Tutti scrivono che siamo di fronte ad
una nuova Tangentopoli, i cittadini che pagano le tasse sono indignati
da questi scandali quotidiani, tutti denunciano ed urlano, esattamente
come venti anni fa. Ma, siamo sicuri che siamo a una nuova Tangentopoli
oppure siamo di fronte ad un fenomeno che non era mai scomparso? La
corruzione è una devianza o la norma in questa fase di crisi del modello
di capitalismo democratico-liberista?
Venti anni fa, Carlo Bonini su questo giornale (il manifesto del 11/9/1992 ) scriveva un articolo di estrema lucidità intitolato «Tra Stato e Mercato, la zona grigia degli scambi occulti». Nell’articolo venivano commentati due saggi usciti nel 1992, l’anno fatale per la cosiddetta “prima Repubblica”: L’Italia del pizzo di Franco Cazzola (Einaudi) e Lo scambio occulto di Donatella della Porta (il Mulino), con introduzione di Alessandro Pizzorno. Due volumi di analisi scientifica del fenomeno della corruzione che porta entrambi gli autori a concludere che la radice del male sta nei partiti , o meglio «nel reclutamento e carattere del loro personale politico, nell’incapacità di filtrare e dare forma alle richieste collettive». L’ascesa della nuova classe politica emergente – scriveva Donatella della Porta – viene facilitata dalla sostituzione della morale politica alla morale statuale e, successivamente, dalla caduta di tensione ideologica, con conseguente vuoto di principi etici.
Cosa è cambiato vent’anni dopo in questo nostro disgraziato paese? È mai nata una seconda repubblica dalle ceneri della prima? A nostro avviso, non solo non è cambiato niente, ma la situazione è decisamente peggiorata nell’ultimo decennio.
Se prendiamo in considerazione il Cpi (Corruption Perception Index), un indicatore della percezione della corruzione del sistema politico che dal 1995 viene stilato da Trasparency International, scopriamo che dalla fine degli anni ’90 il nostro paese precipita nella classifica internazionale per grado di corruzione. Se nel 2001 eravamo al 29° posto su 91 paesi esaminati, al 2010 siamo scesi 67° posto di questa graduatoria, collocandoci tra Ruanda e Georgia. Nessun paese occidentale, eccetto la Grecia, ha toccato questi livelli di corruzione. Ma, il dato più interessante è un altro: il crollo verticale dell’Italia negli ultimi cinque anni non è paragonabile a nessun altro paese al mondo. Infatti, la stragrande maggioranza dei paesi del sud del mondo – dove è storicamente più alto il tasso di corruzione delle istituzioni – ha migliorato, sia pure leggermente, la propria posizione rispetto agli anni ’90. Anche la Grecia, sia pure al fondo di questa classifica della “corruzione politica”, ha leggermente migliorato la propria posizione. L’Italia, no, è crollata proprio in questi ultimi anni.
Prima di cercare di comprendere la specificità del caso italiano, dobbiamo fermarci per un attimo a capire meglio il fenomeno della corruzione nei paesi a capitalismo maturo. Bribes di J. Noonam del 1984, tradotto in Italia come Ungere le ruote, suscitò un importante dibattito anche per via dei grandi scandali che emergevano a livello globale. Il caso Lockheed, la multinazionale Usa che aveva versato 38 milioni di tangenti per imporre i suoi aerei sui mercati di mezzo mondo, non era un caso eccezionale. Alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, la Commissione parlamentare d’inchiesta del Senato Usa aveva accertato che erano ben 300 le imprese multinazionali nordamericane che usavano regolarmente la «tangente» per «penetrare nel mercato mondiale». Questo è il livello alto della corruzione che riguarda il rapporto stato/mercato. Attraverso l’uso delle tangenti (oltre ovviamente ad altre forme di pressione, lobbing, ecc.) la grande impresa capitalistica si assicura non solo una domanda aggiuntiva, ma una domanda speciale che genera extraprofitti spesso maggiori di quelli conseguiti sul mercato privato dove la concorrenza, anche nell’era degli oligopoli, gioca un ruolo di livellamento dei margini di profitto. Come è stato evidenziato da diversi autori, il ruolo dello Stato, della domanda pubblica è diventato centrale nel capitalismo maturo così come era decisivo il ruolo della Chiesa nell’economia medievale europea. Possiamo dire, senza tema di smentite, che alla mano morta della Chiesa medievale, alla mano «invisibile» del liberista Adam Smith, si è sostituita nel tardo-capitalismo la mano pubblica, una bella, grande mano, molto generosa per chi la sa stringere.
Ma quello che colpisce l’opinione pubblica non è questo tipo di corruzione che viaggia nelle alte sfere del capitalismo industriale e della finanza: le ultime cinque crisi finanziarie si sono intrecciate con attività illegali (insider trading), bilanci falsificati, truffe alla Madoff, ecc. Quello che fa scattare l’indignazione popolare è la corruzione della classe politica. Ed in questo campo, nell’accezione di Bourdieu, l’Italia ha conquistato nell’ultimo decennio un triste primato. Perché, che cosa è successo di tanto speciale nel nostro paese?
Non esiste una risposta univoca, ma solo delle ipotesi. La prima è che il berlusconismo sia stato un fenomeno molto più radicato e forte di quanto avessimo pensato. Al di là degli alterni successi politici di Berlusconi, il suo ventennio è paragonabile – per l’impatto culturale – a quello del fascismo. Così, al di là della sua fine politica dovremo fare i conti col berlusconismo per molto tempo, come abbiamo dovuto fare i conti col fascismo anche molti anni dopo la sua fine. Il modello Berlusconi, come è noto, ha significato il trionfo di una visione della vita dove il denaro è lo strumento principe della felicità, della potenza, del rispetto. L’arricchimento personale, con qualunque mezzo, è un valore in sé e per sé, e chi pensa il contrario è solo un fallito o un invidioso. A sostegno di questa tesi sta il fatto che la corruzione della classe politica è un fenomeno trasversale, anche se colpisce un po’ di più il centrodestra.
La seconda ipotesi è in qualche modo complementare a questa, ed era stata già espressa da Donatella della Porta: la crisi verticale dei partiti, delle ideologie, porta a selezionare nel modo peggiore la classe politica. La parte migliore della società non viene politicamente rappresentata perché i partiti italiani sono ormai diventati delle strutture autoreferenziali di potere, di lobbie e di affari.
Probabilmente, le due ipotesi stanno in ordine consequenziale. Prima c’è stato il crollo dei partiti di massa, poi il berlusconismo che ha riempito un vuoto valoriale e culturale. Ed oggi ? pensiamo che sia sufficiente una buona legge per combattere la corruzione di massa che pervade il nostro paese? Senza nulla togliere alla necessità di una buona legge, la storia ci dimostra che se non cambia il modello sociale e culturale di un paese questo fenomeno non è realmente aggredibile. Se non si bloccano i processi di privatizzazione dei beni pubblici, se non si inverte la politica delle esternalizzazioni, delle finte società miste pubblico/privato, se non si avviano meccanismi di democrazia partecipativa reale e di controllo popolare della pubblica amministrazione, difficilmente usciremo da questa palude fetida in cui siamo precipitati.
Venti anni fa, Carlo Bonini su questo giornale (il manifesto del 11/9/1992 ) scriveva un articolo di estrema lucidità intitolato «Tra Stato e Mercato, la zona grigia degli scambi occulti». Nell’articolo venivano commentati due saggi usciti nel 1992, l’anno fatale per la cosiddetta “prima Repubblica”: L’Italia del pizzo di Franco Cazzola (Einaudi) e Lo scambio occulto di Donatella della Porta (il Mulino), con introduzione di Alessandro Pizzorno. Due volumi di analisi scientifica del fenomeno della corruzione che porta entrambi gli autori a concludere che la radice del male sta nei partiti , o meglio «nel reclutamento e carattere del loro personale politico, nell’incapacità di filtrare e dare forma alle richieste collettive». L’ascesa della nuova classe politica emergente – scriveva Donatella della Porta – viene facilitata dalla sostituzione della morale politica alla morale statuale e, successivamente, dalla caduta di tensione ideologica, con conseguente vuoto di principi etici.
Cosa è cambiato vent’anni dopo in questo nostro disgraziato paese? È mai nata una seconda repubblica dalle ceneri della prima? A nostro avviso, non solo non è cambiato niente, ma la situazione è decisamente peggiorata nell’ultimo decennio.
Se prendiamo in considerazione il Cpi (Corruption Perception Index), un indicatore della percezione della corruzione del sistema politico che dal 1995 viene stilato da Trasparency International, scopriamo che dalla fine degli anni ’90 il nostro paese precipita nella classifica internazionale per grado di corruzione. Se nel 2001 eravamo al 29° posto su 91 paesi esaminati, al 2010 siamo scesi 67° posto di questa graduatoria, collocandoci tra Ruanda e Georgia. Nessun paese occidentale, eccetto la Grecia, ha toccato questi livelli di corruzione. Ma, il dato più interessante è un altro: il crollo verticale dell’Italia negli ultimi cinque anni non è paragonabile a nessun altro paese al mondo. Infatti, la stragrande maggioranza dei paesi del sud del mondo – dove è storicamente più alto il tasso di corruzione delle istituzioni – ha migliorato, sia pure leggermente, la propria posizione rispetto agli anni ’90. Anche la Grecia, sia pure al fondo di questa classifica della “corruzione politica”, ha leggermente migliorato la propria posizione. L’Italia, no, è crollata proprio in questi ultimi anni.
Prima di cercare di comprendere la specificità del caso italiano, dobbiamo fermarci per un attimo a capire meglio il fenomeno della corruzione nei paesi a capitalismo maturo. Bribes di J. Noonam del 1984, tradotto in Italia come Ungere le ruote, suscitò un importante dibattito anche per via dei grandi scandali che emergevano a livello globale. Il caso Lockheed, la multinazionale Usa che aveva versato 38 milioni di tangenti per imporre i suoi aerei sui mercati di mezzo mondo, non era un caso eccezionale. Alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, la Commissione parlamentare d’inchiesta del Senato Usa aveva accertato che erano ben 300 le imprese multinazionali nordamericane che usavano regolarmente la «tangente» per «penetrare nel mercato mondiale». Questo è il livello alto della corruzione che riguarda il rapporto stato/mercato. Attraverso l’uso delle tangenti (oltre ovviamente ad altre forme di pressione, lobbing, ecc.) la grande impresa capitalistica si assicura non solo una domanda aggiuntiva, ma una domanda speciale che genera extraprofitti spesso maggiori di quelli conseguiti sul mercato privato dove la concorrenza, anche nell’era degli oligopoli, gioca un ruolo di livellamento dei margini di profitto. Come è stato evidenziato da diversi autori, il ruolo dello Stato, della domanda pubblica è diventato centrale nel capitalismo maturo così come era decisivo il ruolo della Chiesa nell’economia medievale europea. Possiamo dire, senza tema di smentite, che alla mano morta della Chiesa medievale, alla mano «invisibile» del liberista Adam Smith, si è sostituita nel tardo-capitalismo la mano pubblica, una bella, grande mano, molto generosa per chi la sa stringere.
Ma quello che colpisce l’opinione pubblica non è questo tipo di corruzione che viaggia nelle alte sfere del capitalismo industriale e della finanza: le ultime cinque crisi finanziarie si sono intrecciate con attività illegali (insider trading), bilanci falsificati, truffe alla Madoff, ecc. Quello che fa scattare l’indignazione popolare è la corruzione della classe politica. Ed in questo campo, nell’accezione di Bourdieu, l’Italia ha conquistato nell’ultimo decennio un triste primato. Perché, che cosa è successo di tanto speciale nel nostro paese?
Non esiste una risposta univoca, ma solo delle ipotesi. La prima è che il berlusconismo sia stato un fenomeno molto più radicato e forte di quanto avessimo pensato. Al di là degli alterni successi politici di Berlusconi, il suo ventennio è paragonabile – per l’impatto culturale – a quello del fascismo. Così, al di là della sua fine politica dovremo fare i conti col berlusconismo per molto tempo, come abbiamo dovuto fare i conti col fascismo anche molti anni dopo la sua fine. Il modello Berlusconi, come è noto, ha significato il trionfo di una visione della vita dove il denaro è lo strumento principe della felicità, della potenza, del rispetto. L’arricchimento personale, con qualunque mezzo, è un valore in sé e per sé, e chi pensa il contrario è solo un fallito o un invidioso. A sostegno di questa tesi sta il fatto che la corruzione della classe politica è un fenomeno trasversale, anche se colpisce un po’ di più il centrodestra.
La seconda ipotesi è in qualche modo complementare a questa, ed era stata già espressa da Donatella della Porta: la crisi verticale dei partiti, delle ideologie, porta a selezionare nel modo peggiore la classe politica. La parte migliore della società non viene politicamente rappresentata perché i partiti italiani sono ormai diventati delle strutture autoreferenziali di potere, di lobbie e di affari.
Probabilmente, le due ipotesi stanno in ordine consequenziale. Prima c’è stato il crollo dei partiti di massa, poi il berlusconismo che ha riempito un vuoto valoriale e culturale. Ed oggi ? pensiamo che sia sufficiente una buona legge per combattere la corruzione di massa che pervade il nostro paese? Senza nulla togliere alla necessità di una buona legge, la storia ci dimostra che se non cambia il modello sociale e culturale di un paese questo fenomeno non è realmente aggredibile. Se non si bloccano i processi di privatizzazione dei beni pubblici, se non si inverte la politica delle esternalizzazioni, delle finte società miste pubblico/privato, se non si avviano meccanismi di democrazia partecipativa reale e di controllo popolare della pubblica amministrazione, difficilmente usciremo da questa palude fetida in cui siamo precipitati.
- il manifesto
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