Credo
che la questione delle primarie abbia assunto un tale rilievo politico e
mediatico (paginate e paginate sui quotidiani!) da rendere necessaria
una seria discussione fra compagni/e. Vorrei contibuire a favorire
questa discussione dicendo la mia, sperando che altri/e, magari con
posizioni diverse, vogliano intervenire.
Dunque le primarie sono una istituzione
americana che serve a designare un candidato Presidente all’interno dei
due partiti democratico e repubblicano. Faccio notare che neppure la
iper-presidenzialista Francia sceglie il candidato Presidente con le
primarie, e meno che mai ricorrono a tale strumento altre democrazie
europee, come la Germania o l’Inghilterra o la Spagna etc. Faccio notare
ancora che negli Stati Uniti si eleggono con le primarie dei delegati
(non è dunque affatto una votazione diretta o di primo grado!) e,
specialmente in passato, è accaduto che le Convenzioni modificassero, o
anche ribaltassero, i risultati delle primarie, da qui l’estrema
importanza delle Convenzioni dei partiti che – queste sì! – nominano il
candidato alla presidenza.
L’oggetto delle primarie di cui si parla
adesso da noi è la candidatura a Presidente del Consiglio (e mi
permetterei di proporre – già che ci siamo – di chiamare questa carica
con questo suo nome costituzionale, e non “premier” e meno che mai “Capo
del Governo” come dicevano di sè Mussolini e poi Craxi: le parole in
politica contano, perché corrispondono a concetti). E già qui sorge un
rilevante problema, giacché la designazione di tale carica spetta, per
la nostra Costituzione al Presidente della Repubblica (art. 92 della
Costituzione: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del
Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i Ministri”). È il
Presidente della Repubblica, non certo il popolo delle primarie e
nemmeno l’elettorato, a scegliere il Presidente del Consiglio; fermo
restando che il Presidente del Consiglio nominato deve avere la fiducia
di entrambe le Camere, ed è una buona prassi, ormai consolidata, che
prima di scegliere il Presidente del Consiglio il Presidente della
Repubblica consulti i Gruppi parlamentari, che gli rappresentano gli
orientamenti delle due Camere. Perché accade questo? Perché la nostra
Repubblica è stata voluta dai padri costituenti come una Repubblica
parlamentare, in cui cioè la sovranità popolare elegge un Parlamento e
non una persona o un capo.
Per noi comunisti (ma, direi, per tutti i
sinceri democratici) è assolutamente evidente quanto sia stata giusta e
lungimirante questa scelta dei Costituenti, che avevano conosciuto il
fascismo e volevano impedire che si potessero riproporre forme di potere
personale, sempre anticamera delle dittature (e pensiamo che cosa
sarebbe successo se Berlusconi avesse potuto sostenere legittimamente
una diretta investitura popolare sulla sua persona!). Da questo punto di
vista, oso dire che anche la dizione “Per Tizio Presidente” che compare
nel simbolo di alcuni (troppi!) partiti è al limite della
costituzionalità, perché (ripeto, ripeto!) l’elettorato non è chiamato
affatto a eleggere un Presidente del Consiglio bensì a eleggere un
Parlamento, il quale Parlamento poi darà, oppure negherà, la sua fiducia
a un Presidente del Consiglio scelto, anzi nominato!, dal Presidente
della Repubblica. E infatti secondo la nostra Costituzione sarebbe del
tutto legittimo che, dopo aver consultato i Gruppi parlamenari, un
Presidente della Repubblica desse l’incarico di formare il Governo a una
persona diversa dal leader del Partito che ha vinto le elezioni
(naturalmente purché questa persona abbia la fiducia della maggioranza
del Parlamento). Questo primo punto, che definirei di elementare cultura
giuridica e costituzionale, mi sembra dunque già di per sé testimoniare
contro il ricorso alle primarie, uno strumento improprio e, dunque,
anche pericoloso, perché minaccia di turbare il delicato equilibrio
costituzionale fra i poteri democratici dello Stato e di prefigurare
(anzi di praticare già!) una Repubblica presidenziale, un “uomo solo al
comando” legittimato personalmente dal voto popolare, che è l’esatto
contrario di ciò che la Costituzione antifascista disegna.
Ma veniamo al secondo punto: la primarie
americane, che piacciono tanto ai nostri “americani a Roma”, sono
interne ai due partiti; lì è del tutto ovvio che i candidati siano
esponenti del partito alla cui investitura aspirano ed è anche del tutto
ovvio che (per una consolidata tradizione) i votanti appartengano a
quello stesso partito. Qui invece si parla di “primarie di coalizione”,
in cui potrebbero votare tutti quelli che in qualche modo si riconoscono
in quella coalizione.
Se esaminiamo da vicino questa
situazione ci rendiamo ben conto che ci troviamo di fronte al regno
dell’assurdo. Intanto: di che coalizione si tratta? Quale è il suo
programma? Quali i suoi confini? E, soprattutto, quali partiti ne fanno
parte? Logica vorrebbe che prima ci fosse una coalizione e poi semmai
questa, al suo interno, scegliesse il proprio candidato. Qui si propone,
e si pratica, l’inverso: prima si sceglie il candidato Presidente e
poi, se resta tempo, si definisce la coalizione e il suo programma.
L’on. Tabacci, che è autorevole candidato alla primarie, fa parte oppure
no della coalizione? E Vendola ne fa parte? In passato il PD rifiutò la
candidatura di Marco Pannella con la (apparentemente ragionevole)
obiezione che questi era esponente di un partito diverso. Questo
argomento non vale più? Così come non vale più (e infatti si
affretteranno a cambiarlo!) l’articolo dello Statuto del PD che afferma
che il solo candidato di quel Partito alle primarie è il suo Segretario.
Un’altra “stranezza”, degna di una comica finale e non certo di una
democrazia seria: le primarie si dicono “di coalizione” ma le loro
regole sono decise da un partito solo, il PD, che appunto ne sta
discutendo in questi giorni (peraltro molto dopo l’inizio della campagna
per le primarie!). Neppure l’esperienza insegna nulla: Forconi a Napoli
vinse le primarie (lasciamo stare come) ma De Magistris, che non vi
aveva partecipato, poi stravinse le elezioni vere. A Palermo la stessa
situazione: Ferrandelli prevalse alle primarie ma poi (nonostante
l’appoggio di Lombardo e di SEL) Orlando lo travolse alle elezioni vere;
e altri analoghi esempi si potrebbero fare. D’altra parte l’esperienza
romana di questi giorni parla chiaro: Zingaretti era un candidato
credibile a fare il Sindaco: ma “qualcuno” – non certo le primarie – lo
ha candidato invece “in mezz’ora” (come si è vantato l’on. Fioroni) a
fare il Presidente della Regione Lazio, forse perché la carica di
Sindaco deve essere scelta dal Vaticano. Le primarie allora si fanno
solo se non servono a decidere davvero?
Si dice ora che per votare alle primarie
occorrerà prima sottoscrivere qualcosa e lasciare il proprio nome e
indirizzo: a parte che questo contraddice un altro pilastro della
Costituzione (ma costoro neppure l’hanno letta, e comunque se ne
fottono), cioè l’art.48 (“Il voto è personale ed eguale, libero e
segreto”), la domanda che sorge è: che senso ha tale sottoscrizione? Ci
si impegna così a votare poi alle elezioni per quella coalizione,
tuttora indeterminata e inesistente? E chi può impedire all’elettore di
cambiare parere nel frattempo? Un fatto è tuttavia certo: le primarie
impegnano in modo ferreo a sostenere quella “coalizione” almeno chi vi
partecipa. Non è infatti possibile pensare, nemmeno nell’attuale degrado
dell’etica politica, che uno si candidi come leader di una coalizione e
poi, se sconfitto, non appoggi leamente il vincitore! Lo stesso vale,
naturalmente, anche per i Partiti. E dunque: Vendola e SEL, appoggeranno
il berlusconico Renzi o il democristiano Tabacci se uno di costoro
vincerà le primarie? Oppure qualcuno pensa che potrebbe accadere
l’inverso? Siamo seri, compagni di SEL, nessuno di voi può crederlo. Se
un obiettivo ragionevole è possibile rintracciare nella partecipazione
alle primarie, questo può consistere soltanto nell’intenzione di alzare
un po’ il proprio prezzo, cioè di poter partecipare comunque a qualunque
coalizione guidata dal PD (e dall’“agenda Monti”) trovando all’interno
di questa un po’ di spazio in più per sistemare più comodamente il
proprio sgabello.
In conclusione: la democrazia diretta
non c’entra proprio un bel nulla con questo incasinato balletto
plebiscitario. Ormai è chiaro a tutti (almeno a chi voglia vedere
onestamente le cose per quel che sono) che le primarie rappresentano
solo un meccanismo che serve per umiliare ancora di più (come se ce ne
fosse bisogno!) la democrazia costituzionale, la quale è fondata sul
Parlamento e sui Partiti (sì, sui Partiti!), beninteso se, come il
nostro, essi si sforzano di essere degni di questo onorato nome. Le
primarie servono soprattutto per far pesare l’immenso potere mediatico e
finanziario di alcuni “poteri forti” che (come dimostra il “caso” dello
sciocco giovanotto democristian-berlusconico Matteo Renzi) sono
perfettamente in grado, investendo soldi e consiglieri “di immagine”
sufficienti, di creare dal nulla un candidato del nulla, e magari
perfino di imporlo.
Io credo che tutto ciò sia l’esatto
contrario di quel complicato ma esaltante processo di partecipazione
cosciente che noi chiamiamo democrazia diretta, e credo che da tutto ciò
la sinistra debba tenersi ben lontana, anzi non stancandosi di
denunciare l’ennesima truffa “tecnica” e “americana” ai danni delle
masse popolari.
Raul Mordenti - Contro la crisi.org
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