Oggi su quella cosa bellissima e tragica che è Twitter c’era un
cinguettio-canaglia molto indicativo di Fabrizio Rondolino, cioè uno dei
cosiddetti “Lothar” di Massimo D’Alema. Quelli che lo affiancarono
nella grande opera di “modernizzazione” della sinistra alla fine degli
anni ’90. Scriveva: «Perché mai chi merita 150mila l’anno dovrebbe
mantenere un parassita che ha firmato per andare in pensione in
anticipo?». Poi aggiungeva, giustamente infastidito: «Chi guadagna 150mila euro lordi l’anno NON è ricco #eccheccazzo».
Ricordo Rondolino che commentava non so quale notizia al Tg1 di
Minzolini, svariato tempo fa, dal salotto di casa sua. Alle spalle aveva
la libreria impreziosita con un bellissimo ritratto di Palmiro
Togliatti sotto cornice.
La vera colpa del berlusconismo sta qua: nel non averci fatto capire
abbastanza che in Italia c’è stata e c’è ancora una sinistra nominale
che di sinistra non aveva e non ha più nulla. Che ha utilizzato la
parola “riforme” per giustificare una gara al ribasso nei diritti
sociali, civili e nella tensione egualitaria.
Dietro al comodo paravento dell’antiberlusconismo di maniera ha
vegetato per anni una destra neoliberista travestita da “sinistra
riformista” che s’è fatta portatrice di idee e valori reaganiani:
privatizzazioni, tagli al welfare, riforme del mercato del lavoro e del
sistema pensionistico, regalie ai grandi gruppi industriali famosi per
praticare il capitalismo coi soldi di tutti, nessun controllo sulla
finanza e così via. La legge della giungla, dove chi è più forte riesce a
sopraffare gli altri, la riduzione dell’uomo a bestia feroce che
azzanna se non vuole essere azzannata: tutti discorsi che hanno fatto
breccia anche dalle “nostre” parti, ammantate dalla parolina magica
(”meritocrazia”).
Bastava dirsi sdegnati (e magari fingerlo di esserlo) dalla
concezione padronale dello Stato di Berlusconi, del suo conflitto di
interessi e delle mignotte per apparire di sinistra. E invece la
sinistra era questo, ma soprattutto doveva essere ed era altro. Era ed è
professare un altro modello di società, in cui prima di perorare le
cause degli abbienti da 150mila euro l’anno (#eccheccazzo) ci si
interessava e si teneva le parti di chi un lavoro non ce l’ha, o di chi
ce l’ha ed è a 800 euro al mese senza diritti, o di chi vorrebbe
lavorare per vivere e non vivere per lavorare, o di chi stava alla
catena di montaggio, o di chi immaginava un mondo meno competitivo e più
solidale, dove al posto delle iene con la bava alla bocca pronte e
rubarsi tra poveri ci fosse un quieto e questo sì davvero moderno «da
ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni».
Se adesso Berlusconi se ne andrà come sembra l’occasione che abbiamo
davanti è unica. Ridefinire chiaramente i parametri di cosa è la
conservazione e di cosa è il progresso. E renderci conto, una volta per
tutte, che le decine di migliaia di Rondolino di questo Paese con la
sinistra non hanno niente a che fare. E neanche dovevano avercene venti
anni fa.
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