lunedì 8 ottobre 2012

I popoli d’Europa ne hanno avuto abbastanza



L’Europa è in rivolta. Nelle scorse settimane, ogni giorno in una città o nell’altra del continente abbiamo assistito a scioperi e manifestazioni in una forma o nell’altra.
Questa settimana ha visto uno sciopero generale in Grecia, massicce proteste degli indignados in Spagna, scioperi dei trasporti pubblici in Portogallo e in Spagna e proteste e scioperi dei lavoratori dell’alluminio, dell’acciaio e del settore pubblico in Italia.
Oggi proteste di massa scoppieranno di nuovo in Portogallo mentre il movimento degli indignados che ha portato nelle strade del paese un milione di persone il 15 settembre – lo stesso giorno c’è stata una massiccia affluenza nelle piazze della Spagna – aderisce all’iniziativa indetta più grande sindacato del paese, il CGTP.
E non si tratta soltanto del sud del continente. Domenica dimostrazioni di massa sono attese in Francia, con la richiesta di un referendum sul Fiscal Compact della UE, meglio noto come il trattato dell’”austerità permanente”.
La rabbia popolare si è concentrata sulla “follia europea dell’austerità”, come l’ha definita Paul Krugman nel suo più recente articolo suo New York Times.
Ma riflette anche un più diffuso rifiuto di una élite politica che sta riportando al passato i diritti democratici fondamentali, dalle protezioni al lavoro al sostegno assistenziale alle conquiste delle donne e dei gruppi di minoranza, privatizzando e tagliando i servizi pubblici.
Un mucchio di dati economici ha confermato in questa settimana ciò che è palesemente evidente a chiunque non sia criminalmente folle, o non sia un economista: l’austerità non funziona. La fiducia delle imprese nell’eurozona è scesa a un minimo triennale e numerosi altri indicatori del continente puntano alla recessione.
Il dato più incriminante per gli architetti dell’austerità è che i prestiti si stanno restringendo e la disoccupazione sta crescendo in Germania, che sino ad ora era un pilastro della crescita nel blocco economico e monetario delle 17 nazioni.
L’economia dell’eurozona è stagnata nei primi tre mesi dell’anno e si è contratta dello 0,2% nel periodo aprile-giugno. Gli economisti ora si attendono un’altra contrazione dell’economia nel terzo trimestre. La Banca Centrale Europea nel frattempo ha diffuso dati che hanno mostrato che i prestiti alle famiglie e alle imprese sono scesi in agosto più del previsto.
Tuttavia la follia continua. Questa settimana la Spagna, la Grecia e la Francia hanno perseverato con nuovi programmi di tagli alla spesa.
In Grecia almeno 11,5 miliardi di Euro saranno tagliati dal bilancio nazionale. In Spagna ci saranno altri 20 miliardi di euro di tagli. In Francia il governo del presidente Francois Hollande sta perseguendo un pacchetto di tagli da 30 miliardi di euro. Cosa significano, in pratica, questi numeri enormi?
Un accordo su un pacchetto di tagli cui si approssima il governo greco vedrà tagli ai salari, un aumento dell’età di pensionamento da 65 a 67 anni, tagli alle pensioni, allungamento del periodo di contribuzione per ottenere la pensione minima, tagli ai sussidi per i disabili e i malati, tagli ai sussidi sanitari, tagli alle indennità di disoccupazione per i lavoratori temporaneamente licenziati dall’industria edile, da quella alberghiera e di altri settori, nuovi tagli alla spesa degli ospedali e una riduzione media del 12% dei salari dei militari, dei funzionari di polizia e dei giudici.
In Spagna il “bilancio della depressione”, come lo chiama la portavoce economica socialista, Inmaculada Rodriguez Pinero, vedrà congelati i salari di milioni di dipendenti del settore pubblico per il terzo anno di fila e tagli alle pensioni in termini reali.
E non ci sarà sollievo per i servizi sanitari, le scuole e i servizi sociali che stanno collassando. Anche la cultura riceverà un duro colpo, con tagli che colpiranno istituzioni rinomate come il museo del Prado e della Reina Sofia, un’altra mossa autolesionista che senza dubbio colpirà il turismo.
Già più di un milione di spagnoli fa la coda alle porte delle associazioni di beneficenza per sostegno alimentare e di altro genere. Il numero si è triplicato dal 2007, secondo la Caritas. E non si tratta solo del sud. In Francia la povertà è in ascesa, particolarmente tra i giovani, studenti compresi.
Si avvertono anche gli effetti della montante miseria sulla salute. Un quarto dei portoghesi soffre ora di depressione, ha rilevato un nuovo studio.
La perversità dell’austerità, che sta distruggendo la capacità e il desiderio di spendere di circa 300 milioni di persone, è stata evidenziata di nuovo in questa settimana. Nonostante tutti i tagli risulta che la spesa spagnola è in realtà destinata a crescere. E’ a causa di una salita alle stelle del conto dell’assistenza sociale per pagare le indennità ai disoccupati e gli interessi sul debito sovrano che sono stati spinti nuovamente dagli speculatori internazionali.
Questi specialisti delle analisi al computer hanno ragione da un solo punto di vista: che senza crescita le finanze di un paese non potranno che andare di male in peggio. Ciò che qualcosa che il nuovo meccanismo per “salvare” gli stati dell’eurozona in lotta, il Meccanismo Europeo di Stabilità da 500 miliardi di euro che fa parte del Fiscal Compact UE, non risolverà. Al contrario. Esso li manderà ancora più a fondo. Il fondo inghiottirà circa un quarto dei tagli che la Spagna ha appena introdotto nel suo bilancio al fine di salvarsi, e circa un terzo di quelli programmati in Portogallo.
La realtà è che la più recente tornata di mosse centralistiche della UE, dall’unione bancaria al Fiscal Compact, che Hollande vuole far ratificare il mese prossimo dal parlamento – anche a costo di una scissione del suo Partito Socialista – sono basate su un’enorme menzogna: che la maggiore integrazione e la rinuncia alla sovranità nazionale siano essenziali per risolvere i problemi economici e finanziari del continente.
Spagna, Italia e Grecia non hanno bisogno di un salvataggio internazionale. Le loro classi dirigenti hanno più di quanto serve per salvare le loro nazioni. In Italia la ricchezza privata si attesta a 8,6 trilioni di euro, secondo la Banca d’Italia, più di quattro volte la montagna debito pubblico del paese pari a circa 2 trilioni di euro. Una tassa moderata a carico dell’un per cento al vertice potrebbe portare sino a 15 miliardi di euro nelle casse dello stato. E ci sono le centinaia di miliardi di tasse evase, agevolate dalle amnistie fiscali e dai paradisi fiscali su cui i governi, privati di liquidità, del blocco monetario amano dibattere ma che non chiudono mai.
Persino il Portogallo, la nazione europea più povera, più tirarsi fuori dalla fossa se lo vuole. Il governo ha suscitato indignazione proponendo di rapinare i redditi dei lavoratori con un forte aumento delle ritenute previdenziali, una misura ora ritirata dopo proteste di massa all’inizio del mese.
Il governo ha necessità di risparmiare 4,9 miliardi di euro nel 2013. La confederazione sindacale CGTP sa come riempire quel buco e, in realtà, superare tale obiettivo. Le sue proposte di bilancio rivelate la settimana scorsa raccoglierebbero 6 miliardi di euro: una nuova tassa dello 0,25% sulle transazioni finanziarie (2 miliardi), una sovrattassa del 10% sui dividendi applicata agli azionisti maggiori (1,7 miliardi), un aumento al 33,3% della tassa sulle imprese per quelle grandi, con un giro d’affari superiore a 1,2 milioni di euro, da introdurre in modo progressivo (1,1 miliardi) e un piano per combattere le frodi e l’evasione impiegando un numero maggiore di ispettori, fissando obiettivi per ridurre l’economia sommersa e ampliando la base fiscale (1,2 miliardi).
Ma tale piano significherebbe naturalmente che l’un-per-cento portoghese dovrebbe pagare la sua quota. Ci sono dozzine di altre proposte in circolazione che potrebbero far fronte all’onere del debito e mettere a disposizione una quantità di fondi per la crescita, l’occupazione e i servizi pubblici senza svuotare le tasche dei lavoratori.
Si prenda di nuovo l’Italia. Missioni internazionali, come quella in Afghanistan, sono condotte nel nome della pace e dell’umanità ma si traducono invece in morte e distruzione. Ritirarsi da questi impegni salverebbe non soltanto vite all’estero, ma farebbe risparmiare agli italiani la bella somma di 616 milioni di euro, secondo il gruppo attivista ‘Sbilanciamoci!’.
Ma tali soluzioni non si adattano alle priorità del gruppo attuale dei dirigenti della UE. L’obiettivo numero uno consiste nel proteggere i miliardari, le imprese e le banche. E così, in mezzo alla povertà per la gente comune, proseguono i piani per firmare assegni in bianco, tra cui il salvataggio da 100 miliardi di euro degli spericolati banchieri spagnoli, finanziato da milioni di spagnoli comuni e dai loro fratelli e sorelle d’Europa.
I sondaggi nella UE mostrano un rifiuto popolare crescente dei governi europei e delle loro politiche neoliberali. In Spagna quasi dei quarti degli spagnoli disapprovano la gestione dell’economia di Mariano Rajoy.
Cosa più grave per i sostenitori dell’euro, una maggioranza in una nazione che è stata un tempo un bastione dell’Unione Europea ora pensa che la moneta unica sia un male per l’economia. E se non funziona per quella, a cos’altro serve?
Una domanda senza dubbio nella mente di moltissimi in un’Europa ora in rivolta aperta.
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Tom Gill ha un blog Revolting Europe. Questo articolo è apparso in origine su The Morning Star.

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