In Germania, stavolta, saranno guai per i ricchi. La coalizione "Per una ripartizione equa" ha lanciato un'iniziativa, chiamando, non senza una certa audacia grammaticale, ad una giornata d'azione nazionale:
"C'è una via d'uscita alla crisi
economica e finanziaria: redistribuzione! Noi non vogliamo più soffrire
per la mancanza di prestazioni sociali e di servizi pubblici, e non
vogliamo che la grande maggioranza della popolazione venga penalizzata.
E' piuttosto la ricchezza eccessiva, e la speculazione finanziaria,
che deve essere tassata. Non si tratta solo di denaro, ma anche di
solidarietà concreta in questa nostra società."
In tal modo, la coalizione reclama un'imposta permanente sulle fortune eccessive dei contribuenti eccezionali, alfine di "finanziare in tutta equità la spesa pubblica e sociale indispensabile e ridurre il debito", senza dimenticare la "lotta
costante contro l'evasione fiscale ed i paradisi fiscali, ed in favore
della tassazione delle transazioni finanziarie, contro la speculazione
e contro la povertà, dappertutto nel mondo".
Alcune frazioni dell'SPD e dei Verdi hanno accolto con favore la
campagna e la sua concretizzazione, per mezzo dei loro rispettivi
programmi, che dovrebbero in line adi principio aumentare il tasso più
alto di imposizione fiscale, dal 42% al 49%. Deliberatamente,
dimenticano di ricordarsi che, negli anni '90, loro stessi hanno
abbassato tale tasso, che allora si attestava sul 53%.
Nella misura in cui, entrambi i partiti hanno anche sostenuto
l'iscrizione nella Costituzione, della regola del pareggio di bilancio,
e la politica di austerità di Angela Merkel, si può dire che non ci
sia molto da aspettarsi da un eventuale governo rosso-verde, nel 2013,
se non delle misure di ordine simbolico: si alzerà leggermente il tasso
massimo di imposta, per sottolineare che siamo "tutti insieme" sulla
stessa barca. In definitiva, la prossima riduzione delle pensioni
passerà meglio se i pensionati colpiti potranno dire che "quelli che
stanno in alto" versano anche loro le loro quote.
I membri di "Per una ripartizione equa", tuttavia, prendono la cosa
molto sul serio. Attac, per esempio, esige un prelievo eccezionale e
progressivo sul patrimonio dei milionari e dei miliardari, del quale
circa il 50% dovrà essere sequestrato e versato nelle casse pubbliche.
Quattromila miliardi di euro potrebbero così devoluti a livello
europeo. Per il resto, la ricetta che dovrebbe salvarci dalla crisi
attuale sembra riassumersi in un ritorno agli anni '70, a quel sistema
di ripartizione del reddito e della ricchezza, ed agli strumenti di
politica fiscale corrispondenti. Ridateci il nostro capitalismo renano!
La comprensione delle crisi che sottende queste rivendicazioni potrebbe
essere ancora più semplicistica di quella, fondata sul modello
neoclassico della "casalinga di Voghera", che la maggior parte dei
tedeschi condivide con il proprio cancelliere: dal momento che "tutti
insieme", e tutti particolarmente nei "nostri paesi del sud", abbiamo
vissuto al di sopra dei nostri mezzi, ed ora è tempo di risparmiare,
risparmiare e ancora risparmiare. Che questa politica non porti ad altro
che ad una crisi più profonda, è cosa talmente di dominio pubblico,
dopo il decreto legge d'urgenza di Brüning, che è inutile starlo a
ricordare.
Quanto al modello keynesiano di sinistra rappresentato da Attac e
compagnia, esso considera la ineguale ripartizione del reddito e della
ricchezza come la causa - e in alcuni casi la conseguenza - dei
fenomeni di crisi: il neoliberismo ci avrebbe deviato dalla retta via,
quella del "capitalismo buono", e portato alla crisi.
In contrasto con questi modelli semplicistici, c'è la teoria delle
crisi formulata da Robert Kurz a partire dal 1986. Come aveva già
stabilito Marx, la contraddizione nel processo del capitale fa sì che,
da un lato, la sua ricchezza astratta ha per unica sorgente il lavoro,
mentre dall'altro lato, nella misura in cui la produttività aumenta, la
forza-lavoro umana diventa sempre più svantaggiata ed espulsa dal
processo di produzione. Per Marx, tale contraddizione è suscettibile di
far saltare la base del capitale. Da certe evidenze, a partire dagli
anni '70, con l'utilizzo della microelettronica - i cui potenziali ai
fini dell'automazione sono, del resto, assai lontani dall'essere
esauriti - il capitalismo sia entrato in questa fase terminale che la
teoria marxiana aveva anticipato.
La serie di crisi finanziarie che abbiamo conosciuto in questi ultimi
trent'anni e che, con il crack del 2008, ha assunto per la prima volta
una dimensione planetaria, ha il suo punto di partenza in quella che è
la "stagflazione" degli anni '70, cioè la coincidenza della stagnazione
dell'economia mondiale con dei tassi di inflazione elevati, che
possono arrivare fino a due cifre. La politica economica keynesiana, il
cui dominio, in quest'epoca, non è ancora stato messo in discussione,
può certo attenuare i fenomeni di crisi, ma non è più in grado di
generare una nuova ondata di accumulazione. La conseguenza è stata che
ha ceduto il passo al neoliberismo.
La risposta di questi, a fronte dell'impossibilità di produrre un
plus-valore reale in quantità sufficiente, consiste, in breve, nel
garantire i profitti con altri mezzi: in primo luogo, l'aumento
crescente della disoccupazione permette di esercitare una pressione sui
salari; secondo, in virtù di quella che si chiama una politica
economica "basata sull'offerta", si diminuiscono le imposte sulle
società e sui redditi da capitale; terzo, in mancanza di reali
possibilità di investimento, un cospicuo numero di imprese si rivolgono
verso il credito, contribuendo così, col loro capitale finanziario, a
generare delle bolle che possano dare in questo modo una parvenza di
equilibrio ai loro bilanci. La Siemens, per esempio, dagli anni '90 si è
vista ironicamente qualificare come una banca, con annesso un
dipartimento elettronico.
Da un punto di vista fenomenologico, Attac e gli altri hanno
completamente ragione. Da un lato, i salari reali sono effettivamente
scesi. D'altra parte, abbiamo visto in trent'anni - e anche questa è
una conseguenza della deregolazione del settore finanziario -
moltiplicarsi per venti la quantità di attività finanziarie e
immobiliari a livello mondiale, senza che si possano collegare tali
attività ad un qualche valore reale.
Il problema sta proprio qui: queste attività sono in maggior parte
fittizie, sia che provengano da bolle finanziarie, sia che consistano
in crediti dubbi. Ogni tentativo, in grande scala, volto a trasmutarle
in ricchezza materiale porta alla loro svalutazione immediata.
Sarebbe questo che, all'occorrenza, provocherebbe il
progetto di Attac, di reindirizzare la metà di queste risorse verso le
casse dello Stato. L'idea che ci sarebbero soldi a bizzeffe, e che si
tratterebbe semplicemente di ripartire diversamente, si rivela un
progetto decisamente un po' troppo semplicistico, equivalente a quello
che dice che basterebbe stampare la quantità necessaria di denaro.
Anche l'appello ad un ritorno, in materia di ripartizione dei
redditi e della ricchezza, al "buon capitalismo" degli anni '70, non è
meno irrealistico. La rivoluzione neoliberale non è stato un semplice
errore ma una risposta intracapitalista alla crisi degli anni '70 ed al
fallimento del keynesismo. Con questo stratagemma non si supera la
crisi, ci si accontenta semplicemente di rimandarla e, così facendo, di
aggravarla. Il ritorno al punto di partenza è impossibile - tanto più
che le condizioni di produzione di plus-valore si sono ancora
deteriorate a causa del livello di produttività nel frattempo raggiunto.
Ciascuno ha il diritto di esprimere i propri desideri. Però, al di
fuori dei compleanni dei bambini, si dovrebbe chiarire sotto quali
condizioni essi possono essere realizzati. E per quanto riguarda il
vecchio e pio desiderio del "Per una ripartizione equa", una sola cosa è
sicura: la sua realizzazione non è più possibile sotto le condizioni
del capitalismo.
(Apparso su Konkret, settembre 2012)