Il risultato elettorale che si profila in Sicilia nelle elezioni regionali è clamoroso, talmente clamoroso da mettere in evidenza tendenze che trascendono il quadro regionale e parlano al paese. Mi riferisco in particolare al grado di disagio manifestato dall’elettorato e alla crisi profonda che tocca il sistema politico. Non vi è dubbio, infatti, che l’enorme incremento dell’astensione (quasi il 20% in più rispetto alle precedenti elezioni regionali) e il parallelo successo del Movimento 5 stelle indicano che la crisi della politica è giunta a livelli ben superiori di quanto si potesse immaginare solo poche settimane fa. Il Movimento 5 stelle ottiene con il suo candidato intorno al 18%, ma come lista supera il 14%, diventando il primo partito in Sicilia. E questo, si consideri, solo pochi mesi dopo le recenti amministrative nelle quali aveva ottenuto nei comuni del sud percentuali esigue.
Il fenomeno del “grillismo”, quindi, si
afferma anche nella parte del paese dove sembrava - fino ad oggi - non
riuscire a scalfire il tradizionale meccanismo del voto di scambio. Se
proiettato sul piano nazionale un simile trend può annunciare in vista
delle prossime elezioni politiche un risultato straordinario, tale da
modificare la geografia politica del paese.
In questo contesto il PD, in alleanza con l’UDC, ottiene una vittoria significativa e si prepara a governare la regione. Non si tratta di uno sfondamento - se è vero che il confronto con le precedenti elezioni regionali, almeno a stare ai primi dati, evidenzia una sostanziale tenuta dello stesso PD e dei suoi alleati – quanto piuttosto del confermarsi di un peso elettorale significativo in presenza del crollo degli avversari del centro destra e in particolare del PdL. Il dato conferma così le tendenze generali che si riscontrano a livello nazionale ed in particolare: la irreversibilità del processo di disgregazione del centro-destra, lo spostamento del baricentro dell’area moderata verso i centristi e la tenuta del PD, non significativamente logorato dall’appoggio dato al governo Monti. Non vi è dubbio che un simile scenario incoraggia (anziché frenare) l’orientamento del gruppo dirigente del PD a stabilire un asse con le forze di centro nella costruzione di una nuova maggioranza di governo dopo le prossime elezioni politiche.
Infine, il risultato dell’alleanza di sinistra guidata da Giovanna Marano è deludente. La candidata presidente si attesta attorno al 6% e le due liste apparentate, quella dell’Italia dei Valori e quella unitaria in cui sono confluiti la FdS, SEL e i Verdi, non raggiungono ciascuna il 4%, non avendo quindi la possibilità di accedere alla ripartizione di seggi a livello regionale, data la particolarità della legge elettorale che prevede una soglia di sbarramento per singola lista del 5%, a prescindere dal risultato delle coalizioni. Questo esito insodddisfacente è certamente da mettere, in larga misura, in relazione con il cambiamento del candidato presidente. Come è noto, per irregolarità nella presentazione della candidatura di Fava, la coalizione di sinistra ha dovuto individuare un nuovo candidato nella persona di Giovanna Marano. Al di là del prestigio della nuova candidata, non vi è dubbio che il cambiamento abbia penalizzato seriamente la coalizione, anche per il paradosso del mantenimento nel simbolo di una delle due liste del riferimento al precedente candidato. In ogni caso è evidente che la scelta di partecipare alle elezioni con due liste apparentate anziché con una sola lista unitaria è stata un errore. Il problema naturalmente non si limita a questo. In particolare, il simmetrico risultato della lista del Movimento 5 stelle pone un problema di prima grandezza circa la rappresentanza dell’enorme disagio (sia politico che sociale) presente nell’elettorato. Dal voto siciliano emerge che tale disagio non si traduce che in minima parte nel sostegno alla sinistra, che sceglie invece altre strade, rifluendo in larga misura verso il disimpegno o premiando posizioni di ispirazione populista. Bisognerà attentamente riflettere su queste dinamiche. Siamo entrati in una fase del tutto nuova, uno scenario inedito, che richiede risposte altrettanto inedite.
In questo contesto il PD, in alleanza con l’UDC, ottiene una vittoria significativa e si prepara a governare la regione. Non si tratta di uno sfondamento - se è vero che il confronto con le precedenti elezioni regionali, almeno a stare ai primi dati, evidenzia una sostanziale tenuta dello stesso PD e dei suoi alleati – quanto piuttosto del confermarsi di un peso elettorale significativo in presenza del crollo degli avversari del centro destra e in particolare del PdL. Il dato conferma così le tendenze generali che si riscontrano a livello nazionale ed in particolare: la irreversibilità del processo di disgregazione del centro-destra, lo spostamento del baricentro dell’area moderata verso i centristi e la tenuta del PD, non significativamente logorato dall’appoggio dato al governo Monti. Non vi è dubbio che un simile scenario incoraggia (anziché frenare) l’orientamento del gruppo dirigente del PD a stabilire un asse con le forze di centro nella costruzione di una nuova maggioranza di governo dopo le prossime elezioni politiche.
Infine, il risultato dell’alleanza di sinistra guidata da Giovanna Marano è deludente. La candidata presidente si attesta attorno al 6% e le due liste apparentate, quella dell’Italia dei Valori e quella unitaria in cui sono confluiti la FdS, SEL e i Verdi, non raggiungono ciascuna il 4%, non avendo quindi la possibilità di accedere alla ripartizione di seggi a livello regionale, data la particolarità della legge elettorale che prevede una soglia di sbarramento per singola lista del 5%, a prescindere dal risultato delle coalizioni. Questo esito insodddisfacente è certamente da mettere, in larga misura, in relazione con il cambiamento del candidato presidente. Come è noto, per irregolarità nella presentazione della candidatura di Fava, la coalizione di sinistra ha dovuto individuare un nuovo candidato nella persona di Giovanna Marano. Al di là del prestigio della nuova candidata, non vi è dubbio che il cambiamento abbia penalizzato seriamente la coalizione, anche per il paradosso del mantenimento nel simbolo di una delle due liste del riferimento al precedente candidato. In ogni caso è evidente che la scelta di partecipare alle elezioni con due liste apparentate anziché con una sola lista unitaria è stata un errore. Il problema naturalmente non si limita a questo. In particolare, il simmetrico risultato della lista del Movimento 5 stelle pone un problema di prima grandezza circa la rappresentanza dell’enorme disagio (sia politico che sociale) presente nell’elettorato. Dal voto siciliano emerge che tale disagio non si traduce che in minima parte nel sostegno alla sinistra, che sceglie invece altre strade, rifluendo in larga misura verso il disimpegno o premiando posizioni di ispirazione populista. Bisognerà attentamente riflettere su queste dinamiche. Siamo entrati in una fase del tutto nuova, uno scenario inedito, che richiede risposte altrettanto inedite.
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