L’Europa è in rivolta. Nelle scorse settimane, ogni giorno in una
città o nell’altra del continente abbiamo assistito a scioperi e
manifestazioni in una forma o nell’altra.
Questa settimana ha visto uno sciopero generale in Grecia, massicce
proteste degli indignados in Spagna, scioperi dei trasporti pubblici in
Portogallo e in Spagna e proteste e scioperi dei lavoratori
dell’alluminio, dell’acciaio e del settore pubblico in Italia.
Oggi proteste di massa scoppieranno di nuovo in Portogallo mentre il
movimento degli indignados che ha portato nelle strade del paese un
milione di persone il 15 settembre – lo stesso giorno c’è stata una
massiccia affluenza nelle piazze della Spagna – aderisce all’iniziativa
indetta più grande sindacato del paese, il CGTP.
E non si tratta soltanto del sud del continente. Domenica
dimostrazioni di massa sono attese in Francia, con la richiesta di un
referendum sul Fiscal Compact della UE, meglio noto come il trattato
dell’”austerità permanente”.
La rabbia popolare si è concentrata sulla “follia europea
dell’austerità”, come l’ha definita Paul Krugman nel suo più recente
articolo suo New York Times.
Ma riflette anche un più diffuso rifiuto di una élite politica che
sta riportando al passato i diritti democratici fondamentali, dalle
protezioni al lavoro al sostegno assistenziale alle conquiste delle
donne e dei gruppi di minoranza, privatizzando e tagliando i servizi
pubblici.
Un mucchio di dati economici ha confermato in questa settimana ciò
che è palesemente evidente a chiunque non sia criminalmente folle, o non
sia un economista: l’austerità non funziona. La fiducia delle imprese
nell’eurozona è scesa a un minimo triennale e numerosi altri indicatori
del continente puntano alla recessione.
Il dato più incriminante per gli architetti dell’austerità è che i
prestiti si stanno restringendo e la disoccupazione sta crescendo in
Germania, che sino ad ora era un pilastro della crescita nel blocco
economico e monetario delle 17 nazioni.
L’economia dell’eurozona è stagnata nei primi tre mesi dell’anno e si
è contratta dello 0,2% nel periodo aprile-giugno. Gli economisti ora si
attendono un’altra contrazione dell’economia nel terzo trimestre. La
Banca Centrale Europea nel frattempo ha diffuso dati che hanno mostrato
che i prestiti alle famiglie e alle imprese sono scesi in agosto più del
previsto.
Tuttavia la follia continua. Questa settimana la Spagna, la Grecia e
la Francia hanno perseverato con nuovi programmi di tagli alla spesa.
In Grecia almeno 11,5 miliardi di Euro saranno tagliati dal bilancio
nazionale. In Spagna ci saranno altri 20 miliardi di euro di tagli. In
Francia il governo del presidente Francois Hollande sta perseguendo un
pacchetto di tagli da 30 miliardi di euro. Cosa significano, in pratica,
questi numeri enormi?
Un accordo su un pacchetto di tagli cui si approssima il governo
greco vedrà tagli ai salari, un aumento dell’età di pensionamento da 65 a
67 anni, tagli alle pensioni, allungamento del periodo di contribuzione
per ottenere la pensione minima, tagli ai sussidi per i disabili e i
malati, tagli ai sussidi sanitari, tagli alle indennità di
disoccupazione per i lavoratori temporaneamente licenziati
dall’industria edile, da quella alberghiera e di altri settori, nuovi
tagli alla spesa degli ospedali e una riduzione media del 12% dei salari
dei militari, dei funzionari di polizia e dei giudici.
In Spagna il “bilancio della depressione”, come lo chiama la
portavoce economica socialista, Inmaculada Rodriguez Pinero, vedrà
congelati i salari di milioni di dipendenti del settore pubblico per il
terzo anno di fila e tagli alle pensioni in termini reali.
E non ci sarà sollievo per i servizi sanitari, le scuole e i servizi
sociali che stanno collassando. Anche la cultura riceverà un duro colpo,
con tagli che colpiranno istituzioni rinomate come il museo del Prado e
della Reina Sofia, un’altra mossa autolesionista che senza dubbio
colpirà il turismo.
Già più di un milione di spagnoli fa la coda alle porte delle
associazioni di beneficenza per sostegno alimentare e di altro genere.
Il numero si è triplicato dal 2007, secondo la Caritas. E non si tratta
solo del sud. In Francia la povertà è in ascesa, particolarmente tra i
giovani, studenti compresi.
Si avvertono anche gli effetti della montante miseria sulla salute.
Un quarto dei portoghesi soffre ora di depressione, ha rilevato un nuovo
studio.
La perversità dell’austerità, che sta distruggendo la capacità e il
desiderio di spendere di circa 300 milioni di persone, è stata
evidenziata di nuovo in questa settimana. Nonostante tutti i tagli
risulta che la spesa spagnola è in realtà destinata a crescere. E’ a
causa di una salita alle stelle del conto dell’assistenza sociale per
pagare le indennità ai disoccupati e gli interessi sul debito sovrano
che sono stati spinti nuovamente dagli speculatori internazionali.
Questi specialisti delle analisi al computer hanno ragione da un solo
punto di vista: che senza crescita le finanze di un paese non potranno
che andare di male in peggio. Ciò che qualcosa che il nuovo meccanismo
per “salvare” gli stati dell’eurozona in lotta, il Meccanismo Europeo di
Stabilità da 500 miliardi di euro che fa parte del Fiscal Compact UE,
non risolverà. Al contrario. Esso li manderà ancora più a fondo. Il
fondo inghiottirà circa un quarto dei tagli che la Spagna ha appena
introdotto nel suo bilancio al fine di salvarsi, e circa un terzo di
quelli programmati in Portogallo.
La realtà è che la più recente tornata di mosse centralistiche della
UE, dall’unione bancaria al Fiscal Compact, che Hollande vuole far
ratificare il mese prossimo dal parlamento – anche a costo di una
scissione del suo Partito Socialista – sono basate su un’enorme
menzogna: che la maggiore integrazione e la rinuncia alla sovranità
nazionale siano essenziali per risolvere i problemi economici e
finanziari del continente.
Spagna, Italia e Grecia non hanno bisogno di un salvataggio
internazionale. Le loro classi dirigenti hanno più di quanto serve per
salvare le loro nazioni. In Italia la ricchezza privata si attesta a 8,6
trilioni di euro, secondo la Banca d’Italia, più di quattro volte la
montagna debito pubblico del paese pari a circa 2 trilioni di euro. Una
tassa moderata a carico dell’un per cento al vertice potrebbe portare
sino a 15 miliardi di euro nelle casse dello stato. E ci sono le
centinaia di miliardi di tasse evase, agevolate dalle amnistie fiscali e
dai paradisi fiscali su cui i governi, privati di liquidità, del blocco
monetario amano dibattere ma che non chiudono mai.
Persino il Portogallo, la nazione europea più povera, più tirarsi
fuori dalla fossa se lo vuole. Il governo ha suscitato indignazione
proponendo di rapinare i redditi dei lavoratori con un forte aumento
delle ritenute previdenziali, una misura ora ritirata dopo proteste di
massa all’inizio del mese.
Il governo ha necessità di risparmiare 4,9 miliardi di euro nel 2013.
La confederazione sindacale CGTP sa come riempire quel buco e, in
realtà, superare tale obiettivo. Le sue proposte di bilancio rivelate la
settimana scorsa raccoglierebbero 6 miliardi di euro: una nuova tassa
dello 0,25% sulle transazioni finanziarie (2 miliardi), una sovrattassa
del 10% sui dividendi applicata agli azionisti maggiori (1,7 miliardi),
un aumento al 33,3% della tassa sulle imprese per quelle grandi, con un
giro d’affari superiore a 1,2 milioni di euro, da introdurre in modo
progressivo (1,1 miliardi) e un piano per combattere le frodi e
l’evasione impiegando un numero maggiore di ispettori, fissando
obiettivi per ridurre l’economia sommersa e ampliando la base fiscale
(1,2 miliardi).
Ma tale piano significherebbe naturalmente che l’un-per-cento
portoghese dovrebbe pagare la sua quota. Ci sono dozzine di altre
proposte in circolazione che potrebbero far fronte all’onere del debito e
mettere a disposizione una quantità di fondi per la crescita,
l’occupazione e i servizi pubblici senza svuotare le tasche dei
lavoratori.
Si prenda di nuovo l’Italia. Missioni internazionali, come quella in
Afghanistan, sono condotte nel nome della pace e dell’umanità ma si
traducono invece in morte e distruzione. Ritirarsi da questi impegni
salverebbe non soltanto vite all’estero, ma farebbe risparmiare agli
italiani la bella somma di 616 milioni di euro, secondo il gruppo
attivista ‘Sbilanciamoci!’.
Ma tali soluzioni non si adattano alle priorità del gruppo attuale
dei dirigenti della UE. L’obiettivo numero uno consiste nel proteggere i
miliardari, le imprese e le banche. E così, in mezzo alla povertà per
la gente comune, proseguono i piani per firmare assegni in bianco, tra
cui il salvataggio da 100 miliardi di euro degli spericolati banchieri
spagnoli, finanziato da milioni di spagnoli comuni e dai loro fratelli e
sorelle d’Europa.
I sondaggi nella UE mostrano un rifiuto popolare crescente dei
governi europei e delle loro politiche neoliberali. In Spagna quasi dei
quarti degli spagnoli disapprovano la gestione dell’economia di Mariano
Rajoy.
Cosa più grave per i sostenitori dell’euro, una maggioranza in una
nazione che è stata un tempo un bastione dell’Unione Europea ora pensa
che la moneta unica sia un male per l’economia. E se non funziona per
quella, a cos’altro serve?
Una domanda senza dubbio nella mente di moltissimi in un’Europa ora in rivolta aperta.
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Tom Gill ha un blog Revolting Europe. Questo articolo è apparso in origine su The Morning Star.
Tom Gill ha un blog Revolting Europe. Questo articolo è apparso in origine su The Morning Star.
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