I conti della previdenza sociale sono da sempre
tererno di manipolazione dei dati per dare poi in pasto all'opinione
pubblica un mostro da addentare.
Una buona disamina della situazione che campeggia oggi sui giornali, ma con l'cchio al nostro interesse, non a quello dei "servi della troika".
*****
Devo ammettere che il Ministro Fornero stavolta ha giocato al meglio le sue carte.
Una buona disamina della situazione che campeggia oggi sui giornali, ma con l'cchio al nostro interesse, non a quello dei "servi della troika".
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Devo ammettere che il Ministro Fornero stavolta ha giocato al meglio le sue carte.
Dopo la notizia lanciata dal Comitato di Indirizzo e Vigilanza
dell’Inps in merito al super buco dell’Inpdap, circa 6 miliardi
quest’anno e 7 per ciascuno dei prossimi due anni, il Ministro con la
lacrima ha visto realizzarsi un sogno.
I lavoratori privati se la prendono con i pubblici, i neo pensionati da 1.000 euro al mese danno addosso a quelli da 1.400 e nessuno si prende più la briga di comprendere quali sono le ragioni del buco, le radici fertili in cui affonda il disequilibrio.
L’Inpdap, Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica, era nato con il decreto legislativo numero 479 del 30 giugno 1994 ma non ha avuto da subito le competenze pensionistiche generali che aveva fino al dicembre 2011 quando è confluita in Inps con il decreto ironicamente definito Salva Italia.
Prima della assegnazione all’Inpdap delle competenze pensionistiche lo Stato incassava i contributi dai propri dipendenti e versava le pensioni ai propri ex dipendenti. Nel momento in cui le venne assegnata la competenza pensionistica all’Inpdap non venne però girato null’altro che la contribuzione da allora in poi, senza la costituzione di riserve matematiche per le quote di pensione già maturate e che lo stato non aveva accantonato da nessuna parte.
In sintesi all’Inpdap venne girata la posizione assicurativa di ciascun assicurato ma senza i relativi fondi, il dipendente pubblico che aveva maturato, poniamo ad esempio, 30 anni di servizio veniva girato all’Inpdap ‘nudo’, senza un soldo dei versamenti contributivi suoi e, soprattutto, senza un soldo della quota di contributi pensionistici a carico del proprio datore di lavoro, Stato o altro Ente pubblico.
Il ragionamento che venne fatto all’epoca fu suppergiù quello di non creare un esborso stratosferico per le casse dello Stato in una unica soluzione ma di coprire, anno per anno, il disavanzo che si sarebbe eventualmente venuto a creare dopo aver versato la quota di contribuzione a carico del datore di lavoro.
L’Inpdap incassava i contributi dei lavoratori, incassava i contributi dai datori di lavoro e la differenza la metteva lo Stato.
E’ questo il peccato originario da cui discende una grossa fetta dei mali di questo Ente, cui va certamente sommata quella differenziazione nelle modalità di accesso a pensione, rispetto al settore privato, che ha portato tanti arzilli vecchietti di 40 o 45 anni ad accedere a pensione.
C’è però da dire che il mondo del Pubblico Impiego negli ultimi anni è però cambiato profondamente, a cominciare dalla riduzione del numero stesso degli addetti, che è passato ad esempio dai 3,382 milioni del 2001 ai 3,253 del 2010, facendo segnare un meno 129mila unità, un segno meno pari a quasi il 4 per cento delle unità.
Il trend discendente è poi continuato anche nel corso del 2011 con un dato al 31 dicembre 2011 che vede “appena” 3.250.000 contribuenti iscritti alla gestione Inpdap a fronte di una enormità di assegni erogati, circa 2.785.000.
Va poi sottolineato come il fenomeno delle esternalizzazioni e della precarizzazione del rapporto di lavoro presso le Pubbliche amministrazioni ha avuto un perverso effetto nei confronti dell’Inpdap, quando infatti un Ente o un Ministero pensiona del personale lo manda a carico dell’Inpdap, se poi sostituisce il personale pensionato con lavoratori precari o esternalizza il servizio con un appalto assume personale che è non è contribuente Inpdap ma che versa i propri contributi, e quelli di competenza del datore di lavoro, all’Inps; aggravando di fatto gli squilibri dell’Inpdap.
Oltre a questo va ricordato che oggi le regole di pensionamento sono omogenee per tutti i lavoratori e sarebbe quindi saggio ricordarsi che è l’Esecutivo che potrebbe violare l’impegno preso anni fa di coprire il disavanzo dell’Inpdap, impegno preso per sottrarsi alla creazione ‘istantanea’ delle riserve matematiche, ed è quindi all’Esecutivo che andrebbe richiesto il versamento di alcune decine di miliardi di euro per la costituzione di adeguate riserve matematiche presso la gestione ex Inpdap.
Un incubo per un Governo in bolletta che si trasforma in sogno vedendo la facilità con cui ancora si riesce a spaccare il mondo del lavoro, con i lavoratori troppo concentrati a darsi addosso tra di loro per ricordarsi di lottare insieme per stare meglio.
Tutti e insieme.
da Dazebao News.it
I lavoratori privati se la prendono con i pubblici, i neo pensionati da 1.000 euro al mese danno addosso a quelli da 1.400 e nessuno si prende più la briga di comprendere quali sono le ragioni del buco, le radici fertili in cui affonda il disequilibrio.
L’Inpdap, Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica, era nato con il decreto legislativo numero 479 del 30 giugno 1994 ma non ha avuto da subito le competenze pensionistiche generali che aveva fino al dicembre 2011 quando è confluita in Inps con il decreto ironicamente definito Salva Italia.
Prima della assegnazione all’Inpdap delle competenze pensionistiche lo Stato incassava i contributi dai propri dipendenti e versava le pensioni ai propri ex dipendenti. Nel momento in cui le venne assegnata la competenza pensionistica all’Inpdap non venne però girato null’altro che la contribuzione da allora in poi, senza la costituzione di riserve matematiche per le quote di pensione già maturate e che lo stato non aveva accantonato da nessuna parte.
In sintesi all’Inpdap venne girata la posizione assicurativa di ciascun assicurato ma senza i relativi fondi, il dipendente pubblico che aveva maturato, poniamo ad esempio, 30 anni di servizio veniva girato all’Inpdap ‘nudo’, senza un soldo dei versamenti contributivi suoi e, soprattutto, senza un soldo della quota di contributi pensionistici a carico del proprio datore di lavoro, Stato o altro Ente pubblico.
Il ragionamento che venne fatto all’epoca fu suppergiù quello di non creare un esborso stratosferico per le casse dello Stato in una unica soluzione ma di coprire, anno per anno, il disavanzo che si sarebbe eventualmente venuto a creare dopo aver versato la quota di contribuzione a carico del datore di lavoro.
L’Inpdap incassava i contributi dei lavoratori, incassava i contributi dai datori di lavoro e la differenza la metteva lo Stato.
E’ questo il peccato originario da cui discende una grossa fetta dei mali di questo Ente, cui va certamente sommata quella differenziazione nelle modalità di accesso a pensione, rispetto al settore privato, che ha portato tanti arzilli vecchietti di 40 o 45 anni ad accedere a pensione.
C’è però da dire che il mondo del Pubblico Impiego negli ultimi anni è però cambiato profondamente, a cominciare dalla riduzione del numero stesso degli addetti, che è passato ad esempio dai 3,382 milioni del 2001 ai 3,253 del 2010, facendo segnare un meno 129mila unità, un segno meno pari a quasi il 4 per cento delle unità.
Il trend discendente è poi continuato anche nel corso del 2011 con un dato al 31 dicembre 2011 che vede “appena” 3.250.000 contribuenti iscritti alla gestione Inpdap a fronte di una enormità di assegni erogati, circa 2.785.000.
Va poi sottolineato come il fenomeno delle esternalizzazioni e della precarizzazione del rapporto di lavoro presso le Pubbliche amministrazioni ha avuto un perverso effetto nei confronti dell’Inpdap, quando infatti un Ente o un Ministero pensiona del personale lo manda a carico dell’Inpdap, se poi sostituisce il personale pensionato con lavoratori precari o esternalizza il servizio con un appalto assume personale che è non è contribuente Inpdap ma che versa i propri contributi, e quelli di competenza del datore di lavoro, all’Inps; aggravando di fatto gli squilibri dell’Inpdap.
Oltre a questo va ricordato che oggi le regole di pensionamento sono omogenee per tutti i lavoratori e sarebbe quindi saggio ricordarsi che è l’Esecutivo che potrebbe violare l’impegno preso anni fa di coprire il disavanzo dell’Inpdap, impegno preso per sottrarsi alla creazione ‘istantanea’ delle riserve matematiche, ed è quindi all’Esecutivo che andrebbe richiesto il versamento di alcune decine di miliardi di euro per la costituzione di adeguate riserve matematiche presso la gestione ex Inpdap.
Un incubo per un Governo in bolletta che si trasforma in sogno vedendo la facilità con cui ancora si riesce a spaccare il mondo del lavoro, con i lavoratori troppo concentrati a darsi addosso tra di loro per ricordarsi di lottare insieme per stare meglio.
Tutti e insieme.
da Dazebao News.it
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