Nei giorni scorsi il Fmi si è
riunito a Tokyo (senza la Cina, in polemica col Giappone per le isole
contese) e ha scoperto che le ricette liberiste per curare la crisi non
funzionano.
Da qui a fare autocritica, naturalmente, ce ne corre. Ma si rompe - e in prospettiva, nei prossimi mesi, la frattura si andrà approfondendo - l'unità della troika che fin qui ha governato la crisi europea. Non è un segnale "keynesiano": è solo la presa d'atto che qualcosa non funziona più, se mai avesse funzionato. Non ci sono politiche di riserva, ma un tirare i remi in barca. E' la premessa per un aggravamento della crisi.
Qui di seguito una prima analisi della "svolta" del Fmi.
Per noi che abbiamo conosciuto l'Fmi delle lettere all'Italia negli anni '70, del modello di Pollack degli anni '80: che i paesi si svenino ma paghino i debiti - con il massacro dei paesi africani -, l'ultimo rapporto è quasi uno shock. Alcuni temi vengono ribaditi: un atteggiamento diverso verso la Grecia e una preoccupazione per l'eccessiva austerità. La novità è l'ampiezza delle motivazioni: fanno sospettare che la preoccupazione dell'Fmi per gli sviluppi mondiali sia più profonda di quella dichiarata.
La Grecia - dice il rapporto - non può mantenere la tabella di marcia perché non si è mai potuto pagare il debito attraverso la compressione della spesa pubblica. Lo stesso vale per la Spagna e il Portogallo. Il Fondo monetario lo sa molto bene, tant'è che, tramite la sua direttrice Christine Lagarde, ha chiesto più tempo per questi paesi. Poi Lagarde ha anche detto che non finanzierà ulteriormente la Grecia. Quasi un si salvi chi può. Dato che la gravità della situazione è responsabilità europea, paghi l'Europa.
La novità è sul piano dell'analisi. L'Fmi offre una visione molto critica delle ipotesi soggiacenti alle politiche attuate in Europa dalla trojka, di cui fa parte. Il terzo capitolo del World Economic Outlook, fresco di stampa, mette in discussione la priorità di lungo periodo che nel passato era stata assegnata alla riduzione del debito pubblico. Si diceva allora: più il debito è alto, minore sarà la crescita. Ma ora l'Fmi mette in discussione questa certezza. E dice anche che non esiste un livello del rapporto debito pubblico/Pil tale da poter dire: al disotto di quello il rapporto è accettabile, al di sopra no; quindi, affermare che un certo livello di debito è intollerabile è privo di senso. Ma questo colpisce tutta la numerologia di Maastricht. Si capisce la dura e piccata replica del Ministro delle Finanze tedesco, Schäuble: non c'è alternativa alla riduzione del debito!
Per sostenere la polemica contro il debito, il rapporto Fmi esamina alcuni casi storici. Quello della Gran Bretagna del periodo tra le due guerre e quello, rilevante per noi, dell'Italia dopo il 1992. Parlare di Regno Unito allora è come parlare di eurozona adesso. Infatti, la deflazione degli anni '20 - combattuta ripetutamente ma inutilmente da Keynes - venne attuata proprio per ridurre il debito al fine di ripristinare il sistema aureo pre-1914. Risultato: una lunghissima crisi ancor prima dello scoppio della Grande Depressione. Per l'Italia post-1992 vengono evidenziate due fasi; nella seconda, post-2000, è stato il basso tasso di crescita a impedire la riduzione del debito. Parlando dell'Italia post-1992, si sta parlando dei Piigs di oggi.
Obiezione: voi dove eravate mentre in tutte le istituzioni economiche e monetarie si facevano analisi che sostenevano le politiche che ora criticate? Qui arriva la mossa finale che testimonia la profondità della revisione. L'Fmi fa autocritica sui modelli e le teorie alla base delle proprie previsioni. La discussione tecnica riguarda il fatto che il Fmi, come ad esempio i Tories in Gran Bretagna, sosteneva la cosiddetta «austerità espansiva». Si diceva: gli effetti negativi dei tagli fiscali saranno limitati, mentre gli effetti della riduzione dei tassi di interesse, grazie al recupero di credibilità sui mercati, più che controbilanceranno quegli effetti negativi.
Oggi l'Fmi dice: abbiamo sbagliato sistematicamente le previsioni di ripresa perché abbiamo sottovalutato la gravità dei - sicuri, aggiungiamo noi - effetti negativi, e abbiamo sopravvalutato la forza degli - solo ipotetici, diciamo noi - effetti positivi.
La cosa più importante è però la conclusione politica: non c'è più una trojka come l'abbiamo conosciuta nelle prime fasi del salvataggio greco. Solo Bruxelles e Berlino dicono ancora: la Grecia deve fare i compiti. L'Fmi dice invece che la Grecia non può fare i compiti. Le tesi sono opposte ma lo scopo è lo stesso, non finanziare ulteriormente la Grecia. La Bce fa il pesce in barile; Draghi dice: io la ciambella di salvataggio per l'euro l'ho messa, per il resto decidano i governi; cioè non tanto la Grecia, quanto Berlino. Non sono chiare le conseguenze del dissenso. L'Fmi chiederà misure energiche contro l'austerità, come si direbbe dalle posizioni del capo ufficio studi, un po' keynesiano, Blanchard; o non parteciperà più ai salvataggi? Dietro a Lagarde, oggi, vediamo il profilo di Obama, oppure quello di Romney?
Da qui a fare autocritica, naturalmente, ce ne corre. Ma si rompe - e in prospettiva, nei prossimi mesi, la frattura si andrà approfondendo - l'unità della troika che fin qui ha governato la crisi europea. Non è un segnale "keynesiano": è solo la presa d'atto che qualcosa non funziona più, se mai avesse funzionato. Non ci sono politiche di riserva, ma un tirare i remi in barca. E' la premessa per un aggravamento della crisi.
Qui di seguito una prima analisi della "svolta" del Fmi.
Per noi che abbiamo conosciuto l'Fmi delle lettere all'Italia negli anni '70, del modello di Pollack degli anni '80: che i paesi si svenino ma paghino i debiti - con il massacro dei paesi africani -, l'ultimo rapporto è quasi uno shock. Alcuni temi vengono ribaditi: un atteggiamento diverso verso la Grecia e una preoccupazione per l'eccessiva austerità. La novità è l'ampiezza delle motivazioni: fanno sospettare che la preoccupazione dell'Fmi per gli sviluppi mondiali sia più profonda di quella dichiarata.
La Grecia - dice il rapporto - non può mantenere la tabella di marcia perché non si è mai potuto pagare il debito attraverso la compressione della spesa pubblica. Lo stesso vale per la Spagna e il Portogallo. Il Fondo monetario lo sa molto bene, tant'è che, tramite la sua direttrice Christine Lagarde, ha chiesto più tempo per questi paesi. Poi Lagarde ha anche detto che non finanzierà ulteriormente la Grecia. Quasi un si salvi chi può. Dato che la gravità della situazione è responsabilità europea, paghi l'Europa.
La novità è sul piano dell'analisi. L'Fmi offre una visione molto critica delle ipotesi soggiacenti alle politiche attuate in Europa dalla trojka, di cui fa parte. Il terzo capitolo del World Economic Outlook, fresco di stampa, mette in discussione la priorità di lungo periodo che nel passato era stata assegnata alla riduzione del debito pubblico. Si diceva allora: più il debito è alto, minore sarà la crescita. Ma ora l'Fmi mette in discussione questa certezza. E dice anche che non esiste un livello del rapporto debito pubblico/Pil tale da poter dire: al disotto di quello il rapporto è accettabile, al di sopra no; quindi, affermare che un certo livello di debito è intollerabile è privo di senso. Ma questo colpisce tutta la numerologia di Maastricht. Si capisce la dura e piccata replica del Ministro delle Finanze tedesco, Schäuble: non c'è alternativa alla riduzione del debito!
Per sostenere la polemica contro il debito, il rapporto Fmi esamina alcuni casi storici. Quello della Gran Bretagna del periodo tra le due guerre e quello, rilevante per noi, dell'Italia dopo il 1992. Parlare di Regno Unito allora è come parlare di eurozona adesso. Infatti, la deflazione degli anni '20 - combattuta ripetutamente ma inutilmente da Keynes - venne attuata proprio per ridurre il debito al fine di ripristinare il sistema aureo pre-1914. Risultato: una lunghissima crisi ancor prima dello scoppio della Grande Depressione. Per l'Italia post-1992 vengono evidenziate due fasi; nella seconda, post-2000, è stato il basso tasso di crescita a impedire la riduzione del debito. Parlando dell'Italia post-1992, si sta parlando dei Piigs di oggi.
Obiezione: voi dove eravate mentre in tutte le istituzioni economiche e monetarie si facevano analisi che sostenevano le politiche che ora criticate? Qui arriva la mossa finale che testimonia la profondità della revisione. L'Fmi fa autocritica sui modelli e le teorie alla base delle proprie previsioni. La discussione tecnica riguarda il fatto che il Fmi, come ad esempio i Tories in Gran Bretagna, sosteneva la cosiddetta «austerità espansiva». Si diceva: gli effetti negativi dei tagli fiscali saranno limitati, mentre gli effetti della riduzione dei tassi di interesse, grazie al recupero di credibilità sui mercati, più che controbilanceranno quegli effetti negativi.
Oggi l'Fmi dice: abbiamo sbagliato sistematicamente le previsioni di ripresa perché abbiamo sottovalutato la gravità dei - sicuri, aggiungiamo noi - effetti negativi, e abbiamo sopravvalutato la forza degli - solo ipotetici, diciamo noi - effetti positivi.
La cosa più importante è però la conclusione politica: non c'è più una trojka come l'abbiamo conosciuta nelle prime fasi del salvataggio greco. Solo Bruxelles e Berlino dicono ancora: la Grecia deve fare i compiti. L'Fmi dice invece che la Grecia non può fare i compiti. Le tesi sono opposte ma lo scopo è lo stesso, non finanziare ulteriormente la Grecia. La Bce fa il pesce in barile; Draghi dice: io la ciambella di salvataggio per l'euro l'ho messa, per il resto decidano i governi; cioè non tanto la Grecia, quanto Berlino. Non sono chiare le conseguenze del dissenso. L'Fmi chiederà misure energiche contro l'austerità, come si direbbe dalle posizioni del capo ufficio studi, un po' keynesiano, Blanchard; o non parteciperà più ai salvataggi? Dietro a Lagarde, oggi, vediamo il profilo di Obama, oppure quello di Romney?
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