Il confronto sulla produttività tra governo e parti sociali, che
entra nel vivo in questi giorni, è un imbroglio a partire dal suo nome.
Non molto tempo fa il Cnel ha annunciato una ricerca che proprio per i
suoi risultati sorprendenti è stata subito rimossa. Sulla base di essa
il decennio più produttivo degli ultimi quaranta anni è stato quello tra
il 1970 e il 79. Sì proprio il decennio delle conquiste sindacali,
sociali, civili, della scala mobile, del posto fisso, degli orari e dei
contratti rigidi, dello stato sociale e della grande industria pubblica,
proprio quel decennio ha visto il nostro paese raggiungere il tasso di
produttività più alto di tutto l’occidente industriale. Da allora quel
tasso è progressivamente diminuito, con un andamento parallelo alla
regressione delle condizioni del mondo del lavoro. Fino agli anni
duemila, che con l’Euro e le privatizzazioni hanno visto un vero e
proprio tracollo sia del salario sia della produttività.
Onestà vorrebbe che un governo fatto di tecnici partisse dai dati
raccolti nella realtà e non dalla ideologia e dagli interessi dominanti.
Che ci si domandasse se questi risultati clamorosi non dimostrano che
tutte le politiche economiche liberiste di questi decenni hanno sì fatto
star peggio i lavoratori, ma hanno anche colpito la produttività.
Se non altro per pura onestà intellettuale il governo Monti dovrebbe
esplorare altre strade e invece ripropone l’ennesimo patto sociale con
al centro la riduzione dei salari e l’aumento degli orari. Che diventa
una scelta con tratti di follia pura in piena crisi recessiva. Ogni ora
di lavoro in più di chi resta occupato è uno spazio di lavoro in meno
per chi non lavora, la riduzione dei salari deprime ancora di più il
mercato interno, mentre la crisi mondiale chiude la via delle
esportazioni; e allora?
Allora onestà vorrebbe che il sistema delle imprese riconoscesse che
il problema principale del paese è l’assenza investimenti, di
innovazione e ricerca, di politiche pubbliche per l’occupazione e
soprattutto che bisogna invertire il processo di impoverimento del
lavoro.
Invece il rappresentante del sistema bancario vuole la riduzione del
costo del lavoro mentre le banche preparano migliaia di licenziamenti e
negano il credito a tutta la piccola impresa. La Confindustria vuole più
orario per fare come Marchionne, che ha ottenuto tutto quello che
voleva dal supersfruttamento del lavoro e intanto chiude le fabbriche.
Onestà vorrebbe che governo e grande padronato riconoscessero che la
loro ricetta trentennale è fallita e che purtroppo per loro devono
metter mano ai loro portafogli, invece che ai nostri.
Ma naturalmente questa onestà non esiste nelle classi dirigenti
dell’Italia di oggi. Esse vogliono solo conservare poteri e privilegi
accumulati negli ultimi trenta anni. Così si imbandisce il tavolo sulla
produttività, con il solo scopo di realizzare un altro dei punti
programmatici della lettera che Draghi e Trichet scrissero a Berlusconi
nell’agosto del 2001. Dopo la controriforma delle pensioni e quella del
lavoro che ha cancellato l’articolo 18, ora si tratta di dare il colpo
finale al contratto nazionale, rendendolo una inutile cornice entro la
quale le aziende fanno tutto quello che vogliono.
Monti finora è riuscito a portare uno scalpo di diritti e conquiste
del lavoro ad ogni vertice europeo e si è anche vantato di averlo
ottenuto senza incorrere in quella protesta sociale che percorre
l’Europa. Ora tenta di fare il colpo con il contratto nazionale.
Cgil Cisl e Uil, finora hanno condiviso o subìto le decisioni del
governo, anche le più feroci. Ora hanno l’occasione di un parziale
riscatto mandando a gambe all’aria il tavolo sulla produttività.
Eviteranno così un nuovo danno per chi lavora e daranno un primo vero
colpo alla politica d Monti. La Cgil, che convoca sabato in piazza chi
ha perso o sta per perdere il lavoro, ha una possibilità concreta di
mettere in discussione quell’agenda Monti che dichiara di voler
cambiare. Lo faccia dicendo no sulla produttività.
Intanto, noi che combattiamo la disonestà sociale del governo e delle
classi dirigenti rendiamo ancora più forte il No Monti Day il 27
ottobre.
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