Con la morte di Rita Levi Montalcini c’è un posto vuoto tra i senatori a vita in Parlamento. Ha fatto bene Fausto Bertinotti a scrivere al Presidente Napolitano indicando per quel posto il nome di Marco Pannella.
Pur essendo spesso in disaccordo, nella storia recente, con molte delle
posizioni politiche dell’esponente radicale (per esempio rispetto alla
sua visione dell’economia, o anche per le scelte di apparentamento
politico) penso che la libertà delle donne e degli uomini
in questo paese sia stata costruita anche e soprattutto con il
contributo delle lotte dei radicali: Faccio, Aglietta, Pannella e Bonino
in prima fila. Diritti civili e laicità, costantemente in bilico o
messi in pericolo in Italia dal fondamentalismo cattolico, sono stati
difesi e indicati come priorità anche da questi instancabili attivisti.
Dal
momento che è facoltà del Presidente della Repubblica fare questa
nomina, e che nella storia italiana oltre alla Montalcini solo un’altra
donna, Camilla Ravera, ha fin qui ricoperto questa carica sta partendo
dai social network una campagna affinchè un’altra protagonista della
storia delle libertà delle donne e della democrazia abbia questo
riconoscimento: Lidia Menapace. Non è la prima volta.
Sarebbe,
per esattezza, la terza, nel giro di qualche anno, in cui si chiede che
Lidia Menapace sia nominata senatrice a vita: petizioni, raccolte di
firme, mediazioni politiche attraverso interlocuzioni di parlamentari
furono fatte in precedenza durante i settennati di Scalfaro e di Ciampi, ma senza esito.
Classe 1924, partigiana senza armi per scelta, di origine cattolica, fondatrice de Il Manifesto, femminista e comunista mai dottrinale e dogmatica, è, come scritto da me e da Rosangela Pesenti nella voce a lei dedicata sull’Enciclopedia delle donne una anticipatrice.
Ed
è veramente difficile riassumere il pensiero, il lavoro teorico e le
pratiche suggerite e regalate per oltre sessant’anni da un’attivista
femminista quale è Lidia Menapace.
E’ stata la prima a mettere l’accento sull’importanza del linguaggio sessuato come strumento fondamentale contro il sessismo. Nella prefazione a Parole per giovani donne,
(siamo ne 1993) sul perchè fosse così complicato dire ‘uomini e donne’
invece che usare il presunto neutro ‘uomini’ Lidia afferma: ”Non si fa
perché il nome è potere, esistenza, possibilità di diventare memorabili,
degne di memoria, degne di entrare nella storia in quanto donne, non
come vivibilità, trasmettitrici della vita ad altri a prezzo della
oscurità sulla propria. Questo è infatti il potere simbolico del nome,
dell’esercizio della parola. Trasmettere oggi nella nostra società è
narrarsi, dirsi, obbligare ad essere dette con il proprio nome di
genere.” Ci ha regalato la definizione più suggestiva del Movimento delle donne
osservando che è carsico come un fiume che talvolta sprofonda nelle
viscere della terra per riapparire in luoghi e tempi imprevisti con
rinnovata potenza. Suo lo slogan “Fuori la guerra dalla storia”.
Negli anni dirompenti del Movimento femminista ha suggerito il riconoscimento come fondamento della relazione politica tra donne,
ricordando che “Il processo della
conoscenza-riconoscimento-riconoscenza non è né meccanico, né facile:
richiede volontà, efficacia e anche strumenti, persino istituzioni ad
hoc” e successivamente ha proposto la Convenzione, cioè un patto
paritario per comuni convenienze, come forma politica per la costruzione
di pratiche e azioni condivise, efficace senza essere mortificante per
la molteplice soggettività propria dell’essere donna e del Movimento
stesso.
Nel suo Economia politica della differenza sessuale ha proposto una riflessione teorica intorno all’Economia della riproduzione,
declinata nelle specificità biologica, domestica e sociale, che troppo
spesso viene ancora genericamente definita ‘lavoro di cura’, mentre,
osserva puntualmente Lidia, la cura è il modo senza il quale non si
realizza il lavoro stesso.
Non solo molti libri:
la sua produzione è diffusa, e talvolta dispersa, in una miriade di
giornali, riviste, pubblicazioni. Questo per la sua disponibilità ad
essere presente nell’accadere delle cose, nel tempo vissuto dei vari
collettivi umani che la considerano una maestra, ma anche perché,
lontana da ogni vezzo accademico, considera la forma ‘occasionale’ dei
suoi scritti parte integrante della sua stessa elaborazione teorica.
Instancabile viaggiatrice, è sempre stata disponibile a
raggiungere i più remoti gruppi in ogni parte d’Italia, e generosa nel
diffondere il patrimonio della sua esperienza. Attivamente pacifista ha
proposto la scuola politica sotto l’egida di Rosa Luxembourg,
figura storica snobbata sia dai partiti a sinistra come da buona parte
del femminismo che invece Menapace ha non solo riscoperto ma anche
attualizzato, arrivando a scoprirne le radici protoecologiste.
Lidia
Menapace è probabilmente la miglior testimonianza di come il paese nel
suo complesso, e la sinistra in particolare, non sappia valorizzare i
suoi talenti: per oltre 20 anni, con raccolte di firme e petizioni, si è
cercato senza successo di farla eleggere in Parlamento, a cominciare
dal Pci dell’epoca della Carta delle donne di Livia Turco.
Una
enorme quantità di firme sono state raccolte sia per la sua elezione
parlamentare sia per la sua nomina come senatrice a vita, anche in
questo caso senza successo.
La sua breve permanenza in Senato
(eletta nelle liste di Rifondazione Comunista), già ottantenne, è
raccontata da lei stessa in una raccolta di lettere, dal titolo Lettere dal Palazzo, edito da Marea così come la sua ultima fatica, la raccolta di articoli A furor di popolo.
“Sono
convinta che una nuova strumentazione politica teorica possa muovere
non da cattedre, bensì da tavole, non da scranni, bensì da incontri
conviviali” scrive Lidia nell’introduzione del suo ultimo libro.- E
ancora –“ Molto mi ha giovato la lettura dei testi che le donne vengono
scrivendo e pubblicando, ma più ancora – sto per dire – il poterle
incontrare, il parlarsi di persona, vedere volti e gesti, inflessioni di
voce e timbro di sorriso, sentire quanta parte della ricerca è andata
persa per circostanze varie, quali orizzonti apre, quali motivazioni ha
avuto”.
In centinaia, tra chi l’ha conosciuta e amata, cittadine e
cittadini di questo paese stanno, dal basso e con vigore, chiedendo che
questa splendida ultraottantenne che tanto ha dato possa avere questo
giusto e tardivo riconoscimento. Molte tra quelle che già in precedenza
lo chiesero stanno invecchiando a loro volta. Sarà la volta buona?
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