«Il contributo di solidarietà del 3% sui redditi sopra i 150 mila euro a favore degli esodati è iniquo»: così ha dichiarato ieri il vice presidente di Confindustria Aurelio Regina. Il contributo per finanziare l'ampliamento delle garanzie per gli esodati, a suo avviso, colpirebbe inoltre «una fascia di popolazione che è l'unica che spende, minacciando ulteriormente i consumi».
La prima reazione, nell’apprendere dell’attacco di Confindustria all'emendamento a favore degli esodati approvato dalla commissione Lavoro della Camera, è stata di soddisfazione. In Italia c’è ancora qualche istituzione che funziona: la difesa dei propri associati da parte di Confindustria è stata pronta e decisa. La cosa è ammirevole. E dovrebbe anche suscitare anche un po’di invidia, soprattutto nel mondo dei lavoratori dipendenti: basti pensare che il provvedimento di “riforma ” delle pensioni - proprio quel provvedimento che, elevando bruscamente l’età minima di pensionamento ha creato, tra l’altro, il dramma degli esodati senza stipendio né pensione – è diventato legge nel silenzio del mondo sindacale, e che non una sola ora di sciopero è stata indetta dai principali sindacati per contrastarlo.
Se però si passa al merito delle
argomentazioni di Aurelio Regina, allora la soddisfazione cede il passo
alla delusione. Perché dispiace che il vice presidente di Confindustria
affermi che la fascia di cittadini con un reddito superiore ai 150 mila
euro “è l’unica che spende”. Dispiace perché non è vero. In un certo
senso è vero il contrario: infatti, quanto più si sale nella scala del
reddito, tanto minore è la quota di reddito destinata ai consumi. Sono i
cittadini con i redditi più bassi quelli che spendono di più in
proporzione a quanto guadagnano (e quindi, siccome sono molti di più,
anche in assoluto). Precisamente per questo motivo ogni aumento delle
tasse indirette, quelle sui consumi, è una tassa regressiva (ossia una
tassa che colpisce in proporzione i poveri più dei ricchi). E quindi
andrebbe evitata. Invece anche questo governo, come già quello
Berlusconi- Tremonti, ha tra l’altro aumentato proprio le tasse
indirette.
Ma l’affermazione del vicepresidente di Confindustria che lascia più perplessi è quella secondo cui il contributo di solidarietà del 3% sui redditi sopra i 150 mila euro sarebbe “iniquo”. Di equità o meno delle manovre finanziarie dell’ultimo anno si è più volte dibattuto. In genere dimenticando che un criterio oggettivo su cui misurarle ci sarebbe.
E anche semplice. Siccome il 45% della ricchezza in Italia è detenuto dal 10% delle famiglie, una manovra equa avrebbe fatto pagare a quel 10% delle famiglie il 45% del peso dell’aggiustamento, e al restante 90% il resto. Non occorrono calcoli particolarmente sofisticati per capire che la proporzione è stata ben diversa. Sono gli stessi dati del Ministero dell’Economia a dirci come è stato ripartito il gettito nel 2011: su 412 miliardi totali, 193 sono stati costituiti da tasse indirette (vedi sopra), 127 da tasse su lavoratori dipendenti e pensionati, 78 da tasse sulle imprese, 14 miliardi dal gettito proveniente dai lavoratori indipendenti. È evidente la sproporzione a sfavore di lavoratori dipendenti e pensionati. Ed è anche evidente in quali categorie di contribuenti, tra quelle citate, si annidi un’evasione fiscale che nasconde al fisco 276 miliardi di euro di ricchezza all’anno e 120 miliardi di gettito. Ora, tutto questo non è soltanto eticamente inaccettabile. È una patente violazione di quanto previsto dalla nostra Costituzione. Vale infatti la pena di ricordare che secondo la Costituzione della Repubblica Italiana «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”(art. 53). Di fatto, invece, il principio costituzionale della progressività delle imposte in Italia è rovesciato.
Questa è l’iniquità del nostro sistema fiscale: quella vera. Rispetto a questo, un 3% una tantum richiesto a chi percepisce redditi superiori ai 150.000 euro non sembra gran cosa (anche perché oltretutto il contributo di solidarietà riguarderebbe soltanto la parte di reddito che eccede tale cifra). Meglio sarebbe una rimodulazione e aumento degli scaglioni dell’Irpef, abbassando le tasse sui redditi più bassi e aumentandole su quelli più elevati. Meglio ancora, una decisa lotta all’evasione.
E sebbene Bersani dica che «ci sono altre soluzioni», se invece per una volta si chiede qualcosa di più a chi ha di più, davvero non c’è alcun motivo di scandalo.
Ma l’affermazione del vicepresidente di Confindustria che lascia più perplessi è quella secondo cui il contributo di solidarietà del 3% sui redditi sopra i 150 mila euro sarebbe “iniquo”. Di equità o meno delle manovre finanziarie dell’ultimo anno si è più volte dibattuto. In genere dimenticando che un criterio oggettivo su cui misurarle ci sarebbe.
E anche semplice. Siccome il 45% della ricchezza in Italia è detenuto dal 10% delle famiglie, una manovra equa avrebbe fatto pagare a quel 10% delle famiglie il 45% del peso dell’aggiustamento, e al restante 90% il resto. Non occorrono calcoli particolarmente sofisticati per capire che la proporzione è stata ben diversa. Sono gli stessi dati del Ministero dell’Economia a dirci come è stato ripartito il gettito nel 2011: su 412 miliardi totali, 193 sono stati costituiti da tasse indirette (vedi sopra), 127 da tasse su lavoratori dipendenti e pensionati, 78 da tasse sulle imprese, 14 miliardi dal gettito proveniente dai lavoratori indipendenti. È evidente la sproporzione a sfavore di lavoratori dipendenti e pensionati. Ed è anche evidente in quali categorie di contribuenti, tra quelle citate, si annidi un’evasione fiscale che nasconde al fisco 276 miliardi di euro di ricchezza all’anno e 120 miliardi di gettito. Ora, tutto questo non è soltanto eticamente inaccettabile. È una patente violazione di quanto previsto dalla nostra Costituzione. Vale infatti la pena di ricordare che secondo la Costituzione della Repubblica Italiana «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”(art. 53). Di fatto, invece, il principio costituzionale della progressività delle imposte in Italia è rovesciato.
Questa è l’iniquità del nostro sistema fiscale: quella vera. Rispetto a questo, un 3% una tantum richiesto a chi percepisce redditi superiori ai 150.000 euro non sembra gran cosa (anche perché oltretutto il contributo di solidarietà riguarderebbe soltanto la parte di reddito che eccede tale cifra). Meglio sarebbe una rimodulazione e aumento degli scaglioni dell’Irpef, abbassando le tasse sui redditi più bassi e aumentandole su quelli più elevati. Meglio ancora, una decisa lotta all’evasione.
E sebbene Bersani dica che «ci sono altre soluzioni», se invece per una volta si chiede qualcosa di più a chi ha di più, davvero non c’è alcun motivo di scandalo.
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