E' possibile una Syriza in Italia? Se lo chiedono in molti e si
rispondono diversamente. Per ora. Parlano Bertinotti, Ferrero,
Turigliatto. [Checchino Antonini, http://popoff.globalist.it ]
Sfila in mezzo agli altri manifestanti, discute con Alfonso Gianni, uno dei dissidenti di Sel che ha aderito al No Monti day e ha dichiarato pubblicamente che non andrà alle primarie. Nemmeno per votare Vendola. Fausto Bertinotti, sebbene ritiratosi dal 20008 da ruoli di direzione, non ha smesso un minuto la riflessione politica e il lavoro di osservazione. Parte subito da una considerazione sindacale: «Se in molti paesi europei ci sono grandi mobilitazioni sindacali, in Italia due delle tre grandi confederazione sostanzialmente sostengono il governo e la Cgil è impotente. Le controriforme sono passate senza nemmeno uno sciopero generale. C'è una crisi di fondo del sindacalismo confederale». Sul piano politico, «anche la vittoria di Hollande s'è rivelata destinata al compromesso. Il centrosinistra, in Europa, è ormai un'alleanza tra social-liberisti e liberali. Il social-liberismo è una componente del liberismo».
La sinistra radicale non sta meglio: dal suo punto di osservazione, Bertinotti vede più forme di resistenza che progetti alternativi. Con l'eccezione di Syriza, in Grecia. «Perché è nata in rapporto diretto con le mobilitazione No Troika». Ma è possibile che una forma simile a quella della coalizione della sinistra radicale greca prenda forma in Italia e da qui? «Oggi vedo molti annunci di futuro», dice l'ex segretario di Rifondazione ed ex presidente della Camera nel biennio del Prodi bis precisando che ha sempre mantenuto un certo riserbo da quando non ha responsabilità dirette di direzione politica. Spera, naturalmente, che quanto dirà, «non appaia ingeneroso». Ritiene, e non è una novità, che «le forze politiche esistenti siano segnate da altre stagioni, siano parte della sconfitta e che possano essere utili solo rimettendosi in discussione, assumendo le movenze dai movimenti come Occupy, mutuando la loro orizzontalità». Solo così si potrà «reimpiantare una nuova coalizione sociale e politica. E penso che il livello sociale debba venire prima della soggettività politica».
***
Paolo Ferrero, erede di Bertinotti alla guida del Prc, il partito più numeroso al No Monti day, ha appena finito di dire dal palco improvvisato sul cassone di un camion, che questa crisi non è una carestia, che non c'è da tirare la cinghia, piuttosto si deve redistribuire la ricchezza. Avverte che si deve rottamare Monti con tutto il fiscal compact e che lui non ci sta ad appoggiare un cambio alla guida del governo che non preveda entrambe le cose.
Che farete adesso? «Si deve continuare a costruire il movimento di massa allargandolo». Il riferimento è alla Fiom. In piazza c'erano parecchi metalmeccanici, molti delegati, ma l'organizzazione più anomala del confederalismo sembra più timida di altre stagioni. «E poi bisogna riuscire a dare un'espressione politica a questo disagio sociale».
Già, come? «Intanto bisogna rompere il pensiero unico e l'ideologia della crisi, poi bisogna costruire un punto di riferimento antiliberista ma anche di critica della politica. E' un processo da fare, non vale alcuna autoproclamazione».
Si può dire che la Federazione della sinistra aveva questa ambizione, era più di un cartello elettorale e meno di un partito. Allora Ferrero disse di pensare a una coalizione stile sudamericano. Al No Monti day, però, c'è solo lui: Diliberto punta a sostenere Bersani, Patta e Salvi si sono defilati. Ma in piazza ci sono molti iscritti e anche dirigenti locali del Pdci. Esiste la Fds? «Il 3 novembre al consiglio nazionale proporremo la linea scaturita da questa manifestazione. Se non ci sarà accordo chiederemo un referendum tra gli iscritti».
***
Franco Turigliatto, portavoce uscente di Sinistra critica, è esplicito sia nell'indicare la necessità di fornire, a chi ha preso parte a questa manifestazione, una «prospettiva di alternativa politica per le prossime elezioni» sia nel formulare un appello alla Fiom perché converga nella mobilitazione del 14 novembre in concomitanza con lo sciopero europeo già proclamato in Spagna, Grecia, Portogallo, Cipro, Malta, Francia.
Alleanze sociali e dimensione europea dopo che, per la prima volta da un anno, è stato possibile che «tanta gente decidesse di non restare a guadare la tv e scendere di nuovo in piazza». «Ora non bisogna tornare a casa - dice anche al microfono finale - bisogna trovare l'unità nelle cose quotidiane, sui posti di lavoro. Bisogna costruire resistenze collegandosi alla necessità di chiedere lo sciopero generale europeo per costruire quei rapporti di forza per rovesciare questa borghesia che vuole la nostra pelle».
Sfila in mezzo agli altri manifestanti, discute con Alfonso Gianni, uno dei dissidenti di Sel che ha aderito al No Monti day e ha dichiarato pubblicamente che non andrà alle primarie. Nemmeno per votare Vendola. Fausto Bertinotti, sebbene ritiratosi dal 20008 da ruoli di direzione, non ha smesso un minuto la riflessione politica e il lavoro di osservazione. Parte subito da una considerazione sindacale: «Se in molti paesi europei ci sono grandi mobilitazioni sindacali, in Italia due delle tre grandi confederazione sostanzialmente sostengono il governo e la Cgil è impotente. Le controriforme sono passate senza nemmeno uno sciopero generale. C'è una crisi di fondo del sindacalismo confederale». Sul piano politico, «anche la vittoria di Hollande s'è rivelata destinata al compromesso. Il centrosinistra, in Europa, è ormai un'alleanza tra social-liberisti e liberali. Il social-liberismo è una componente del liberismo».
La sinistra radicale non sta meglio: dal suo punto di osservazione, Bertinotti vede più forme di resistenza che progetti alternativi. Con l'eccezione di Syriza, in Grecia. «Perché è nata in rapporto diretto con le mobilitazione No Troika». Ma è possibile che una forma simile a quella della coalizione della sinistra radicale greca prenda forma in Italia e da qui? «Oggi vedo molti annunci di futuro», dice l'ex segretario di Rifondazione ed ex presidente della Camera nel biennio del Prodi bis precisando che ha sempre mantenuto un certo riserbo da quando non ha responsabilità dirette di direzione politica. Spera, naturalmente, che quanto dirà, «non appaia ingeneroso». Ritiene, e non è una novità, che «le forze politiche esistenti siano segnate da altre stagioni, siano parte della sconfitta e che possano essere utili solo rimettendosi in discussione, assumendo le movenze dai movimenti come Occupy, mutuando la loro orizzontalità». Solo così si potrà «reimpiantare una nuova coalizione sociale e politica. E penso che il livello sociale debba venire prima della soggettività politica».
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Paolo Ferrero, erede di Bertinotti alla guida del Prc, il partito più numeroso al No Monti day, ha appena finito di dire dal palco improvvisato sul cassone di un camion, che questa crisi non è una carestia, che non c'è da tirare la cinghia, piuttosto si deve redistribuire la ricchezza. Avverte che si deve rottamare Monti con tutto il fiscal compact e che lui non ci sta ad appoggiare un cambio alla guida del governo che non preveda entrambe le cose.
Che farete adesso? «Si deve continuare a costruire il movimento di massa allargandolo». Il riferimento è alla Fiom. In piazza c'erano parecchi metalmeccanici, molti delegati, ma l'organizzazione più anomala del confederalismo sembra più timida di altre stagioni. «E poi bisogna riuscire a dare un'espressione politica a questo disagio sociale».
Già, come? «Intanto bisogna rompere il pensiero unico e l'ideologia della crisi, poi bisogna costruire un punto di riferimento antiliberista ma anche di critica della politica. E' un processo da fare, non vale alcuna autoproclamazione».
Si può dire che la Federazione della sinistra aveva questa ambizione, era più di un cartello elettorale e meno di un partito. Allora Ferrero disse di pensare a una coalizione stile sudamericano. Al No Monti day, però, c'è solo lui: Diliberto punta a sostenere Bersani, Patta e Salvi si sono defilati. Ma in piazza ci sono molti iscritti e anche dirigenti locali del Pdci. Esiste la Fds? «Il 3 novembre al consiglio nazionale proporremo la linea scaturita da questa manifestazione. Se non ci sarà accordo chiederemo un referendum tra gli iscritti».
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Franco Turigliatto, portavoce uscente di Sinistra critica, è esplicito sia nell'indicare la necessità di fornire, a chi ha preso parte a questa manifestazione, una «prospettiva di alternativa politica per le prossime elezioni» sia nel formulare un appello alla Fiom perché converga nella mobilitazione del 14 novembre in concomitanza con lo sciopero europeo già proclamato in Spagna, Grecia, Portogallo, Cipro, Malta, Francia.
Alleanze sociali e dimensione europea dopo che, per la prima volta da un anno, è stato possibile che «tanta gente decidesse di non restare a guadare la tv e scendere di nuovo in piazza». «Ora non bisogna tornare a casa - dice anche al microfono finale - bisogna trovare l'unità nelle cose quotidiane, sui posti di lavoro. Bisogna costruire resistenze collegandosi alla necessità di chiedere lo sciopero generale europeo per costruire quei rapporti di forza per rovesciare questa borghesia che vuole la nostra pelle».
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