Quali sono le ragioni della tua adesione alla manifestazione del 27 ottobre?
La mia è una adesione a titolo individuale che non coinvolge il
partito di Sel il quale ha fatto altre scelte. Naturalmente mi auguro
che non sarò il solo di Sinistra ecologia e libertà presente alla
manifestazione, però parlo per me. Ho aderito e partecipato a tutte le
manifestazioni contro Monti da quando questo Governo è nato perché ne ho
ravvisato l’estrema pericolosità su due terreni: su quello
economico-sociale e su quello politico. Su quello economico-sociale
perché sapevo che Monti sarebbe stato il miglior interprete delle
politiche rigoriste europee, essendo uno di quelli che l’hanno
inventate. E difatti così è stato. Sul piano politico perché il Governo
Monti era nato come Governo costituente di nuovi assetti politici. In
particolare per spaccare il centrodestra. Ma soprattutto per rompere il
centrosinistra, o meglio quella parvenza di centrosinistra, e di
spostare il partito democratico su posizioni sempre più centriste. Mi
pare che anche questo obiettivo sia pienamente riuscito.
Quale percorso intravedi dal tuo punto di vista?
Si tratta di far vivere, nei prossimi mesi e nei prossimi anni, sia a
livello sociale che possibilmente a livello della rappresentanza
politica, una sinistra che ponga i temi del lavoro e della uscita dalla
crisi a partire dalla difesa del lavoro in tutti i suoi aspetti. Una
sinistra che deve essere in grado di costruire un argine e dare una
alternativa a questo paese. Naturalmente, questo non si fa con una
manifestazione e neanche con cento; però questo è un passaggio
significativo. Mi auguro che ce ne siano altri. D’altro canto anche
tutto il movimento sindacale si sta muovendo. La Cgil è in piazza, anche
se in modo stanziale come il 20; lo sciopero della Fiom a metà novembre
c’è; i sindacati di base che ci saranno il 27. Certo, si muovono in
modo separato ma almeno avendo obiettivi comuni, una volta tanto di
critica al Governo.
Che relazione vedi tra questi frammenti, soprattutto nella prospettiva di una mobilitazione europea?
Purtroppo non esiste una relazione diretta soggettiva. Anzi, ci si
continua a guardare un po’ in cagnesco. E questo a me dispiace. Esiste
una connessione oggettiva data dalla comunanza di alcuni obiettivi,
dall’individuazione di alcune responsabilità da colpire e anche dalla
contemporaneità dei fatti che è significativa. In questa fase si
discutono alcune cose che poi diventeranno centrali nelle elezioni
politiche della prossima primavera. Sul piano europeo, anche qui siamo
di fronte a una felice contemporaneità. Vorrei di più, però. Vorrei che
nascesse una sorta di coalizione a livello europeo. Questo è un punto
decisivo altrimenti si rischia la divisione tra gli operai tedeschi che
guadagnano di più e quelli del Sud Europa che sono in condizioni
disperate, quando invece il nemico è unico, ed è la politica di rigore
dell’Unione europea che continua paradossalmente sulla stessa linea
malgrado che anche il Fmi cominci ad avere qualche dubbio. Perché
insomma, di fronte alla recessione mondiale neanche loro sono
eccessivamente contenti di come vanno le cose.
Ma è più una politica di rigore a tenere banco in questo
momento o non c’è invece una supremazia della Germania che è riuscita a
trovare una sua strada nel rapporto con gli altri paesi dell’Europa?
Tutte e due le cose direi. La Germania persegue una sua strategia che
secondo me è una strategia miope, ma evidentemente va bene agli
industriali e alle classi dirigenti tedesche. Pensa sostanzialmente di
giocare la sfida della competitività a livello mondiale sostanzialmente
da sola. Cioè ha sciolto l’alternativa di Kohl che consisteva nel
Germanizzare l’Europa o europeizzare la Germania sostanzialmente nel
primo modo. Ha stabilito una rete stretta di paesi satelliti ricacciando
tutti gli altri in una condizione di sudditanza, con il rischio di
spaccare l’Europa, e tenendo a debita distanza la Francia. Questa è la
politica della Germania. Però nello stesso tempo questa politica si
fonda su una ideologia che continua a fare egemonia nel contesto europeo
che è quella del rigorismo economico; ovvero, del pensiero economico
della cosiddetta austerità espansiva. Cioè, che il rilancio possa
avvenire da un lungo periodo di austerità. Dobbiamo parlare di una
supremazia ideologica anche perché la sinistra moderata è dentro questo
schema e non osa contrastarla. La vicenda della costituzionalizzazione
del pareggio di bilancio, che non era un obbligo Ue ma un consiglio che
l’Italia ha seguito pedissequamente, lo dimostra.
Questo schema dell’obbligatorietà incarta l’azione politica rendendo tutto artificiale e privo di sbocchi reali…
Infatti, bisognerebbe, senza abbandonare l’Europa giocare una
politica economica alternativa che crei una alleanza con i paesi in
difficoltà e ad un certo punto sia disponibile a porre sul piatto della
bilancia il fatto che o l’Europa cambia oppure questi paesi non ci
possono stare dentro. Ci vuole una politica molto forte e molto
determinata. E francamente questa non c’è nella carta di intenti firmata
anche dal mio partito. Anzi, c’è il rispetto dei trattati
internazionali compreso il fiscal compact “fino a quando non verranno
modificati”. Il che mi sembra talmente ovvio…
Nessun commento:
Posta un commento
Di la tua