Il
No Monti Day è stato un risultato importante. Si è rotta la
stagnazione, ma sul prossimo futuro occorre evitare la coazione a
ripetere. Sedimentare le forze e acquisire credibilità sono passaggi
ineludibili.
La manifestazione del 27 ottobre, il No Monti Day, è stata indubbiamente un successo dal punto della
partecipazione di massa e della capacità di fare “massa critica” su una piattaforma contro le politiche antisociali del governo Monti e i diktat dell'Unione Europea. Non solo, la manifestazione e la sua dichiarazione di esplicita rottura con l'incantesimo su Monti come salvatore del paese, è stata percepita come “fatto politico” (vedi l'apertura strumentale, ma significativa, dell'editoriale del Corriere della Sera di lunedi).
La riuscita dell'iniziativa è stata in qualche modo anche il risultato della tenuta e della tenacia del Comitato No Debito che è riuscito ad essere l'unica realtà “unitaria” e attiva nell'anno trascorso dall'assemblea del 1 ottobre 2011 all'Ambra Jovinelli a oggi.
La riuscita della manifestazione ha sconfitto molti iettatori che si auguravano temporali dissuasivi o scontri di piazza che alimentassero in eterno il fantasma del 15 ottobre. Non solo. Ha dimostrato che l'indipendenza politica e organizzativa è un discrimine appropriato e un motore efficace dell'iniziativa anticapitalista e del conflitto sociale. La riuscita della manifestazione ha indubbiamente creato molte aspettative e dato forza a tanti compagni e realtà di lotta specifiche, i quali si sono sentiti supportati da un fronte politico, sociale, sindacale più ampio e dunque meno deboli o isolati (basta pensare ai compagni dell'Ilva o dei comitati dei terremotati etc.). Per dire tutto questo, sono stati più che sufficienti tre minuti di intervento dal palco dell'assemblea finale in piazza San Giovanni.
Ma dobbiamo ammettere che è stata ancora una manifestazione “di nicchia”, per quanto ampia. In piazza c'erano soprattutto militanti, lavoratori e lavoratrici sindacalizzati,attivisti sociali, figure rappresentative di lotte e vertenze in corso, ma la l'intercettazione del blocco sociale antagonista ai diktat della borghesia europea è un lavoro ancora tutto da fare. La manifestazione è stata un passaggio importante, dunque né un inizio né una fine e su questo dobbiamo essere chiari.
E' emerso con evidenza infatti come il binomio tra una riuscita partecipazione di massa e la costruzione di un fatto politico, abbia fatto riscattare la “coazione a ripetere” di molti, soprattutto nel contesto in cui si è venuta a collocare la manifestazione del 27 ottobre. Per un verso la fibrillazione elettorale che ci porteremo dietro nei prossimi mesi, per un altro il richiamo della foresta del movimentismo rischiano di rimettere in moto vizi del passato, vizi deleteri come quelli che ci hanno portato alla percepibile situazione di stagnazione e disgregazione precedente alla manifestazione.
Emblematico di questo rischio è stata la presenza nel corteo di personaggi di una obsoleta e sconfitta “sinistra plurale” come Bertinotti (che ha subito pure qualche contestazione) o la corsa a tenere lo striscione d apertura di personaggi che non abbiamo mai incrociato nella preparazione politica e materiale della manifestazione, immagine di un notabilato “dei movimenti” che ci aveva provato già il 15 ottobre dello scorso anno e nei prossimi giorni cercherà di rinverdire il passato dei Social Forum con un meeting a Firenze.
Sarebbe politicamente criminale che il percorso che ha portato alla manifestazione del 27 ottobre, un percorso che ha creato enormi aspettative tra tanta gente, venga di nuovo dirottato verso le devastanti consuetudini del recente passato. Rimettere tutto in gioco e a rischio intorno alla data del 14 novembre, ad esempio, è parte di questa coazione a ripetere. Uscire da una iniziativa politica per passare subito ad un'altra senza mai costruire, sedimentare, verificare un qualche passo in avanti concreto in mezzo, invocare la generalizzazione del conflitto come in Grecia o in Spagna ma ritenere che il conflitto e il “movimento” possano darsi senza però organizzarlo concretamente tra i settori popolari di questo paese, ripetere in eterno la rappresentazione senza mai porsi il problema della rappresentanza politica come organizzazione di pezzi di società reale, è parte dell'armamentario che ci ha portato alla disperante situazione che molti lamentavano fino alla vigilia della manifestazione del 27 ottobre. Pensare che una manifestazione riuscita possa di colpo cancellare quella situazione di difficoltà, è velleitario.
Abbiamo lavorato seriamente e unitariamente alla riuscita della manifestazione del 27 ottobre, lo abbiamo fatto fin nei dettagli. Condividiamo la rivendicazione collettiva della sua riuscita perchè la convergenza delle forze è un fatto positivo e non negativo. Nei prossimi giorni ci confronteremo nel Comitato No Debito e con gli altri promotori del No Monti Day per spingere più avanti possibile una ipotesi unitaria sul piano politico e sociale. Ma vogliamo anche affermare, all'indomani di una manifestazione riuscita, che non siamo disponibili a rimettere i piedi esattamente sulle piste fangose che hanno portato fuori strada e impantanato i movimenti e la sinistra di classe in questi anni.
Un risultato positivo va finalizzato a definire nelle prossime settimane proposte, soluzioni, indicazioni che cerchino almeno di penetrare e intercettare quei settori sociali che alla manifestazione ancora non c'erano, che spesso hanno ancora una percezione indebolita dei propri interessi nella crisi e che per rompere la gabbia e “riconoscersi come soggetto collettivo” devono intravedere, di nuovo, delle alternative “generali” credibili per rovesciare il tavolo contro i diktat dell'Unione Europea e l'egemonia ideologica dell'avversario di classe.
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