Si è conclusa la direzione regionale del Pd siciliano. Della
riunione – o meglio, della cronaca della riunione – che si è svolta a
Palermo, riferirà tra poco il nostro Gabriele Bonafede. Per ora possiamo
solo anticipare alcune indiscrezioni.
La
prima indiscrezione è che il Pd romano non avrebbe intenzione di
cedere: ha chiesto 11 posti nelle liste sui 32 parlamentari che
verrebbero eletto in caso di vittoria, e 11 dovrebbero essere le
poltrone. Anche se il segretario regionale del Pd siciliano, Giuseppe
Lupo, sarebbe convinto di cedere solo 5 o sei seggi ai ‘sodali’ del
segretario nazionale BersaniTra gli undici ‘paracadutati’ da Roma nelle liste del Pd siciliano ci sarebbero pure due siciliani. Ci sarebbe Carlo Vizzini,
già segretario nazionale del Psdi nella Prima Repubblica, poi per 18
anni con Berlusconi e, adesso, ‘recuperato dall’ala ‘consociativa’ del
Pd siciliano di estrazion e post comunista.
I lista andrebbe anche l’ex assessore regionale alla Salute, Massimo Russo,
esponente di punta del ‘lombardismo’, cioè del passato Governo
regionale retto da Raffaele Lombardo, oggi sotto processo per fatti di
mafia. Massimo Russo, con la sua politica sanitaria dissennata, ha fatto
perdere n sacco di voti al Pd siciliano (ricordiamo che, alle ultime
elezioni regionali, grazie all’alleanza del Pd siciliano con il Governo
Lombardo, voluta da Giuseppe Lumia e Antonello Cracolici, con la
‘benedizione’ del Pd romano, il Partito democratico ha perso circa 200
mila voti).
In pratica, nel Pd siciliano rischia di verificarsi il
paradosso: chi, nonostante i problemi creati dal Governo Lombardo, ha
mantenuto i legami con il territorio viene penalizzato con l’esclusione
dalle liste; mentre chi ha fatto perdere un sacco di voti al Partito
viene ‘premiato’ con un bel posto in lista. Una follia.
Di fatto, la sinistra siciliana sembra commissariata. Le primarie del
Pd siciliano – se Roma confermerà la richiesta di undici posti nelle
liste delle elezioni politiche nazionali del 24 febbraio – si
configurerebbero come una farsa.
Lo stesso discorso – se non peggio – vale per Sel di Nicki Vendola. Questo partito, che era nato per dare voce a una sinistra
‘plurale’, si sta confermando un Partito al ‘singolare’, dove a
comandare, in pratica, è un singolo: lo stesso Vendola. Che, su una
trentina di posti disponibili in tutta l’Italia, ne ha riservato ben 23
ai propri ‘amici’, tagliando fuori tutti quelli che non si riconoscono
nelle sue posizioni.
Ma se il Pd, alla fine, terrà (anche se non si escludono esiti
clamorosi, soprattutto in Sicilia), Sel di Vendola rischia di franare.
Se il Partito democratico è fatto anche di interessi forti, Sel, al
contrario, è un Partito fortemente ideologizzato: non a caso le
proteste, da parte di militanti incazzati come iene, dilagano in tutte
le regioni italiane.
Tant’è vero che, in pochi giorni, il Partito – nei sondaggi –
è passato dal 5,6 per cento al 4,2 per cento. Con una situazione che
peggiore di ora in ora.
Ai militanti di Sel – che provengono da tante aree della sinistra
italiana non legata al Pd (con la sola eccezione di Fabio Mussi che
Vendola e compagni hanno sacrificato) – la scelta di Vendola di legarsi
mani e piedi al Pd di Bersani non va proprio giù. Da qui le
contestazioni durissime che rischiano, tra qualche settimana, di far
precipitare il Partito a percentuali da prefisso telefonico.
I maligni sostengono che questa era proprio la strategia non tanto
del Pd di Bersani, quanto delle Massonerie finanziarie europee che
debbono imporre all’Italia una “soluzione greca”: tasse, imposte, Fiscal
compact, pareggio di bilancio e altri sacrifici. Facendo realizzare
questa ‘macelleria sociale’ al Pd che, però, vuole assolutamente essere
‘coperto’ a sinistra.
Da qui l’eliminazione fisica di Italia dei Valori di Di Pietro e
l’alleanza – che forse è qualcosa di diverso da una comune ‘alleanza’
politica – tra lo stesso Pd e Sel. Con l’obiettivo, ormai riuscito, di
appiattire il partito di Vendole sulle posizioni di Bersani. Operazione
perfettamente riuscita.
Fonte: http://www.linksicilia.it/
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