La sostenibilità.
Come annunciato nel precedente
articolo, in questa sede andremo ad analizzare aspetti dei conti
pubblici italiani relativi agli anni precedenti il divorzio tra Banca
d'Italia e Ministero del Tesoro, facendo considerazioni sulla
sostenibilità dell'indebitamento e proponendo, alla fine, una
simulazione per un piano di crescita e stabilità alternativo al fiscal
compact.
Torniamo ad analizzare il grafico relativo ai deficit pubblici e la spesa per interessi, considerando i decenni '60 e '70.
Come si può rilevare, la spesa per interessi si è mantenuta a livelli
bassissimi per tutti gli anni 60, pari a circa l'1,4% del PIL per poi
iniziare a crescere a metà degli anni settanta, per assestarsi a circa
il 5% del PIL nel biennio conclusivo. Gli indiziati numero uno di tale
crescita sembrano essere i facilmente individuabili deficit pubblici
che, negli anni 70, si sono mediamente avvicinati al 7%.
Confrontando questo periodo con i
quasi due decenni successivi, si può notare come l'accennata crescita
della spesa per interessi, assestatasi sul finire degli anni 70, abbia
preso un andamento esplosivo dal 1981, per toccare un picco massimo
all'inizio degli anni 90 e per scendere fino al 5% solo nel 2004, dopo
un periodo di convergenza globale verso tassi di interesse ridotti, come
visibile nel seguente grafico che mette a confronto i tassi italiani
con quelli di altri paesi.
Andiamo ora a studiare l'andamento del rapporto debito/PIL in quegli anni.
Da una rapida occhiata si può
verificare come il decennio 1970-1980 abbia sperimentato un incremento
del rapporto debito PIL del 20%, passando da circa il 40% al 60%, per
raggiungere, poi, il 120% nel 1992, solo 12 anni dopo, con un incremento
di ben 60 punti percentuali.
Ora, per individuare le reali cause di
questa esplosione debitoria, si andrà a verificare l'andamento dei
tassi di interesse reali sul debito confrontandoli con il tasso reale di
crescita del prodotto interno lordo [1], andando a cercare eventuali
condizioni di insostenibilità. [2]
Da questo grafico, in apparenza complesso, possono desumersi due
importanti fatti riguardanti la nostra economia: il primo è il
progressivo calo del tasso di crescita reale, passato dal quasi 6% medio
degli anni 60, ai valori negativi dell'attuale depressione; il secondo è
l'incredibile crescita del costo reale effettivo e dei rendimenti reali
medi dei titoli di stato [3]. Questi ultimi, negli anni 60, avevano
valori medi positivi ma inferiori al tasso reale di crescita e, negli
anni 70, essendo i rendimenti nominali inferiori all'inflazione, erano
addirittura negativi. Nel 1981, non a caso, si può notare l'inversione
di tendenza, con rendimenti reali medi rapidamente passati dal -5% circa
del 1980 ai quasi 9 punti percentuali del 1992. Da questo punto in poi,
i tassi reali sono via via scesi, rimanendo tuttavia sempre positivi e
comunque superiori al tasso reale di crescita del PIL, condizione la
quale, se non controbilanciata da maggiori esportazioni ed avanzi
primari, come accaduto nel periodo dello sganciamento della Lira dallo
SME, porta inevitabilmente all'incremento del rapporto debito/PIL.
Il tutto lo si può meglio riassumere con il seguente grafico, che va ad
illustrare i valori medi per periodo di ciascun indicatore:
Ricapitolando, da quanto se ne può dedurre, l'incremento del rapporto debito PIL è certamente dovuto a due fattori:
-
il calo tendenziale del tasso di crescita reale del PIL
-
l'adozione di una banca centrale indipendente e l'abbandono di
quell'insieme di strumenti che permettevano allo stato di finanziarsi a
rendimenti nominali medi dei titoli pubblici inferiori al tasso nominale
di crescita o, come negli anni 70, al di sotto di quello di inflazione.
[4]
Per dimostrare quanto affermato, possiamo effettuare una simulazione (*) partendo dai dati disponibili del 2012 e andando a vedere l'evoluzione dei vari indicatori rispettando determinate condizioni.
Le ipotesi sono le seguenti:
-
Il ritorno alla sovranità monetaria, con annessa svalutazione nei
confronti di una valuta di riferimento ed effetto inflattivo mediato da
un coefficiente che determina quanto di questa svalutazione va a
trasformarsi in aumento dei prezzi.
-
Il progressivo abbassamento dei rendimenti nominali medi dei titoli
di stato al di sotto del tasso di inflazione, tali da determinare un
costo reale effettivo medio negativo, ripristinando gli strumenti idonei
a perseguire tale obiettivo.
-
Il mantenimento di un deficit primario pubblico, tale da costituire
un costante stimolo all'economia interna amplificato da un valore
moltiplicativo. [5]
Ecco il grafico generato utilizzando le ipotesi meglio specificate nella tabella riassuntiva:
Ipotesi
|
|
|
Saldo primario programmato
|
%PIL
|
-1,50
|
Svalutazione rispetto a valuta di riferimento
|
%
|
25,00
|
Pass Through svalutazione/inflazione
|
%
|
15,00
|
Tasso di crescita inflazione
|
%
|
7,00
|
Scarto tra costo del debito ed inflazione
|
%
|
-33,33
|
Moltiplicatore fiscale (applicato al deficit primario)
|
|
1,20
|
Esito simulazione
|
|
|
Costo reale effettivo del debito medio
|
%
|
-1,41
|
Deficit bilancio pubblico medio
|
%PIL
|
-5,16
|
Inflazione media
|
%
|
5,03
|
Interessi medi
|
%PIL
|
3,84
|
Tasso di crescita reale medio
|
%
|
1,61
|
Debito pubblico iniziale
|
%PIL
|
127
|
Debito pubblico finale
|
%PIL
|
89
|
(* La simulazione, ha necessariamente solo valore
indicativo, non potendo tenere conto di inevitabili fluttuazioni dei
vari tassi e degli effetti del saldo con l'estero ma mostra come,
riconquistando la sovranità monetaria, si potrebbe imboccare una strada
di stabilizzazione del debito che possa anche essere di stimolo
all'economia, senza andare a cercare costanti e recessivi avanzi
primari.)
Per meglio cogliere l'effetto di tali ipotesi, si può osservare il
seguente grafico che mette a confronto la crescita del debito pubblico,
dovuta alla spesa a deficit, e la crescita del PIL, incentivata dallo
stimolo fiscale.
Si vede facilmente come il PIL cresca
più rapidamente del debito pubblico, senza effettuare alcuna manovra di
austerità, andando, nella sostanza, a drenare i fondi necessari allo
stimolo dalla riduzione della spesa per interessi, che verrà quindi
redistribuita con effetti moltiplicativi data la maggiore propensione
marginale al consumo [6] delle fasce di popolazione a reddito più basso,
stimolando di conseguenza l'occupazione, gli investimenti e permettendo
una riduzione della tassazione.
Antonello Nusca – ARS Abruzzo
Note:
[1]
Con tassi reali si intendono quelli
nominali depurati della componente inflattiva, ad esempio un tasso del
5% con inflazione al 2% equivale ad un tasso reale del 3%.
[2]
Per riassumere le condizioni di
sostenibilità dei conti pubblici, riporto questo chiaro estratto dalla
pagina Wikipedia trattante il debito pubblico:
Relativamente dunque al rapporto tra il debito pubblico e il
Prodotto interno lordo, ci sono quattro possibili situazioni in cui può
trovarsi lo Stato in un determinato anno:
-
il tasso di crescita del PIL risulta minore del tasso di interesse dei titoli di Stato e c'è pure un disavanzo primario
in rapporto al PIL, nel senso che le uscite dello Stato sono maggiori
delle entrate in rapporto al PIL. In tal caso il rapporto debito/PIL
tenderà a divergere ovvero ad aumentare all'infinito con forte rischio
insolvenza nel medio-lungo termine. [Situazione degli anni '80 ndr.]
-
il tasso di crescita del PIL n risulta maggiore del tasso di
interesse dei titoli di Stato i, ma c'è ancora un disavanzo primario in
rapporto al PIL. In tal caso il rapporto debito/PIL convergerà in modo
decrescente verso un certo valore (che si dice "stato stazionario")
se, e solo se, il rapporto debito/PIL iniziale è maggiore dello stato
stazionario. In particolare, in tal caso, affinché il rapporto
debito/PIL decresca, occorre che il PIL cresca a tal punto da rendere la
differenza n-i sufficientemente grande e il disavanzo primario sia
invece il più piccolo possibile. Se invece il rapporto debito/PIL
iniziale è minore dello stato stazionario, il rapporto debito/PIL
convergerà sempre verso lo stato stazionario, ma in modo crescente. [Situazione anni '60-'70 ndr.]
-
il tasso di crescita del PIL n risulta minore del tasso di
interesse dei titoli di Stato i, ma non c'è un disavanzo primario ovvero
le entrate sono più delle uscite. In tal caso il rapporto debito/PIL
decrescerà annullandosi dopo un certo tempo se, e solo se, il rapporto
debito/PIL iniziale è minore dello stato stazionario. In particolare,
affinché il rapporto debito/PIL decresca, occorre che la differenza n-i
sia sufficientemente piccola e che le entrate siano sufficientemente
grandi. [Situazione simile a quella degli anni 90 dopo la fuoriuscita
dallo SME, dove la riduzione debitoria venne cercata con avanzi primari
superiori anche al 5% del PIL, sfruttando il contributo del settore
estero ndr.] Se invece il rapporto debito/PIL iniziale è maggiore dello
stato stazionario, il rapporto debito/PIL tenderà ad aumentare
all’infinito con aumentato rischio insolvenza. [Condizione simile a
quella attuale, con avanzi primari che deprimono ulteriormente
l'economia interna, senza l'ausilio del settore estero, dato il vincolo
della moneta unica ndr.]
-
il tasso di crescita del PIL risulta maggiore del tasso di
interesse dei titoli di Stato e c'è un avanzo primario per cui le
entrate sono maggiori delle uscite. In tal caso il rapporto debito/PIL
decrescerà rapidamente fino ad annullarsi, abbattendo il rischio
insolvenza. [Condizione auspicata dai sottoscrittori del Fiscal Compact, palesemente irrealistica e smentita dall'analisi dei dati ndr.]
[https://it.wikipedia.org/wiki/Debito_pubblico]
[3]
Il rendimento reale medio dei titoli di stato è dato dalla media ponderata dei rispettivi rendimenti depurata dall'inflazione.
Il costo reale effettivo è dato dalla
spesa per interessi al tempo t diviso il debito pubblico al tempo t-1,
moltiplicato per 100, meno l'inflazione al tempo t.
[5]
La trattazione estesa del
moltiplicatore fiscale va oltre gli obiettivi divulgativi del presente
articolo. Scegliendo di applicarlo al solo deficit primario, si è
effettuata una semplificazione che necessariamente ne sottostimerà gli
effetti, dato che si potrebbe effettuare lo stimolo sia aumentando la
spesa, sia riducendo le tasse con valori moltiplicativi differenti.