lunedì 8 ottobre 2012

Così il governismo ha ucciso la democrazia di Piero Sansonetti, Gli Altri

Il centrosinistra sta preparando le primarie. Gli osservatori danno una grande importanza alle primarie del centrosinistra che dovrebbero scegliere – tra il giovane Renzi, il vecchio Bersani  e Vendola – il candidato premier. Dicono che dall’esito di queste primarie dipende il futuro assetto della sinistra italiana. E però tutti sanno che quasi certamente chi vincerà le primarie non sarà premier perché il premier – così hanno deciso Europa e Stati Uniti – resterà Mario Monti.
In primavera poi si voterà per le elezioni generali, non sappiamo con quale legge elettorale.  Sappiamo però due cose, in aperto contrasto tra loro: sappiamo che il centrosinistra vincerà queste elezioni, perché i sondaggi gli assegnano tra i 10 e i 20 punti di vantaggio sul centrodestra e sul terzo incomodo “grillino” (un vantaggio mai visto alla vigilia di una tornata elettorale), ma sappiamo anche che il centrodestra non perderà, perché il nuovo governo sarà un governo di coalizione destra-sinistra, a guida – come già detto – tecnocratica montiana.
Fin qui siamo alla nota politica, alla ricostruzione di scenari pochissimo incerti. Da tutto ciò, però, nasce una domanda quasi filosofica: ma votare è ancora necessario? Cioè: il voto – dunque l’atto essenziale del processo democratico – ha ancora una sua funzione esclusiva nel determinare la formazione governo, oppure è diventato poco più che un rito?
Potremmo rendere ancora più drammatica la domanda: la democrazia esiste ancora, oppure è morta, oppure è sospesa, oppure – diciamo così – ha perso il suo ruolo centrale rispetto ai processi di formazione del potere?
La prima ipotesi – che la democrazia esita ancora in tutta la sua pienezza – francamente mi sembra da escludere. Ho l’impressione che nessuno più la sostenga. Il dubbio è sulle altre tre ipotesi. Dubbio legittimo, perché probabilmente le sorti della democrazia ancora non sono decise, e però sono fortissimamente a rischio. Da che dipende la possibilità che la democrazia non muoia e torni a diventare quantomeno una speranza? Penso che dipenda, più o meno, da noi. Cioè dalla capacità di forze democratiche, diventate ormai minoranza, di porre la questione democratica come questione essenziale e come grande emergenza degli anni dieci. Se invece tutte le forze “democratiche” decideranno che per un certo periodo la questione democratica non è la questione decisiva, e che conta di più come uscire dalla crisi, come salvare i conti pubblici, come ridare saldezza all’establishment e alla struttura portante del capitalismo italiano, probabilmente sarà poi troppo tardi per riaprire i processi della democrazia. Perché se l’uscita stabile dalla crisi, e quindi la definizione di nuovi assetti, avverrà attraverso il passaggio decisivo della rinuncia alla democrazia politica, è chiaro che questa rinuncia entrerà nel Dna dei nuovi assetti politici e dunque la rinuncia alla democrazia politica diventerà definitiva e decisiva perla stabilità dei nuovi poteri vincenti e dunque dello Stato.
Per questo, paradossalmente, il voto non è inutile. Non è inutile perché c’è. Non è inutile perché ancora, attraverso il voto, potremmo influenzare, certo non la formazione del prossimo governo, ma i rapporti di forza nel nuovo parlamento.
Il nostro problema è che la discesa lungo la quale, negli ultimi quasi vent’anni, il concetto di democrazia si è scapicollato e rotto la testaq, è stata voluta e realizzata dalle forze democratiche e in gran parte dal centrosinistra. La discesa inizia esattamente nel momento nel quale, soprattutto a sinistra, si stabilisce che la vera democrazia è la cosiddetta democrazia governante, e una democrazia che non sia governante è inutile, vecchia e ottocentesca (siamo all’inizio degli anni novanta). Mi ricordo un famoso congresso dei Ds, a Lingotto (segretario Veltroni, premier D’Alema: siamo ormai alla fine degli anni novanta) del quale la parola d’ordine era: “democrazia di mandato”. Che vuol dire? Semplicemente che lo scopo della democrazia non è più garantire la rappresentanza e determinare il potere legislativo, ma è invece quello di scegliere il potere esecutivo e di affidare poi ad esso il compito di rappresentare il paese, di assumere ogni decisione,  e la possibilità piena e senza vincoli di governare la nazione. La “democrazia di “ è – appunto – la fine de i vincoli e la morte del potere rappresentativo. Da quel momento in Itaalia il Parlamento sparisce, non è più il luogo della battaglia politica, dei progetti, del confronto, del compromesso, della costruzione delle idee per futuro, ma è solo – scusate se esagero appena un po’ nella citazione, ma viene bene… – “un bivacco dei manipoli” del governo di turno.E’ per via di questa china presa dalla nostra cultura politica che oggi ci troviamo di fronte al rischio dell’estinzione della democrazia. Il fatto che già si conosca il nome del premier prima delle elezioni non è la cosa più grave (anche nella prima repubblica si sapeva, prima di votare, che avrebbe governato la Dc: ma non si sapeva con quale Parlamento, con quanta opposizione, e dunque su quale linea politica): la cosa più grave e che noi siamo arrivati al “montismo” dopo la resa della politica, del sistema dei partiti, e dopo l’eliminazione del Parlamento e del potere rappresentativo. Questa è un’emergenza o no? Il nostro futuro, il fatto che in Italia vinca la democrazia o il regime, dipende dalla risposta a questa domanda

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