venerdì 12 ottobre 2012

Dilettanti allo sbaraglio sulle leggi elettorali di Aldo Giannuli

Le leggi elettorali sono un mio vecchio pallino: nel 1974 furono l’argomento del mio esame di diritto pubblico, sostenuto con il prof. Carlo Alberto De Bellis (allora assistente, mi fa piacere ricordarlo qui a 10 anni dalla sua prematura scomparsa) che mi concesse la lode. Dopo ho sempre continuato a studiarle comparando l’Italia con gli altri paesi. Sono sempre stato un intransigente proporzionalista (uno dei principali motivi di contrapposizione con il Psi craxiano prima e con il Pds-Pd dopo). Ho scritto diversi articoli e saggi in merito e quello che mi dette più soddisfazioni fu l’opuscolo che scrissi per “Avvenimenti” in occasione dello sciagurato referendum del 1993, di cui si vendettero 240.000 copie (quando il direttore, Claudio Fracassi, mi annunciò i risultati delle vendite, prima che potessi fiatare, concluse: “Grazie, è stata una bella sottoscrizione per il giornale!”. E non mi rimborsò neanche le spese di spedizione via fax: va bene, fa niente). Forse per questa mia vecchia passione, provo un’ irritazione invincibile nel seguire il dibattito sulla legge elettorale che periodicamente si accende, dimostrando ogni volta quale penoso livello di analfabetismo affligga la nostra classe politica.Non ci fosse da piangere, ci sarebbe da ridere: facciamo un sistema mezzo spagnolo e mezzo tedesco, no, meglio un doppio turno alla francese con primarie all’americana e quota di proporzionale con clausola di sbarramento alla tedesca, e c’è anche qualche scienziato del Pd che ha proposto in tutta serietà un mix fra il sistema australiano e quello belga! Tanto vale, adottare le regole del tressette a perdere abbinato alla lotteria di capodanno con ordalia finale a doppio turno!Non sarà male ricordare qualche regola base:
1-un sistema elettorale deve essere il più semplice e lineare possibile; si può anche ibridare modelli diversi, ma il bilanciamento finale deve avere un suo equilibrio complessivo e senza inutili ridondanze: ad esempio, se c’è un consistente premio di maggioranza è inutile la clausola di sbarramento come soglia minima di accesso, perché la governabilità è già assicurata e, vice versa, se c’è una clausola di sbarramento, è inutile un premio di maggioranza, perché c’è già un effetto premiale a favore dei partiti più grandi, per effetto dei voti dispersi da quelli che restano sotto la soglia. E, infatti, l’Italia è l’unico paese che ha un sistema elettorale che prevede entrambe le cose.
2- Fatta la scelta per un tipo di sistema elettorale (maggioritario, proporzionale o misto che sia) occorre che esso, salvo varianti abbastanza contenute, sia adottato omogeneamente a tutti i livelli e non ci si può permettere (come è attualmente in Italia) che ci siano sei diversi tipi di sistema elettorale (Comune, Provincia, Regione, Camera, Senato, Parlamento Europeo), con il, risultato di un sistema politico a “geometria” variabile che compone e scompone gli schieramenti di volta in volta.
3-Un sistema elettorale può contribuire a dar vita ad un sistema politico, ma da solo non basta: ad esempio, un sistema maggioritario può conservare un formato bipartitico e può contribuire a determinarlo, ma se un paese è attraversato da una molteplicità di linee di frattura non sovrapponibili, nessun sistema elettorale riuscirà a ridurre tutto ad un formato bipartitico. L’Italia è un paese nel quale ci sono diversi partiti perché ci sono diverse linee di frattura che si intersecano: quella sinistra-destra e quella laici-cattolici, per esempio, per cui sia laici che cattolici sono presenti tanto a destra quanto a sinistra;
4-Non bisogna confondere bipartiti con le coalizioni, per cui noi siamo riusciti con fatica a creare un sistema bipolare ma non bipartitico, per cui la nostra forma di governo resta quella del governo di coalizione, solo che le coalizioni si fanno prima del voto. C’è chi dice che questo è un vantaggio per l’elettore che così sa quale coalizione lo governerà per 5 anni, ma lo svantaggio (a mio avviso ben più consistente) è che questo spinge a coalizioni eterogenee che, pur di vincere, mettono dentro tutto ed il contrario di tutto (nella leggendaria ammucchiata del 2006 la sinistra riuscì a mette insieme Clemente Mastella e Luxuria), ma poi viene fuori una coalizione vincente incoerente. In questi venti anni la regola è stata: chi si divide perde, ma chi vince non governa. E, infatti quella del “governo di legislatura” è restata una chimera perché nessun governo è durato più di tre anni.
5-L’introduzione di meccanismi premiali (maggioritario secco, premio di maggioranza ecc.) o penalizzanti (clausola di sbarramento ecc.) aiuta a trasformare la minoranza più forte in maggioranza e cerca di contrastare la tendenza all’ eccessiva frammentazione, ma, inevitabilmente, introduce effetti distorsivi della volontà popolare, per cui qualsiasi legge diversa dalla proporzionale produce un grado di rappresentatività più basso del Parlamento. Dunque, quel che (forse) si guadagna in stabilità, si perde (sicuramente) in rappresentatività.
6- I sistemi maggioritari tendono per loro natura a congelare l’offerta politica esistente. Infatti, con qualsiasi legge elettorale, un nuovo partito deve necessariamente affrontare gli attriti ambientali per affermarsi  (ad esempio la necessità di farsi conoscere, la resistenza degli elettori a votare una cosa nuova di cui non si conosce l’effettivo potenziale ecc.) se a questo si aggiunge un meccanismo che spinge al “voto utile” (maggioritario) o alza la soglia di accesso (clausola di sbarramento) questo rende proibitivo affermare un  nuovo soggetto e conserva gli equilibri esistenti. Di conseguenza, questo consente agli apparati di partito una maggiore autonomia dall’elettorato, accentuando il carattere “partitocratico” del sistema.
7-Il carattere partitocratico (con le derive che ne conseguono, festini alla Fiorito inclusi) è accentuato anche dalla “dipendenza” degli eletti dall’apparato di partito e dall’azzeramento della capacità di scelta dell’elettore sui singoli candidati. Il voto di preferenza è l’unico sistema per ridurre il potere di nomina dall’alto dei parlamentari. Tanto il sistema dei listini bloccati quanto quello del collegio uninominale, si basano su un presupposto: che scegliendo un partito l’elettore sceglie automaticamente il o i  candidati che quel partito gli impone, per cui non è libero di scegliere e questo assegna un potere di “vita o di morte” (politica) sui candidati all’apparato centrale. Attraverso la collocazione di un candidato nella fascia alta o in quella bassa del listino, il partito decide se deve essere eletto o meno. Allo stesso modo, in caso di collegio uninominale, è l’apparato a decidere chi avrà il collegio “sicuro” chi quello disperato e chi quello “marginale” dove può battersi con qualche speranza. Di conseguenza, nei sistemi che escludono il voto di preferenza, gli eletti saranno sicuramente molto più conformi alla volontà dell’apparato centrale sino al limite attuale del parlamento di lacchè, di escort e di burocrati che attualmente abbiamo

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