«Ma ci rendiamo conto o no che si vuole licenziare per motivi economici
in un paese che ha depenalizzato il falso in bilancio?».
All'osservazione di Giancarlo Rosini della Rsu Galileo, gli applausi nel
Salone Di Vittorio sono forti. Tanto da arrivare al piano terra della
Camera del Lavoro, che ha aperto le porte a una iniziativa organizzata
da numerosi delegati Cgil dell'area fiorentina. Succede nel giorno dello
sciopero pomeridiano di quattro ore contro l'approvazione del disegno
Fornero di riforma del mercato del lavoro. Ma qui già al mattino si
analizza la controriforma e si discute di come il sindacato debba
contrastarla. Fino allo sciopero generale, così come chiede il documento
finale approvato all'unanimità dall'affollata assemblea di
autoconvocati.
Fra i partecipanti ci sono il segretario confederale Nicola Nicolosi e Gianni Rinaldini coordinatore de «La Cgil che vogliamo»: i portavoce di quella parte del sindacato, attorno al 30%, che più sta spingendo perché ci siano risposte commisurate all'attacco alzo zero del governo Monti al mondo del lavoro. «Oggi in Cgil - segnala sul punto Nicolosi - la maggioranza dei tesserati sta con chi chiede che le riforme Monti-Fornero, da quella sulle pensioni a quella sul lavoro, siano cancellate». A spiegare con semplicità i pericoli c'è il giuslavorista Giovanni Orlandini dell'ateneo di Siena. Una spiegazione in sintonia con quanto scritto da Piergiovanni Alleva sul manifesto. Impreziosita da una analisi comparata del Centro studi Diritti&Lavoro sulle varie discipline di licenziamento nei paesi Ue. «Fra i paesi analizzati - tira le somme Orlandini - l'indice Ocse sulla rigidità in uscita segnala che in Italia il livello di compressione del potere di licenziare è già oggi fra i più bassi d'Europa». Già prima della controriforma Fornero.
Le voci dei delegati accolgono l'invito di Nicolosi all'«indisciplina interna»: «Con informazioni, sensibilizzazioni e mobilitazioni, per costruire un movimento referendario che raccolga un milione di firme». Netto anche Gianni Rinaldini, che chiede all'assemblea di essere un punto di partenza: «Non mi interessa il passato. Mi interessa che, a partire dai delegati, si apra una nuova fase. Anche sul futuro della nostra organizzazione. Sul sindacato di domani. Perché rischiamo di fare la fine dei partiti politici, se accettiamo quelle pratiche verticistiche che hanno portato a dare l'ok al mutamento dell'articolo 18 prima ancora della riunione del direttivo Cgil».
Dagli interventi dei delegati anche alcune nitide fotografie della realtà. Ecco Mariangela Delogu della Rsu La Rinascente: «Ci porteranno a lavorare tutte le domeniche. Eppure danno sempre l'impressione che i lavoratori siano una zavorra di cui doversi liberare». E ancora Gianluca Lacoppola della Rsa Operosa: «Già oggi i lavoratori ci dicono: 'se mi iscrivo al sindacato il padrone si incazza'. Ora torneremo agli anni '50, quando le aziende licenziavano individualmente e la Cgil si opponeva caso per caso. Qui in archivio c'è una documentazione enorme».
Fra i partecipanti ci sono il segretario confederale Nicola Nicolosi e Gianni Rinaldini coordinatore de «La Cgil che vogliamo»: i portavoce di quella parte del sindacato, attorno al 30%, che più sta spingendo perché ci siano risposte commisurate all'attacco alzo zero del governo Monti al mondo del lavoro. «Oggi in Cgil - segnala sul punto Nicolosi - la maggioranza dei tesserati sta con chi chiede che le riforme Monti-Fornero, da quella sulle pensioni a quella sul lavoro, siano cancellate». A spiegare con semplicità i pericoli c'è il giuslavorista Giovanni Orlandini dell'ateneo di Siena. Una spiegazione in sintonia con quanto scritto da Piergiovanni Alleva sul manifesto. Impreziosita da una analisi comparata del Centro studi Diritti&Lavoro sulle varie discipline di licenziamento nei paesi Ue. «Fra i paesi analizzati - tira le somme Orlandini - l'indice Ocse sulla rigidità in uscita segnala che in Italia il livello di compressione del potere di licenziare è già oggi fra i più bassi d'Europa». Già prima della controriforma Fornero.
Le voci dei delegati accolgono l'invito di Nicolosi all'«indisciplina interna»: «Con informazioni, sensibilizzazioni e mobilitazioni, per costruire un movimento referendario che raccolga un milione di firme». Netto anche Gianni Rinaldini, che chiede all'assemblea di essere un punto di partenza: «Non mi interessa il passato. Mi interessa che, a partire dai delegati, si apra una nuova fase. Anche sul futuro della nostra organizzazione. Sul sindacato di domani. Perché rischiamo di fare la fine dei partiti politici, se accettiamo quelle pratiche verticistiche che hanno portato a dare l'ok al mutamento dell'articolo 18 prima ancora della riunione del direttivo Cgil».
Dagli interventi dei delegati anche alcune nitide fotografie della realtà. Ecco Mariangela Delogu della Rsu La Rinascente: «Ci porteranno a lavorare tutte le domeniche. Eppure danno sempre l'impressione che i lavoratori siano una zavorra di cui doversi liberare». E ancora Gianluca Lacoppola della Rsa Operosa: «Già oggi i lavoratori ci dicono: 'se mi iscrivo al sindacato il padrone si incazza'. Ora torneremo agli anni '50, quando le aziende licenziavano individualmente e la Cgil si opponeva caso per caso. Qui in archivio c'è una documentazione enorme».
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