domenica 13 gennaio 2013

L’austerità e la bolla mediatica di Giorgio Cremaschi, Micromega

Il capo economista del Fondo Monetario Internazionale ci fa sapere, come riporta il Sole 24 Ore, che i governi e le istituzioni europee hanno sbagliato i conti. Merkel, Draghi, Monti hanno operato finora sulla base di previsioni e calcoli secondo i quali un punto di taglio del deficit pubblico avrebbe prodotto mezzo punto di riduzione della crescita.
Invece, afferma il Fondo Monetario, il danno è molto più pesante. Un punto di tagli produce un punto e mezzo di danno economico, cioè tre volte le previsioni. Da qui la recessione sempre più pesante e senza soluzione che sta dilagando in Europa.
Hanno sbagliato i conti insomma e la politica di austerità che hanno consapevolmente deciso ha prodotto disoccupazione e povertà tre volte di più di quanto avevano pensato di farci pagare.
In concreto questo vuol dire che il pareggio di bilancio come obbligo costituzionale, che lo ripeto è stato votato anche da Lega e Idv, il patto fiscale europeo che ci obbliga a ridurre l’ammontare del debito pubblico della metà in venti anni, il rigore non sono più economicamente e socialmente sostenibili. Con buona pace della politica di unità nazionale che ha deliberato queste scelte e dello stesso Presidente della Repubblica che le ha auspicate e benedette.
Tutte queste scelte vanno concretamente e rapidamente messe in discussione, cioè revocate.
Perché per rimediare ai danni sarà necessaria una politica economica, di segno opposto a quella sinora attuata, che come prima misura decida di rompere il tabù liberista che domina il nostro continente. Quel tabù che invece viene messo in discussione nel resto del mondo, dagli Stati Uniti al Giappone alla Cina all’America latina. Parliamo del tabù del debito e del pareggio pubblico.
Per affrontare la crisi e il suo primo effetto, la disoccupazione di massa, bisogna spendere soldi pubblici senza timore di aver un bilancio in deficit. E dunque in Italia ed in Europa deve saltare tutto il sistema di patti, accordi, regole che promuovono e disciplinano l’austerità.
In Italia il confronto elettorale parla d’altro, anche se la campagna elettorale si fonda sulle promesse più varie.
Monti evidentemente non può certo smentire sé stesso. Berlusconi è sicuramente capace di farlo, ma proprio per questo non ha alcuna credibilità. Bersani infine nel proprio programma elettorale ha scritto che si impegna a rispettare tutti gli impegni assunti e lo ribadisce in continuazione per rassicurare l’Europa e lo spread.
Anche chi si oppone a questi tre leader e ai loro schieramenti non affronta davvero questi temi e in ogni caso non li mette al centro della propria propaganda. Grillo a volte ne parla, ma poi al centro di tutto mette la lotta al sistema dei partiti. Ingroia pure vi accenna, ma ben dopo i temi della legalità che gli sono più cari.
Così trionfano nel confronto sulla politica economica i “ma anche” di veltroniana memoria: coniugare austerità e crescita, rigore con equità sono le formulette abusate che non vogliono dire un bel nulla.
La crisi economica mondiale si è alimentata pochi anni fa dalla esplosione della bolla finanziaria. In Italia la crisi politica è assorbita in una bolla mediatica che sta gonfiando queste elezioni presentando uno scontro tanto più aspro quanto più si allontana dalle decisioni vere da assumere.
Prima o poi la bolla mediatica scoppierà come è successo per i quella dei derivati, e il peso delle decisioni non prese e nemmeno discusse davvero si abbatterà su di noi con il perdurare della crisi.
Dobbiamo quindi pretendere da chi si candida alle elezioni che dica con chiarezza se vuol mantenere o mettere in discussione pareggio di bilancio e fiscal compact. È su questo che ci si divide in Europa alle elezioni e sarebbe ora che accadesse anche da noi, nonostante la bolla mediatica.

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