lunedì 8 ottobre 2012

"Il cambiamento in Fiom c'è. Chi ama questo sindacato non taccia" di Giorgio Cremaschi

In Fiom non è successo niente su cui valga la pena di soffermarsi e di riflettere? Un segretario nazionale è stato dimissionato dalla segreteria perché il suo dissenso è stato giudicato incompatibile con il segretario generale e quindi con l'incarico. Poco più della metà del comitato centrale dell'organizzazione ha eletto una nuova segreteria, più ampia della precedente e preventivamente omogenea al segretario generale.
Il diritto al dissenso è stato così equamente bilanciato dal diritto a cacciare chi dissente. Ma pare non sia successo niente. Una crisi nel gruppo dirigente di una bocciofila avrebbe suscitato più rumore. Il solo giornale che ha commentato , in anticipo e positivamente, la vicenda è stato il Sole 24 Ore. Poi silenzio, salvo una notiziola sul Manifesto che alterava la realtà. La realtà? Un lusso che non ci si può permettere di affermare ed approfondire.
Ecco allora che la vicenda della destituzione di Sergio Bellavita viene trasformata in un episodio increscioso di cui è meglio tacere. La politica non c'entra, sono altre le questioni, slealtà, ambizioni personali, forse peggio. Il fatto non sussiste.
In questi anni la Fiom è stata il simbolo e il riferimento di chi non si arrende. In Fiat ha detto no al ricatto di Marchionne e ha pagato assieme ai lavoratori un prezzo altissimo. Non ha scelto di salvare l'organizzazione anche quando i lavoratori perdevano tutto. Ha perso con loro non firmando e per questo è ancora viva.(...)
In un paese disabituato al rigore, quello della giustizia e della moralità non quello di Monti a favore delle banche, il no della Fiom ha coperto un vuoto politico enorme ed è diventato una cartina di tornasole della buona politica. Questo però ha avuto un doppio prezzo. La Fiom è diventata una specie di acquasantiera per una sinistra confusa e subalterna al moderatismo e al liberismo del centrosinistra, dell'antiberlusconismo di facciata, dei governi tecnici. E questo ha evitato un chiarimento di fondo, come avviene invece nel resto d'Europa. Per dirla più brutalmente, molti gruppi dirigenti a sinistra del Pd si sono nascosti dietro alla Fiom per continuare ad essere e a fare quello di prima. Così oggi c'è chi sta con la Fiom e contemporaneamente con chi sostiene Monti.
In secondo luogo la Fiom e il suo gruppo dirigente hanno ricevuto un ritorno di immagine che ha finito per supplire alle difficoltà dell'agire concreto. Così come negli anni della concertazione il sindacato confederale sembrava contare moltissimo mentre la condizione concreta dei lavoratori precipitava in basso, così il mito della Fiom si dilatava ben oltre la sua forza reale.
Naturalmente non c'è un male assoluto in questo. Se un gruppo dirigente usa un prestigio e un consenso superiori alla forza per far crescere nella libertà del confronto l'organizzazione che dirige, l'immagine viene usata bene. Se invece ci si presenta alle riunioni carichi di gloria solo per pretendere fedeltà qualunque scelta si faccia., questo non va bene, ma Landini e Airaudo si sono incamminati su questa seconda strada.
Sul piano delle politiche sindacali concrete non c'è dubbio che l'attuale maggioranza della Fiom abbia compiuto due significativi cambiamenti di rotta. Mentre i metalmeccanici e tutti i lavoratori accumulavano dissenso e sfiducia verso un sindacalismo confederale che lasciava passare senza vero contrasto tutte le peggiori controriforme di Monti, con la segreteria della Cgil è stata progressivamente attenuata la differenza e la lotta politica.
E soprattutto si è scelto di fare dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 lo strumento, la piattaforma, per superare la stagione degli accordi separati. Questa davvero non è piccola cosa.
Quell'accordo rafforza e restringe la gabbia concertativa che da venti anni soffoca la contrattazione, Il contratto nazionale si può rinnovare solo se vengono concesse ulteriori flessibilità su tutte le condizioni di lavoro, fino alle vere e proprie deroghe. Tutti gli accordi nazionali firmati dopo quell'intesa hanno comportato brutali peggioramenti delle condizioni di lavoro in cambio di risibili aumenti salariali. Ai lavoratori sarebbe convenuto mantenere i vecchi contratti senza finti miglioramenti, ma le aziende non avrebbero firmato, perchè sono esse che fanno le piattaforme e decidono se e quando accordarsi.
La Fiom ha deciso di rivendicare il 28 giugno per i pallidi e mai applicati accenni che in esso si fanno ad una misurazione della rappresentanza sindacale. Questo per non essere più discriminata in Fiat e in altri luoghi di lavoro. Ma a parte il fatto che si tratta di intenzioni rimaste sulla carta, è evidente che una sia pur pallida possibilità di renderle concrete è strettamente legata alle disponibilità sindacali sulla flessibilità del lavoro.
Alle difficoltà e alle contraddizioni dell'azione sindacale si è poi aggiunta una sempre più marcata iniziativa politica. Anche questa scelta non è destinata necessariamente a produrre risultati negativi. Se viene vissuta e discussa in tutta l'organizzazione, se è una maturazione del conflitto sociale senza esserne un vincolo, essa è una manifestazione di quel principio dell'indipendenza sindacale che la Fiom mise nel suo statuto, anche con polemiche, nel congresso del 2004.
Anche qui però si è progressivamente affermata una doppiezza negativa. Mentre nelle riunioni interne si negava che che ci fossero scelte politiche in corso, all'esterno si lasciava crescere il mito del partito Fiom. Fino ad una recente intervista di Airaudo che parla, confusamente, di partito del lavoro, candidature e altro ancora. Non son più dirigente da qualche mese, posso però dire che finchè lo sono stato non ho mai partecipato a discussioni interne su questo tema.
Il cambiamento di linea c''è stato dunque, ed è cosi riemerso un dilemma storico del movimento operaio. Devi dire la verità o devi difendere l'immagine dell'organizzazione? La verità o la rivoluzione? Gramsci diceva la verità è sempre rivoluzionaria, e la storia gli ha drammaticamente dato ragione.
Landini ed Airaudo avrebbero dovuto ammettere il cambiamento, spiegarne le ragioni e accettare le diverse valutazioni. Invece si è usato il prestigio per affermare che nulla era cambiato e che chi affermava il contrario era un nemico dell'organizzazione.
E' vero, chi lotta in situazioni difficili come quelle degli operai oggi, ha bisogno anche di fede. Ma questo suo bisogno non può, non deve essere usato per comandare. Se due dei licenziati di Melfi dicono che in Fiom le cose non vanno come dovrebbero, c'è il dovere di discutere e capire. E non è giusto rispondere al dissenso degli operai della Same di Bergamo con il trasferimento di Eliana Como.
In questi anni la Fiom è stata diversa dal palazzo anche per la sua vita interna. Mentre nella Cgil si affermavano le logiche di apparato, il voto di fiducia come conclusione delle riunioni, la crisi della partecipazione, nella Fiom vigeva la più ampia libertà di discussione. Questo non era solo un portato della della storia dei metalmeccanici, ma il frutto del lavoro dei gruppi dirigenti degli ultimi 18 anni, da Claudio Sabattini in poi. Ci si divideva aspramente se necessario, ed è successo, ma non scattava la ghigliottina per i dissenzienti dopo. Questo dava forza e intelligenza alla Fiom e a tutti i metalmeccanici. Landini ed Airaudo hanno rotto con questo principio ed hanno così provocato un danno all'organizzazione che dirigono.
La lotta per la democrazia nella fabbrica e nella società richiede la pratica della democrazia nelle organizzazioni che quella lotta conducono. E la democrazia è prima di tutto che chi dissente non viene punito.
Chi ama la Fiom e la sua storia trovi il modo di dirlo e non taccia, magari perché tentato di usare il bel nome dei metalmeccanici per rendere più appetibili le proprie scelte politiche e elettorali.

Sergio Bellavita: "La rottura in Fiom è cominciata dall'ex-Bertone"
 
Controlacrisi.org ha intervistato il segretario nazionale uscente della Fiom Sergio Bellavita. Dopo il rimpasto della segreteria nazionale le polemiche non si placano. Giorgio Cremaschi lancia un appello a rompere con il clima autoritario nel sindacato dei metalmeccanici.

Al di là delle polemiche e delle reciproche accuse, che in questi giorni non sono mancate in Fiom, qual è la questione di fondo rispetto al rimpasto della segreteria nazionale?
Occorre guardare ai fatti. Airaudo, insieme a un'altra della segreteria, si è dimesso per estromettere la sinistra Fiom da me rappresentata. C'è un unico precedente , l'epurazione di Guzzonato e della Maulucci ad opera di Epifani. In Fiom non era mai accaduto che un segretario venisse dimissionato. Quali le colpe? Una sola, il dissenso. Landini costruisce così, la segreteria della fedeltà al segretario. La questione di fondo è che Landini fa una operazione sulla segreteria costruita nei mesi scorsi in rapporto alla svolta politica della Fiom. Tuttavia la segreteria è stata eletta con appena il 53% dei voti degli aventi diritto.

Tu hai parlato dell’impossibilità ad esprimere il dissenso.
Il diritto al dissenso non è negato a nessuno, le conseguenze sono però abbastanza evidenti. C'è, ripeto, una stretta autoritaria. Con l'approvazione dell'odg sull'unità della Fiom in cui Landini si attribuisce ogni titolarità rispetto alla rappresentanza indiscussa dell’organizzazione, si sancisce proprio questa stretta. Per mesi ho denunciato all'interno la mancanza degli spazi e dei momenti di costruzione delle decisioni. Da due anni il Comitato Centrale è governato con il continuo ricorso al voto di fiducia sul segretario. ho denunciato tutto questo da mesi nei gruppi dirigenti, ed è testimoniabile.

Tuttavia, non si può non notare che già da Cervia si era cominciato a sentire qualche scricchiolio nella maggioranza uscita dal congresso.
I problemi c’erano già stati a Cervia nella costruzione della piattaforma.Come ho detto sono mancato momenti veri di discussione sugli obbiettivi di fondo del delicatissimo passaggio contrattuale della Fiom. Tuttavial’inizio della svolta c’è statocon l’accordo all’ex Bertone di Grugliasco. La Fiom ha purtroppo accettato a Grugliasco il ricatto che aveva giustamente rifiutato a Pomigliano eMirafiori. Proprio laddove la Fiom era decisiva cade. Un'occasione sprecata sulla possibilità di aprire una battaglia per la difesa dello stabilimento. Quella scelta ha segnato l’inizio di una gestione Fiom che è rimasta altisonante e radicale nei toni ma via via sempre più pragmatica nella pratica concreta contrattuale. Anche in occasione di quel drammaticopassaggio non ci fu discussione in segreteria. Fui costretto a chiedere per iscritto la convocazione del Comitato Centrale. Credo che l’Accordo alla ex-Bertone abbia in qualche modo spianato la strada alla Cgil verso l'accordo del 28 giugno 2011, quello che accoglie le deroghe cancellando il contratto. Oggi, dopo aver contrastato quell'accordo, Landini e Airaudo ne fanno un riferimento per la riconquista del contratto e di regole democratiche, senza peraltro nessun risultato e sapendo che assumere l'accordo del 28 giugno significa accettare, obtorto collo, le deroghe. Devo dire che l'intervista di Airaudo al quotidiano "pubblico" chiarisce bene il disegno politico che c'è dietro. E' legittimo che Airaudo, forse un pò provato da tanti anni di sindacato, pensi alla politica. Ma la Fiom non può essere piegata a progetti politici o personali di alcun tipo. Sarebbe un danno irreparabile per i lavoratori e le lavoratrici.

Sì, però non mi pare esaurita la “spinta propulsiva” della Fiom. Anzi, nel confronto con Marchionne mi sembra che stia avendo la meglio.
Il modello Marchionne si è largamente affermato. E' stato reso legale, giuridicamente e contrattualmente sia con i provvedimenti del governo, sia grazie all'accordo del 28 giugno. E’ divenuto il modello di riferimento.La vicenda recente del Contratto dei chimici lo testimonia molto bene. E' emblematico che proprio nel momento in cui il progetto Fabbrica Italia con i faraonici investimenti e i prodigiosi aumenti della produzione viene chiuso c’è un silenzio totale da parte della politica, del palazzo e del sindacato sul fatto che quel piano ha imposto un modello schiavistico autoritario che i lavoratori e le lavoratrici stanno vivendo sulla loro pelle. Al più si denuncia la mancanza di nuovi modelli, il tentativo della Fiat di abbandonare l'Italia. Non è un caso che il governo Monti stia pensando con il tavolo sulla produttività di aumentare gli orari di lavoro nel bel mezzo della crisi.Marchionne quindi rischia di non pagare nessun prezzo per le balle che ha raccontato e per quello che ha fatto ai lavoratori. Spinta propulsiva? La Fiom deve riaprire la vertenza Fiat. Lo deve fare attraverso la ri-costruzione della vertenza su basi nuove. La battaglia legale non è sufficiente se non si rimette al centro la condizione dei lavoratori e delle lavoratrici attraverso un percorso di definizione collettiva degli obbiettivi, un percorso che che dia voce, spazio, sedi a iscritti, militanti, delegati della Fiat e dell'indotto. Senza l'esplosione del conflitto non si cancelleranno gli accordi della vergogna di Marchionne. C'è un'occasione straordinaria rispetto a questa strada: la riapertura delle vertenze su Termini imerese e Irisbus e la mobilitazione contro il rischio chiusura di Melfi, Cassino e altri stabilimenti. E' stato un errore firmare intese a Marchionne sulla chiusura di Termini e Irisbus. La difesa delle fabbriche e dell'occupazione è una leva straordinaria su cui agire per innescare la vertenza generale. Il bilancio di questi due anni ci dice che Fiat ha chiuso due stabilimenti al sud e riaperto uno al nord ( ex bertone). Sempre con accordi sindacali. E' evidente che occorre rivedere profondamente la strategia. La Fiom ce la può fare.

Non credi che il sindacato sia anche gravato dalla crisi della politica?
Non c'è dubbio. Più che di crisi della politica parlerei di crisi della rappresentanza politica del lavoro. Pesa enormemente, tuttavia è sul terreno sociale che ci si deve cimentare. Senza la ricostruzione di nuovi rapporti di forza, senza la ricostruzione degli elementi di solidarietà e unità della classe, senza un nuovo processo di costruzione di coscienza,ideologia non ci può essere ricostruzione della rappresentanza politica del lavoro. Alcuni ,anche nel sindacato ,ragionano esattamente al contrario, un errore clamoroso che si spiega solo con le mire parlamentari. Dopo Monti in Italia c'è comunque la sua agenda, chi vuole realmente rispondere ai bisogni delle classi popolari deve rompere con l'Europa. Non c'è altra possibilità. Fino a quando la politica economica e sociale di un governo sarà dettata dagli equilibri di bilancio e dal risanamento non sarà possibile nessun cambiamento. Questo lo sanno tutti coloro che si candidano a governare, da destra a sinistra. Semplicemente lo negano e preferiscono regalare sogni e speranze vane. La sostanza è che oggi affermare, in italia e in europa, la difesa degli interessi dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati è un atto sovversivo. Non è un caso che l'unica contrattazione che si riesce a fare è quella di restituzione sul modello chimici, o degli accordi separati. Il Sindacato che non accetta tali miserabili compatibilità deve prendere atto della realtà e rivedere di conseguenza linea e prassi. Credo che, seppure in una condizione drammatica, ci sia una disponiblità alla mobilitazione, alla ricostruzione molto più ampia di quanto possiamo immaginare. La Fiom può e deve candidarsi a essere perno e leva di questa mobilitazione e di questa ricostruzione

Quella della Rete 28 aprile sarà una opposizione difficile dentro la Fiom
Rivendichiamo le scelte degli ultimi tre congressi della Fiom. Dal congresso di Livorno del 2004 abbiamo contribuito in maniera determinante a sostenere la Fiom delle grandi battaglie sui contratti, la democrazia, l'alterità alla Cgil. Non saremo mai coloro che accetteranno l'accordo del 28 giugno, le deroghe al contratto, il modello Marchionne. Penso che Landini e Airaudo abbiano fatto una scelta precisa e di svolta rispetto a quell’orientamento. Per noi occorre rimettere al centro due aspetti decisivi, democrazia e radicalità. Tutte le scelte che vanno in quella direzione le sosterremo convintamente. Un sindacato che non è democratico si avvia a rompere con i lavoratori . Un sindacato che non è democratico non può essere nemmeno radicale. Lavoreremo dentro e fuori i luoghi di lavoro per la costruzione di vertenzialità, per la ricostruzione di soggettività. Questa è la priorità più che l'opposizione interna.

Il contratto nazionale offrirà un terreno duro sul quale misurarsi…
Sul contratto nazionale la piattaforma di Cervia in definitiva tentava di rientrare in gioco con ampie disponibilità su flessibilità, raffreddamento del conflitto e in principal modo assumeva l'accordo del 28 giugno. E non ha dato i risultati sperati. Tanto che Landini ha dovuto rilanciare con il patto alle imprese. Oggi quella linea si è ancora una volta dimostrata infruttuosa. Occorre prenderne atto e cambiare. O si diviene il Sindacato che si misura con il suo essere sovversivo rispetto alle compatibilità date e quindi riparte dal conflitto e dalla ricostruzione di soggettività o si viene piegati ad essere come gli altri sindacati. Lo scontro è tale, purtroppo, da non lasciare vie di mezzo.

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