsioni e calcoli
secondo i quali un punto di taglio del deficit pubblico avrebbe prodotto
mezzo punto di riduzione della crescita.
Invece, afferma il Fondo Monetario, il danno è molto più pesante. Un
punto di tagli produce un punto e mezzo di danno economico, cioè tre
volte le previsioni. Da qui la recessione sempre più pesante e senza
soluzione che sta dilagando in Europa.
Hanno sbagliato i conti insomma e la politica di austerità che hanno
consapevolmente deciso ha prodotto disoccupazione e povertà tre volte di
più di quanto avevano pensato di farci pagare.
In concreto questo vuol dire che il pareggio di bilancio come obbligo
costituzionale, che lo ripeto è stato votato anche da Lega e Idv, il
patto fiscale europeo che ci obbliga a ridurre l’ammontare del debito
pubblico della metà in venti anni, il rigore non sono più economicamente
e socialmente sostenibili. Con buona pace della politica di unità
nazionale che ha deliberato queste scelte e dello stesso Presidente
della Repubblica che le ha auspicate e benedette.
Tutte queste scelte vanno concretamente e rapidamente messe in discussione, cioè revocate.
Perché per rimediare ai danni sarà necessaria una politica economica,
di segno opposto a quella sinora attuata, che come prima misura decida
di rompere il tabù liberista che domina il nostro continente. Quel tabù
che invece viene messo in discussione nel resto del mondo, dagli Stati
Uniti al Giappone alla Cina all’America latina. Parliamo del tabù del
debito e del pareggio pubblico.
Per affrontare la crisi e il suo primo effetto, la disoccupazione di
massa, bisogna spendere soldi pubblici senza timore di aver un bilancio
in deficit. E dunque in Italia ed in Europa deve saltare tutto il
sistema di patti, accordi, regole che promuovono e disciplinano
l’austerità.
In Italia il confronto elettorale parla d’altro, anche se la campagna elettorale si fonda sulle promesse più varie.
Monti evidentemente non può certo smentire sé stesso. Berlusconi è
sicuramente capace di farlo, ma proprio per questo non ha alcuna
credibilità. Bersani infine nel proprio programma elettorale ha scritto
che si impegna a rispettare tutti gli impegni assunti e lo ribadisce in
continuazione per rassicurare l’Europa e lo spread.
Anche chi si oppone a questi tre leader e ai loro schieramenti non
affronta davvero questi temi e in ogni caso non li mette al centro della
propria propaganda. Grillo a volte ne parla, ma poi al centro di tutto
mette la lotta al sistema dei partiti. Ingroia pure vi accenna, ma ben
dopo i temi della legalità che gli sono più cari.
Così trionfano nel confronto sulla politica economica i “ma anche” di
veltroniana memoria: coniugare austerità e crescita, rigore con equità
sono le formulette abusate che non vogliono dire un bel nulla.
La crisi economica mondiale si è alimentata pochi anni fa dalla
esplosione della bolla finanziaria. In Italia la crisi politica è
assorbita in una bolla mediatica che sta gonfiando queste elezioni
presentando uno scontro tanto più aspro quanto più si allontana dalle
decisioni vere da assumere.
Prima o poi la bolla mediatica scoppierà come è successo per i quella
dei derivati, e il peso delle decisioni non prese e nemmeno discusse
davvero si abbatterà su di noi con il perdurare della crisi.
Dobbiamo quindi pretendere da chi si candida alle elezioni che dica
con chiarezza se vuol mantenere o mettere in discussione pareggio di
bilancio e fiscal compact. È su questo che ci si divide in Europa alle
elezioni e sarebbe ora che accadesse anche da noi, nonostante la bolla
mediatica.
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