martedì 23 ottobre 2012

Taranto è malata


Taranto è malata. Lasceremo morire una delle città più popolose e belle e piene di memorie d’Italia, per egoismo e avarizia, per non utilizzare lì il peculio che però sprechiamo in inutili «grandi opere»; o per risparmiare quello che invece conserviamo, ma solo per evitare i rimproveri dei banchieri tedeschi? Per farne buon bottino come loro? Altre speculazioni?
Di Taranto, dei suoi malanni sappiamo tutto o quasi. Soffre perché la grande industria, l’acciaio dell’Ilva, il cemento di Cementir, il ciclo petrolchimico dell’Eni, l’inquinamento dell’Arsenale militare marittimo, convergono in uno spazio molto ristretto, sommando fumo a fumo, veleno a veleno. Il guasto peggiore è di certo l’acciaio, o meglio l’avidità del capitale, la sua cattiva coscienza che hanno incatenato all’antica città, al porto sicuro e attrezzato, il centro siderurgico dell’Iri. Per accontentare la congrega dei politici locali di maggioranza che si garantivano così un premio elettorale per decenni. Il capitale che poi ha fatto un secondo colpo – un colpetto – con la costruzione senza criterio e coscienza di pezzi interi di città a ridosso degli impianti dal respiro velenoso e sotto un cielo affumicato per sempre.
Sappiamo tutto di Taranto, o meglio sanno tutto le decine di donne e uomini di Tamburi e degli altri quartieri a rischio che hanno imparato da anni a fare i conti con i fumi e le polveri dell’Ilva. Le conferme, gravi e al tempo stesso stiracchiate che ieri il ministro della salute del governo Monti, Balduzzi ha presentato, non cambiano le cose. Sono semmai una conferma, secondo alcuni edulcorata, di una situazione pessima e notissima. Per riassumere tutto in un paio di cifre, il ministro ha citato un aumento dei decessi per tumori del 14% per gli uomini e del 13% per le donne. Poi tanti altri dati con due caratteristiche: sono molto gravi e rimediabili, con un po’ di pazienza e buona volontà. Un percorso un po’ e un po’. Voi operai, voi madri, voi bambini di Taranto smettete di spingere per avere qualcosa che nessuno – non il governo, non il cavalier Riva – può darvi. State di buon animo e aspettate. Noi governo, noi cavalier Riva, tratteremo con i magistrati, tanto severi e tanto astratti, e li convinceremo a rimettere in moto, poco per volta, la fabbrica dell’acciaio, senza il quale – ricordate? – l’Italia intera crolla come un mazzo di carte.
A Taranto vogliono lavorare, ma non morire poco per volta. Non vogliono più salutare i compagni al cimitero, oppure tremare per i bambini alla scuola elementare. Saranno buoni, senza acidi, senza veleni il pesce, il pollo, la verdura, le mele della mensa? A Taranto vogliono una città diversa, sicura, come forse era stata una volta, come potrebbe essere in futuro. Non chiedono molto. Sanno che con una spesa affrontabile, con l’aiuto tecnico, scientifico, di cui l’industria dell’acciaio, del cemento, della chimica, sono capaci, purché lo vogliano; con l’intervento – ragionevole, democratico – della Marina, Taranto potrebbe essere rimessa in ordine. Potrebbe produrre tutto l’acciaio pulito, necessario all’industria italiana e la pesca felice, nel bellissimo mare.
Guglielmo Ragozzino - il manifesto

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