venerdì 26 ottobre 2012

Più debito, più disoccupazione e recessione. Applausi per Monti e chi lo sostiene di Francesco Piobbichi


Non era semplice ma ci sono riusciti. Ieri l'eurostat ci ha comunicato che il debito pubblico nel nostro paese è passato nel giro di pochi mesi dal 120% al 126%. Il Governo di tecnici che doveva salvare l'Italia è riuscito in un'impresa non di poco conto, incardinare per i prossimi anni le politiche di questo paese sui binari dell'austerity, mandarlo in recessione, aumentare il debito pubblico e la disoccupazione. In poche parole Monti ha chiuso il cerchio, il tutto ovviamente senza uno sciopero generale. Non è un caso che i media di regime tacciano su questa notizia che di per se imporrebbe un ripensamento di quanto fatto fino ad ora. Le questioni reali come si vede non vengono assunte nella discussione pubblica, meglio parlare delle regole delle primarie, di Berlusconi che non si ricandida o di qualche scandalo. Dello scandalo più grande però - quello del completo fallimento del governo Monti - meglio non parlarne. Non è in queste righe che ricostruirò di chi sia la responsabilità dell'aver creato il buco nero del debito pubblico in questo paese ( per chi vuole approfondire consiglio  questo articolo che spiega bene come questo sia avvenuto e di chi paga la crisi ) quanto semmai cosa significa per il futuro una notizia del genere. Come in pochi sapranno la discussione europea sugli indici del nuovo patto di stabilità ( Euro Plus Pact –> Six pack –> Fiscal compact ) ha visto confrontarsi inizialmente due linee di tendenza, chi voleva utilizzare il criterio del debito pubblico come indice fondamentale per la disciplina di bilancio e chi invece voleva utilizzare il criterio del debito aggregato ( debito pubblico più debito privato). Con il secondo criterio l'Italia sarebbe stata un paese virtuoso, con i conti più a posto dopo la Germania, con il primo, quello che si è scelto, l'Italia è uno dei paesi che ha più problemi e siamo finiti nei Pigs. La scelta tra questi due criteri è stata una scelta arbitraria, politica, imposta dall'intransigenza della Merkel e dai rapporti di forza a lei favorevoli. Il nostro paese insomma sarà per i prossimi anni il “bottino” che le oligarchie finanziarie si spartiranno, spolpando finanziaria dopo finanziaria la ricchezza sociale prodotta in nome della disciplina di bilancio. Il Fiscal Compact ratificato recentemente dal nostro parlamento parla chiaro, oltre al pareggio di bilancio, a partire dal 2013 e per ogni anno a venire per i prossimi venti, un ventesimo della quota eccedente il 60% del rapporto Deficit / Pil deve essere utilizzato per abbattere il debito pubblico pena sanzioni economiche. Parliamo miliardo più miliardo meno di più di 45 miliardi l'anno. Molti leggendo questi numeri penseranno che queste scelte cosi pesanti non potranno essere fatte, anche i greci e gli spagnoli pensavano questo qualche anno fa. Colpisce che questi dati sul debito pubblico vengano pubblicati il giorno dopo in cui Giorgio Napolitano assicura dall'Olanda che l'Italia manterrà i suoi impegni e lo stesso giorno in cui Monti dice che il prossimo Governo dovrà comunque rispettare i vincoli dell'Europa. Colpisce perchè entrambi dicono una sostanziale verità, l'architettura istituzionale che è stata ratificata in questi mesi incardina le politiche del prossimo Governo su binari rigidi che porteranno il nostro paese all'interno di una spirale recessiva permanente. Leggere la parte finale della carta d'intenti del PD in cui si riafferma la fedeltà ai vincoli esterni non fa che confermare che il nocciolo di queste politiche non sarà minimamente scalfito nei prossimi anni. Hollande stesso, che molti ancora vedono come una speranza, ha recentemente approvato il Fiscal Compact, e i socialdemocratici della SPD (non la Merkel) non si sognano minimamente di mettere in discussione questo trattato. Nonostante queste evidenze c'è chi ancora nella sinistra italiana sostiene che si possa costruire l'alternativa andando al Governo con le forze fedeli al vincolo europeo. Nel migliore dei casi questa è una speranza religiosa, messianica, che non tiene minimamente in considerazione la potenza di chi abbiamo di fronte. La riduzione del danno che si vorrebbe far digerire alle classi popolari verrà da queste intesa come complicità diretta nell'abbattimento della propria condizione di vita nel giro di poco tempo. La sinistra che verrà si deve costruire invece su due elementi, analisi chiara dei rapporti di forza in campo e degli avversari contro cui lottare, e iniziativa politica comune sul piano continentale europeo per rifiutare i vincoli europei che questa maggioranza parlamentare ha ratificato. Se dobbiamo governare insomma dobbiamo farlo per gli interessi del popolo italiano, non per quelli delle oligarchie finanziarie. Ci vediamo in piazza sabato 27 ottobre

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